da La Stampa
26/1/2009
La forza del Nord-Ovest
GIUSEPPE BERTA
Il problema dell’industria torna questa settimana sull’agenda del governo, che affronterà il nodo delle misure in grado di sostenere la produzione automobilistica. È un passaggio tanto importante quanto delicato, sia per la definizione delle risorse e dei margini finanziari a disposizione del governo, sia per l’ampiezza della riorganizzazione che investe il settore dell’auto, come hanno messo in luce le ultime mosse della Fiat. La crisi globale è destinata a ridisegnare le forme della presenza industriale nei Paesi sviluppati e il sistema dell’automobile dovrà subire una rivoluzione tale da mutare la sua dislocazione su scala continentale.
È evidente che sono in gioco le prospettive della Fiat, come hanno dichiarato fin dall’incontro di fine anno al Lingotto Sergio Marchionne e Luca Montezemolo. Ed è assai probabile che per continuare a esistere la nostra industria automobilistica dovrà proiettarsi fuori dei propri confini, dando luogo a configurazioni d’impresa inedite, come lascia intravedere la stessa bozza d’intesa siglata la settimana scorsa con la Chrysler. Anche il futuro dell’industria automobilistica è una terra incognita, al pari degli andamenti prossimi della crisi mondiale. Su un punto, però, esiste una concordia di fondo e cioè che il settore dell’auto conoscerà, al termine della crisi, una stagione di sviluppo più intensa ancora del passato.
Cambieranno gli assetti produttivi e anche la tipologia del prodotto, ma la domanda di mobilità che si è manifestata presso i Paesi emergenti negli ultimi dieci anni riprenderà con più vigore.
È una ragione sufficiente, questa, per scommettere ancora sull’industria dell’auto del nostro Paese e per far sì che si consolidi l’organizzazione delle competenze produttive e professionali raccolta attorno a essa? Sì, se siamo convinti che il modello industriale del nostro Nord-Ovest continui a rappresentare un asse portante dello sviluppo italiano. In questi giorni si è colta, anche in ambienti governativi che sono sembrati voler prendere le distanze dagli orientamenti del ministro per le Attività produttive Scajola, una nota di disaffezione verso quella parte dell’Italia economica che si incardina sull’area nord-occidentale. Quasi che si trattasse di una sopravvivenza manifatturiera in via di diventare obsoleta, soppiantata da altre forme economiche più moderne e più versatili.
Quest’immagine non corrisponde in alcun modo alla realtà effettiva del Nord-Ovest. Si sbaglia soprattutto se la si raffigura come una società di fabbrica dove il problema fondamentale è costituito da un sistema di garanzie sociali per i «colletti blu». Le indagini più complete e aggiornate del Nord-Ovest mostrano come questo territorio sia attraversato da alcune delle tendenze più dinamiche che interessano tutta l’Italia settentrionale, in primo luogo quella che porta a miscelare fra di loro industria e servizi. In altri termini, oggi è semplicemente impossibile pensare la produzione industriale come un processo confinato in fabbrica, che non si salda con un reticolo complesso di attività progettuali e innovative, da un lato, e con una serie di funzioni di commercializzazione e di assistenza, dall’altro. D’altronde, se una visione è stata superata dai fatti, è quella che dipingeva il Nord-Ovest come una terra di imprese di grandi dimensioni, opposta a un Nord-Est dominato dalle piccole aziende. Questa dicotomia poteva avere un’efficacia descrittiva trent’anni fa, non certo oggi quando è visibile la riduzione delle disomogeneità fra le varie componenti del Nord. Oggi, dall’una come dall’altra parte, si è sviluppato un sistema imprenditoriale più articolato e composito, con la crescita dei soggetti di media dimensione.
E poi, il Nord-Ovest resta la base di un’imponente concentrazione e sedimentazione di risorse organizzative e tecnologiche che non è sostituibile nell’architettura economica dell’Italia odierna, anche perché rappresenta una porta aperta sugli scambi internazionali. Non è l’equivalente dell’industria di Detroit, insomma, che ha dinanzi a sé l’imperativo della trasformazione, a meno di non condannarsi a perire. Se il Paese incoraggerà il Nord-Ovest nella sua evoluzione, non avrà sostenuto dunque i mammuth dell’industrialismo, né pagato un tributo alla storia passata della manifattura, ma investito in un comparto territoriale capace fin qui di un’incessante metamorfosi.
La forza del Nord-Ovest - cementata da uno stile di relazioni sociali e da un timbro civile, oltre che dalla consistenza delle sue relazioni economiche - non ha alternative nel tessuto di un’Italia dove la terziarizzazione è sicuramente in marcia, ma appare troppo spesso assediata, come dice il Censis, da una «mucillagine», che rischia di rallentare i comportamenti innovativi.
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