mercoledì 15 gennaio 2025

Roberto Biscardini: Il proporzionale per fermare lo sfascio della nostra democrazia

IL PROPORZIONALE PER FERMARE LO SFASCIO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA di Roberto Biscardini per Critica Sociale n.9 dicembre 2024 Sono molte le ragioni che hanno spinto alcuni cittadini di diversa estrazione sociale, formazione culturale e orientamento politico a dar vita al comitato referendario “Io voglio scegliere” per modificare l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, voluta da Renzi nel 2017. Per ridare ai cittadini il diritto costituzionale di scegliere col loro voto i propri rappresentanti e di esprimere, come prevede la Costituzione, un voto personale eguale, libero e segreto. Così come ripeteva sempre il nostro amico, avvocato costituzionalista e socialista Felice Besostri che aveva fatto della battaglia per una legge elettorale democratica una battaglia di principio, portando in Corte Costituzionale sia il Porcellum, l’Italicum ed infine il Rosatellum, dove ancora giace senza sentenza. Leggi elettorali tutte incostituzionali che hanno eletto Parlamenti di fatto incostituzionali. Quattro quesiti, più una legge di iniziativa popolare per introdurre le preferenze ed abolire le liste bloccate, correggere le peggiori anomalie di una legge falsamente proporzionale, costruita opposta con il sostegno sia dei maggiori partiti del centrosinistra sia del centrodestra, per assegnare la maggioranza parlamentare a coalizioni vincenti, ancorché politicamente non omogenee. Quindi, una legge che favorisce ammucchiate politiche a sostegno di un modello bipolare. Sono molte le ragioni che non hanno consentito al comitato “Io voglio scegliere” di raggiungere l’obiettivo, nonostante l’impegno di molti volontari in tutto il territorio nazionale. Da un punto vista tecnico: la carenza di mezzi per sostenere una campagna di comunicazione efficace, l’oggettiva difficoltà di semplificare una materia complessa, compresa la difficoltà di spiegare i quesiti referendari abrogativi che si inserivano su una legge come il Rosatellum che volutamente è tra le più farraginose che abbiamo mai avuto. Sul piano politico la ragione dell’insuccesso è ancora più semplice: tutte le forze politiche (con l’aiuto dei media e dei sindacati) hanno preferito conservare i propri privilegi incostituzionali e garantire la propria sopravvivenza fuori dalla logica di ciò che comunemente si intende per “requisito minimo” di un sistema democratico. Ma l’obbiettivo principale era e rimane tuttora valido: modificare la legge elettorale vigente per consentire ai cittadini il diritto elementare di votare i propri parlamentari, sottraendo questo potere alle segreterie dei partiti che, con una serie di alchimie incomprensibili ai più, riescono con questa legge, salvo rare eccezioni, a definire preventivamente la composizione dell’intero Parlamento. Riescono a scegliere a tavolino prima del voto chi sarà eletto e chi no. Facendo così del Parlamento non un parlamento di eletti dal popolo, ma un parlamento di “nominati”. Partiti che hanno visto con terrore un referendum sulla rappresentanza che avrebbe potuto mettere in discussione quel sistema bipolare che regge dal 1994 che è andato via via sempre più peggiorando dal Mattarellum in poi. L’essenza della Seconda Repubblica. Hanno visto con terrore un’iniziativa che nasceva dal basso e che metteva al centro dell’attenzione la centralità della legge elettorale come centralità della questione democratica. Che metteva al centro il tema della democrazia tanto conclamata e tanto calpestata. Una legge elettorale che ha alimentato un sistema partitocratico senza partiti. Senza partiti governati con “metodo democratico” nonostante l’articolo 49 della Costituzione. Partiti trasformati in puri e semplici comitati elettorali, dentro un sistema politico e istituzionale che ha esso stesso favorito la nascita di partiti quasi tutti personali, che vivono senza congressi, senza radicamento sociale. Partiti contenitori, che portano nelle istituzioni non gli eletti dal popolo, ma i rappresentanti degli apparati e delle segreterie. E qui arriviamo al punto. Il comportamento delle forze politiche della Seconda Repubblica (tutte) ci consegnano così una democrazia malata e un Paese che non è più democratico. Causa dell’attacco perfetto che destra e sinistra insieme hanno arrecato alla democrazia rappresentativa e alle istituzioni di questo paese. Causa delle logiche di coalizione, poli o campi, che si sono costruite un sistema istituzionale su misura per blindare la propria sopravvivenza, senza neppure fare la fatica di presentarsi agli elettori con un unico programma elettorale. Un sistema istituzionale in cui ha prevalso l’offensiva politica contro il ruolo delle assemblee elettive, dai consigli comunali e regionali al parlamento. Dove si è valorizzato il principio negativo della verticalizzazione del potere nelle mani degli esecutivi, sempre più nella prospettiva di mettere tutto il potere nelle mani di un uomo solo. E così dopo l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione, l’ipotesi dell’elezione diretta del premier (detto anche Sindaco d’Italia) appare persino naturale. Tanto più che la destra può cavalcare questo suo disegno ricordando a tutti che il premierato era già trent’anni fa nelle corde di molti esponenti della sinistra. Una sinistra di centro, se non addirittura una sinistra di destra, che si è resa responsabile dell’elezione diretta dei sindaci oggi trasformati in Podestà, dell’elezione diretta dei presidenti di Regione che si credono Governatori e dei premi di maggioranza riconosciuti alle coalizioni vincenti. Una forma di moderne dittature (democrature) nelle quali non è consentito ai rappresentanti dei cittadini né di dare l’indirizzo politico, né di controllare l’esecutivo, e tanto meno ai cittadini di partecipare al processo di formazione delle decisioni. Così come la cosiddetta sinistra si è resa purtroppo responsabile di aver modificato nel 2001 il Titolo V della Costituzione, aprendo di fatto la strada alla riforma sulla autonomia differenziata che oggi giustamente si vuole abrogare e di aver condiviso con la destra la riduzione del numero dei parlamentari, e prima ancora la riduzione del numero dei consiglieri regionali e comunali. Alla faccia del valore della rappresentanza politica e territoriale e del pluralismo politico nel governo delle istituzioni. Un consociativismo distruttivo della Costituzione ad opera di tutte le forze politiche. Adesso dobbiamo fermare lo sfascio della nostra democrazia mettendo il cacciavite nell’ingranaggio, cercando di girare la vite in senso inverso, riportando tutto ai nastri di partenza della nostra democrazia costituzionale, avendo il coraggio di affrontare a testa alta l’esigenza, che non nasce oggi, di mettere mano alle principali leggi elettorali vigenti per dare al paese un sistema elettorale più organico e più omogeneo. Proprio perché siamo in un momento difficile, tutto ciò si può realizzare, riaprendo, ovunque sia possibile, il tema centrale della nostra democrazia in crisi. Lo si può fare dal basso con gli strumenti a disposizione di una concreta iniziativa popolare: associazioni culturali, circoli, movimenti, comitati, referendum e leggi di iniziativa popolare. Ma soprattutto cercando di riaprire una discussione e una riflessione dentro i singoli partiti e in particolare dentro i cosiddetti partiti della sinistra. Affinché prendano coscienza degli errori che sono stati commessi e prendano coscienza che una sinistra imballata sul politically correct, radical chic, espressione delle élite, lontana dalle questioni della pace, della democrazia e del lavoro è destinata continuamente a perdere. Così come la crescita costante delle astensioni e la caduta di credibilità della politica, nessuna esclusa, non sono figlie di nessuno ma della non politica di questi ultimi decenni. Quindi dobbiamo auspicare che i partiti facciano per prima cosa i loro congressi, democratici, e mettano al centro della discussione il tema dello stato della nostra democrazia. Avendo come primo obiettivo lo smantellamento del sistema bipolare. Quello che abbiamo vissuto negli ultimi trent’anni come eterna contrapposizione tra la il bene e il male. In perfetta sintonia con la “cultura della guerra” che da qualche anno abbiamo capito con chiarezza cosa significa. Sempre in guerra, non per fare gli interessi generali del paese ma per vincere, dove l’avversario politico è un nemico che deve essere distrutto con ogni mezzo, lecito o illecito. Nella cultura della guerra ci sono solo vinti e vincitori e il conflitto è senza limiti. Così che anche dal vocabolario della politica è sparito il dialogo, la collaborazione tra diversi e la mediazione, ma la mediazione è il sale della democrazia. E così è scomparsa anche la politica. Un sistema bipolare all’italiana estraneo alla nostra cultura politica che ha distrutto la cultura di governo trasformando le coalizioni in semplici cartelli elettorali e macchine per il potere, divise su tutto ma unite per vincere e prendersi tutto. Quindi superare il bipolarismo e abolire tutti i sistemi elettorali di tipo maggioritario, compresi quelli cosiddetti proporzionali con premio di maggioranza alle coalizioni vincenti (una vera e propria contraddizione in termini tipica di quell’ipocrisia antipolitica che ci trasciniamo da decenni). Andando con coraggio oggi, perché non sia troppo tardi, alle nostre radici costituzionali ed anche a quelle liberali precostituzionali, sbarazzandoci dell’illusione di poter dare al paese, attraverso il maggioritario, più efficacia e governi migliori, più stabilità, e di sapere chi sarà chiamato a governarci il giorno stesso delle elezioni, se non addirittura il giorno prima. Bisogna avere il coraggio di costruire un grande movimento per mettere davanti a tutto il valore della rappresentanza che solo elezioni di tipo proporzionale con preferenze può garantire. Per dare ai cittadini con il voto il diritto di scegliere il proprio partito o la lista preferita e di scegliere i propri rappresentanti (cosa che oggi non avviene). Così che le coalizioni nasceranno dopo il voto, sulla base delle maggioranze che si costruiranno in Parlamento. Perché vogliamo essere ancora in una repubblica democratica e in una democrazia parlamentare e perché vogliamo che il potere sia restituito alla politica sottraendolo a chi lo detiene senza legittimazione popolare. E perché siamo convinti, come i nostri padri costituenti, che il sistema elettorale proporzionale sia il più funzionale alla formazione di governi di coalizione ed ha il suo fondamento sul principio fondamentale della collegialità, considerato essenziale per la tenuta del sistema democratico, e per consentire una larga partecipazione dei rappresentanti delle forze politiche nel governo della cosa pubblica. Un sistema elettorale proporzionale funzionale anche alla rinascita di partiti veri. In merito alla devastata democrazia italiana, Francesco Pallante, uno dei più importati nostri costituzionalisti italiani, nell’introduzione al libro “Difesa della proporzionale. Il dibattito ne La Rivoluzione Liberale 1922-1925” sostiene: “Se non tutto è ancora perduto e permane una qualche speranza di salvezza, la via d’uscita rimane quella indicata da Gobetti e dai collaboratori de ‘La Rivoluzione Liberale’: tornare al proporzionale. Non, ovviamente, perché una legge elettorale che dia a ciascuno il suo sia di per sé salvifica, ma perché salvifica è la visione delle relazioni politiche e sociali che potrebbe portare con sé”. Il proporzionale come nuovo inizio, per un’alternativa di sistema, che soprattutto la sinistra dovrebbe promuovere.

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