dal sito www.radicalsocialismo.it
I "valori" della tolleranza
Scritto da Maria Rita Nucci
sabato 03 gennaio 2009
Propongo alcune riflessioni e considerazioni sul concetto di tolleranza, troppo spesso frainteso o addirittura malinteso da molti, come se equivalesse ad un atteggiamento di “sopportazione” verso qualcosa o qualcuno “diverso da noi” (dall’alto verso il basso) e non fosse, invece, una qualità umana indispensabile al rispetto reciproco fra esseri simili (ma unici) e ad una pacifica convivenza. Una qualità che presuppone comprensione, empatia, conoscenza, apertura senza pregiudizi e che invece ancora manca in troppi casi nella nostra “civiltà” (o barbarie?), che ha pure il coraggio di parlare di “valori” e di “etica”. Durante il suo esilio in Olanda per sfuggire all’ostilità dei partigiani del re, John Locke, filosofo empirista inglese, scrisse – tra il 1685 e il 1686 – l”Epistula de Tolerancia” (Lettera sulla Tolleranza), dedicandola al suo amico Filippo van Limborch. A distanza di secoli, la rilettura di questa lunga lettera costituisce un interessante stimolo per riflettere sul concetto di tolleranza e sulle problematiche ad essa correlate, e non solo per la matrice estremamente ed evidentemente “politicizzata” del pensiero filosofico di Locke, ma anche per coglierne l’inconfutabile attualità.
Stiamo infatti assistendo allo sviluppo di dinamiche sociali di tipo multietnico e pluridiversificato, che abbisognano di cognizioni, approcci e termini di accoglienza adeguati, ma che ancora mostrano un carattere decisamente conflittuale e xenofobo, e in modo oltremodo indegno ed offensivo per un’umanità che voglia ritenersi tale. E proprio come Locke, che si trovò ad essere “uomo politico attivo” in un momento di profonda trasformazione dell’Inghilterra nel XVII secolo (tra la restaurazione stuartiana e la rivoluzione liberale del 1688), anche noi ci troviamo in un periodo di grandi e veloci cambiamenti epocali; un periodo che auspichiamo, anzi già avvertiamo, “di transizione“ verso qualcosa di veramente nuovo, fin dalle radici, liberato e libero da guerre, ingerenze, ingiustizie, corruzioni, integralismi religiosi e cattivi sentimenti che inquinano la vita dell’intero Pianeta. E se il tempo difficile di Locke era caratterizzato da un grande conflitto per il potere conteso da più parti (per l’esattezza tre: dalla vecchia aristocrazia feudale, dalla nascente borghesia mercantile e dalla Chiesa), anche il nostro assiste alla stesse scene di lotta per gli stessi motivi: cambiano solo gli attori, che forse sono più “occulti” e più numerosi.
John Loke, convinto assertore della necessità di distinguere gli ambiti di interesse del potere civile da quello religioso (Stato e Chiesa), ebbe a dire con chiarezza: «La tolleranza verso coloro che differiscono dagli altri in materia di religione è talmente consona al Vangelo e alla ragione che appare mostruoso che gli uomini siano così ciechi da non coglierne chiaramente la necessità e il vantaggio. Non voglio qui bollare l’orgoglio e l’ambizione di alcuni, l’ardore e il fanatismo violento e incaritatevole di altri. Questi sono vizi di cui la condizione umana non potrà forse liberarsi mai completamente, tali tuttavia per cui nessuno vuole apertamente riconoscerli come propri, anzi, quasi tutti, mascherati questi vizi sotto l’apparenza di valori e comportamenti nobili, accampano addirittura il diritto all’elogio».
Locke, senza avere assistito agli atti di fondamentalismo religioso dei nostri giorni, né agli attuali esodi di popoli verso l’Europa in cerca di una possibile sopravvivenza, mentre suggerisce una “libertà di coscienza”, esorta ad uscire dal moralismo (peraltro troppo spesso falso quando sospinto da interessi del tutto materiali e/o di potere), a considerare la religione come un fatto privato di intima persuasione e mai oggetto di obbligo e di condizionamento psicologico esercitato da altri; a pensare alla tolleranza come a una disposizione mentale e razionale: cioè a un valore veramente utile per vivere con piena dignità e civiltà, e non “ridotto” ad atteggiamento esteriore vestito di etica astratta.
In effetti la tolleranza, lungi dall’essere un atteggiamento di superiore “sufficienza” o di mediocre “resistenza senza danno” (definizione da dizionario Garzanti), o di “sopportazione di situazioni o atteggiamenti spiacevoli o contrastanti con le proprie convinzioni” (definizione Devoto-Oli) è, o dovrebbe essere, una qualità imparentata con la solidarietà e con la pace, due ingredienti – o meglio due “conquiste” - di sicuro valore ed estremamente importanti per un dignitoso livello di vita cui dovremmo tendere in quanto esseri “umani”. La tolleranza non può essere “eurocentrica”, né “ariana” e neppure “cattolica” (come la Storia insegna con gli orrori e le stragi che racconta). La tolleranza come autentico rispetto del “diverso” - del “diverso” nella sua unicità ma eguale a noi - è una qualità da coltivare, è come un principio illuminante che decora ogni uomo. La mancanza di tolleranza crea problemi: in passato grandi eruditi hanno perso prestigio per questo, così come alcuni re hanno perso il regno, perché se non c’è tolleranza non c’è neppure pazienza; se non c’è tolleranza ci sono odio e gelosia, due sentimenti negativi altamente “tossici” e contrari ad un approccio pacifico e spirituale alla vita sociale e individuale.
In Oriente si dice che esistono al mondo tre cose importanti: l’albero, la mucca, il fiume. Tutti e tre sono esempi, per il genere umano, di pazienza e di tolleranza. Se tagliamo i rami ad un albero, se gli strappiamo le foglie, se raccogliamo tutti i suoi frutti, continuerà ugualmente a fare ombra a chiunque si siederà sotto di lui per trovare ristoro. Se inquiniamo i fiumi e li usiamo senza gratitudine, essi continueranno a servire l’umanità concentrando tutte le loro risorse per raggiungere infine l’oceano; l’acqua è un bene preziosissimo per la vita ed è indifferente all’uso che ne facciamo. La mucca provvede a dare il latte all’umanità, e anche se viene infastidita, ritorna a donare il bianco, dolce e nutriente latte! In questi tre casi la comune lezione dei tre “soggetti” è questa: essi fanno del bene anche a coloro che fanno del male!
Noi non riusciamo ad arrivare a tanto, e forse non dovremmo soprassedere sempre e in ogni circostanza caratterizzata da “disumana” ingratitudine! Dovremmo usare sempre la facoltà del discernimento, valutare gli effetti della tolleranza e saper decidere la cosa migliore da fare.
La gente critica, condanna, emette giudizi e commenti, e sempre lo farà; ma niente potrà “toccarci” se avremo raggiunto, ragionevolmente e autenticamente, tolleranza e pace; e se le avremo integrate, in perfetta simbiosi, con uguaglianza e diversità, le due connotazioni della condizione umana tra le più “difficili” da accettare, quasi un “ossimoro” evidente e misterioso allo stesso tempo e, per questo, generatore di un eterno conflitto che perdura nel tempo e riporta nel buio dell’ignoranza.
Ma si potrebbe risolvere, se solo avessimo la forza di cambiare, come il nostro cuore ci dice, come sussurra e talvolta urla la nostra voce interiore che non mente mai.
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