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Un prezzo da non pagare
Dall'Avvenire dei lavoratori
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C'è una differenza fondamentale tra due campi dell'opinione pubblica, che non è la differenza tra filo-palestinesi e filo-israeliani, bensì tra i faziosi d'entrambi i lati e coloro che hanno invece a cuore i due popoli e le singole persone che li compongono.
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di Felice Besostri
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I fatti recenti in Israele/Palestina dalla rottura della tregua alla massiccia e violenta rappresaglia militare israeliana scuotono sia le piazze del mondo arabo che la coscienza di ciascuno di noi: spettatori senza la possibilità di influire, sia pure in forma limitata, sugli avvenimenti.
C'è una differenza fondamentale tra due campi dell'opinione pubblica, che non è la differenza tra filo-palestinesi e filo-israeliani, bensì tra i faziosi d'entrambi i lati e coloro che hanno invece a cuore i due popoli e le singole persone che li compongono.
Questa divisione è trasversale, ma particolarmente acuta nella sinistra e nelle coscienze individuali, di chi della sinistra fa parte.
C'è una forma sottile dell'antisemitismo, quella per cui gli ebrei – e per traslazione gli israeliani – non solo sono diversi dagli altri, ma lo devono essere: nel bene e nel male, anzi più nel male che nel bene.
Agli ebrei e, particolarmente, agli ebrei israeliani o non si perdona nulla o si giustifica tutto -- in nome della loro storia, dalle persecuzioni che hanno patito alle esigenze di sicurezza.
La sicurezza per gli israeliani non è semplicemente essere al riparo dalle violenze del terrorismo, ma garanzia di potere sopravvivere come popolo e come Stato in quell'area del Medio-Oriente.
I palestinesi, come ogni popolo della terra, hanno diritto alla loro identità ed all'autodeterminazione, allo sviluppo ed alla dignità collettiva e individuale: in tutta la Palestina, ma soprattutto nella Striscia di Gaza, non ne possono godere.
Il dramma, che allo stato appare insuperabile, è che le reciproche esigenze non possano essere soddisfatte che con la negazione totale e radicale dell'altro.
Per Hamas la creazione di uno Stato Palestinese richiede l'annientamento della "entità sionista" mentre lo Stato dovrebbe essere retto dalla sharia: uno Stato dove non ci sarà spazio per gli israeliani. Ma neppure per gli arabi cristiani.
Per settori israeliani l'unica sicurezza concepibile consiste non solo nell'erezione di muri invalicabili, ma nella deportazione fuori dai confini di Israele della popolazione araba, compresa quella araba di nazionalità israeliana. Sicurezza ossessiva, troppo simile ad un'ideologia totalizzante. Pulizia etnica? Purezza razziale?
Se il dilemma è questo, dobbiamo confessare la nostra impotenza e quindi schierarci da una parte o dall'altra.
Questa scelta di campo significa anche non poter andare troppo nel sottile nel scegliersi la compagnia. Per tutti quelli che comunque ritengono intollerabile la scomparsa di Israele e l'annientamento del suo popolo, stare in compagnia di ex o post-fascisti di recente convertiti alla causa di Israele.
Per chi è preoccupato delle sorti del popolo di Palestina essere complice del fanatismo integralista, dei terroristi e nel migliore dei casi tacere sul regime iraniano.
Per chi ha coscienza non si può rimanere indifferenti rispetto all'umiliazione quotidiana dei palestinesi ed alle vittime civili delle rappresaglie israeliane, che non si possono liquidare come effetti collaterali, un prezzo comunque da pagare, come delle vittime israeliane dei kamikaze e delle loro bombe sugli autobus, nei mercati e nei luoghi di ritrovo.
L'indifferenza non si può giustificare con il fatto che gli avvenimenti sono visibili in presa diretta e perciò vissuti come manipolazione dell'opinione pubblica.
Al Jazeera ha allestito un secondo canale esclusivamente dedicato alle rappresaglie israeliane e alle vittime palestinesi con l'effetto di moltiplicare la collera delle masse arabe in contrasto con l'inerzia dei loro governi.
Cosa cambia rispetto ai fatti che non abbiamo gli stessi reportage dei massacri nel Sud Sudan o che i genocidi del Ruanda sono stati perpetrati lontano dalle telecamere?
Il fatto grave è la copertura mediatica del conflitto israelo-palestinese o non, piuttosto, che in questo nostro villaggio globale le violenze in altre parti del mondo non abbiano, non possano avere o non interessa avere una copertura mediatica?
Fossimo soltanto degli impassibili analisti potremmo ridurre l'impatto emotivo contestualizzando i sanguinosi avvenimenti: ci saranno le elezioni in Israele e la strategia di Hamas è dettata non dalla dirigenza locale, bensì da quella in esilio e pertanto sotto l'influenza, se non il controllo, degli Hezbollah libanesi e dei loro patron siriani e libanesi. Sono cose ovvie, ma non riducono il dolore delle madri delle vittime o la disperazione dei sopravvissuti alla distruzione delle proprie case o dei familiari di chi è stato colpito da un razzo Qassam.
La protesta degli amici di Israele contro la sproporzione della reazione militare potrebbe essere più forte ed influente, se gli amici dei palestinesi non tacessero sui lanci dei razzi, sulla detenzione del sergente Shalit, diventata uno spettacolo teatrale, sugli atti di terrorismo, sui massacri di prigionieri o sulle esecuzioni sommarie di presunti collaboratori, per non fare che alcuni esempi, o sulla mancanza di libertà civili e sulla corruzione delle autorità politiche ed amministrative palestinesi o sulle manifestazioni di giubilo ogni volta che vi siano vittime israeliane o di ebrei, anche al di fuori della zona di conflitto.
Chi crede nella possibilità,per quanto remota, di una futura possibile convivenza ed uno sviluppo economico e sociale in Israele e Palestina, che soltanto la pace o almeno una tregua davvero duratura possono garantire, deve continuare a testimoniare.
L'alternativa sarebbe tacere e, perciò, rinchiudersi nelle proprie contraddizioni, in altre parole abdicare, cioè rinunciare alle proprie idee di libertà e giustizia.
Questo prezzo non dobbiamo essere disposti a pagarlo, tanto più ora in questi drammatici momenti.
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