lunedì 17 aprile 2017

Livio Ghersi: La politica estera della prepotenza

La politica estera della prepotenza. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti d'America, Rex Tillerson, dichiara che gli USA difenderanno «gli innocenti nel mondo». Non si sa esattamente chi, dall'alto (ispirazione divina?), o dal basso (pressione democratica delle masse?), abbia conferito agli Stati Uniti d'America il diritto di intervenire unilateralmente in ogni angolo del pianeta. Può essere che non tutti gli amici degli USA siano propriamente "innocenti", ma, nel predetto diritto d'intervento unilaterale, rientra certamente quello di valutare contro chi si debba usare il massimo di rigidità e di durezza ed a chi, invece, possa essere accordato un trattamento più benevolo. Alla fine degli anni Sessanta, inizi degli anni Settanta, del ventesimo secolo, c'era meno ipocrisia e l'Amministrazione USA ammetteva di contare dittatori impresentabili e sanguinari fra i propri sodali. Soltanto che erano sì degli autentici figli di puttana" ("sons of bitch"), ma erano i "nostri" figli di puttana. C'è tutta una tradizione di pensiero europeo, che va dal giusnaturalismo dell'olandese Ugo Grozio, all'affermazione di massime razionali universali secondo il pensiero del filosofo tedesco Immanuel Kant, tendente a fare della comunità internazionale non più il regno dell'arbitrio, della forza che trova giustificazione in sé stessa, ma un campo in cui fosse possibile affermare criteri di legalità internazionale. Esattamente come, all'interno degli Stati civili, si era fatto qualche apprezzabile progresso rispetto alla logica dell'Homo homini lupus. Sì, è vero, si tratta di cose vecchie: ideali che venivano coltivati nel diciassettesimo e nel diciottesimo secolo. Oggi molti danno per scontato, invece, che L'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) sia poco più di un trastullo e che, pertanto, in nome di un sano realismo, ben venga l'iniziativa del potente che decide unilateralmente e si serve di un "nodoso bastone" per mettere in riga chi lo meriti, secondo il suo insindacabile punto di vista. Molti di noi, da bambini, hanno fatto esperienza dei classici bulli che, forti della loro maggiore vigoria fisica, s'imponevano ai meno forti, anche semplicemente per decidere come si dovesse giocare ed a chi spettasse la vittoria. Il criterio del bullo apre, quindi, una nuova stagione di relazioni internazionali. Gli Stati Uniti d'America hanno inflitto una prima "punizione" al presidente della Siria Bashar al-Assad. Non c'è stato bisogno di aspettare l'effettuazione di inchieste internazionali. Si sa che è colpevole: certo, non aveva alcun interesse razionale a mettersi contro la comunità internazionale; dunque, chi pensa che abbia usato deliberatamente i gas, ritiene che abbia un evidente deficit d'intelligenza. Certo, può darsi che dei settori del regime siriano abbiano assunto un'iniziativa non concordata con il presidente e, meno che mai, con i Russi. Tuttavia, mentre, in qualunque Stato degno di questo nome, un'ipotesi di questo tipo avrebbe comportato un processo ed, eventualmente, condanne esemplari per i responsabili, nel caso di Assad è lui che ha la "responsabilità oggettiva" di tutto. Da fautore dell'Unione Europea ho trovato, ancora una volta, triste il comportamento dei governanti europei, a partire da Gentiloni. Tutti che facevano a gara nel solidarizzare con il Presidente Trump. Tutti a complimentarsi con lui per l'iniziativa tempestiva e opportuna. Che lo facciano gli inglesi, servi contenti degli Stati Uniti, transeat. Si può semplificare al massimo la politica estera e ridurla alla regoletta: «sono sempre d'accordo con quanto decidono gli Stati Uniti d'America e così sarà nei secoli dei secoli. Amen». Dall'Unione Europea mi aspetterei altro, ma forse sono troppo esigente. Cosa insegna la storia? Quando tutte le maggiori potenze erano concentrate nel continente europeo, si seguiva la regola, non scritta, ma sempre praticata, di impedire che uno Stato si rafforzasse troppo rispetto agli altri. Se questo avveniva, per ristabilire l'equilibrio, tutti gli altri si coalizzavano contro di lui. Quanto pensano di poter andare avanti gli Stati Uniti con la politica del diritto d'intervento unilaterale e del nodoso bastone? La Russia e la Cina alleate potrebbero già bastare a ricondurre gli USA a più miti consigli. Io voglio la riforma dell'ONU, a partire dalla riorganizzazione del suo Consiglio di Sicurezza, voglio che tutte le maggiori potenze del pianeta, rappresentative di tutti i continenti, si associno nella responsabilità di garantire un nuovo sistema di legalità internazionale. Certamente non voglio il bullo al comando del mondo. Il bullo è pura regressione. Se l'America regredisce, non dobbiamo andarle dietro. Ciascuno per la sua strada. Quanti si riempiono la bocca parlando di libertà e di liberaldemocrazia, si dimostrino capaci di un minimo di dignità. L'occasione mi sembra propizia per inserire altre due questioni. La prima è quella dell'identità dell'Europa, di cui hanno scritto, insieme, Roberto Esposito ed Ernesto Galli della Loggia, nel "Corriere della Sera" del 10 aprile 2017 (pp. 1 e 34-35). Secondo i due intellettuali, l'identità europea può essere individuata con riferimento a due filoni essenziali: le radici "ebraico - cristiane" e quelle "razionalistico - illuministe". Nel primo caso si evocano tradizioni religiose, delle religioni monoteiste; nel secondo, concezioni filosofiche. Per quanto riguarda le religioni, però, si mette in luce il processo di secolarizzazione del Cristianesimo: di conseguenza, a risultare davvero importanti non sarebbero i valori, gli ideali, il sentimento di carità, le speranze ultramondane di cui il Cristianesimo è stato storicamente espressione, ma il fatto che, seguendo Hegel, Marx e Max Weber, gli europei abbiano imparato a definire la concezione di uno Stato integralmente laico ed a trasformare la loro religione in una filosofia mondana. Questo schema interpretativo non è poi tanto innocente, perché contribuisce a prendere le distanze dalla terza, grande, religione monoteista che, essendo più giovane, presenta maggiori asprezze. Stiamo parlando, guarda caso, dell'Islam. Se dovessi individuare un momento cruciale della storia europea, tale da avere importanza per la definizione stessa della cultura dell'Europa, indicherei la pace di Vestfalia del 1648, che pose fine alla guerra dei Trent'anni (1618-1648). Si affermava allora che, nei territori dell'Impero, cattolici, protestanti e calvinisti, avevano libertà di religione e di culto. Il che non significava negare il ruolo delle fedi religiose, ma impegnarsi a farle coesistere in uno spirito di reale tolleranza. Coesistenza e tolleranza che servirebbero tanto più oggi nell'area del Mediterraneo ed in Europa, per disciplinare i rapporti reciproci tra Ebraismo, Cristianesimo ed Islam. Così come i cristiani (cattolici, protestanti e calvinisti), ad un certo punto, stanchi di farsi guerre, hanno accettato di convivere in pace, perché lo stesso destino non dovrebbe prima o poi riguardare i Paesi islamici, nei reciproci rapporti tra Sunniti e Sciiti? Certo, noi europei non rendiamo un buon servizio alla causa della distensione e della tolleranza se, seguendo acriticamente la propaganda israeliana, facciamo nostra la tesi che l'intero mondo sciita (dall'Iran, all'Iraq, alla Siria, eccetera) sia il regno del male. Ci sono molte altre stranezze nel modo in cui Esposito e Galli della Loggia concepiscono l'identità europea: si evoca la tradizione greca e latina, al solo fine di argomentare che la Germania deve contare meno. Senza tenere conto poi che quella tradizione greca e latina è sì molto importante, ma è stata completamente tradita dalle istituzioni scolastiche che la dovrebbero perpetuare; così che proprio le nuove generazioni le hanno completamente voltato le spalle. Un'ultimissima questione minore, che non c'entra con la politica internazionale, ma ha pur sempre a che fare con l'irrazionalità che oggi purtroppo contraddistingue le relazioni fra le forze politiche. Un giudice monocratico stabilisce chi debba essere il candidato del Movimento Cinque Stelle a sindaco di Genova. Poiché sembrava poco democratico che questa scelta spettasse al garante monocratico del Movimento, si è pensato che un giudice monocratico fosse più indicato alla bisogna. Stiamo parlando di un Comune che ha quasi seicentomila abitanti: non sembra strano che una decisione come quella di stabilire chi possa o meno concorrere alla carica di sindaco venga rimessa al signor Pinco Pallino, magistrato, che può decidere in splendida solitudine? Lungi da me la volontà di difendere Beppe Grillo ed il Movimento Cinque Stelle; c'è però una questione, che è quella dell'autonomia della politica, da non sottovalutare. In fatto di politica, il peggiore dei politici saprà sempre decidere meglio di quanto possa fare il più integerrimo dei magistrati. Giuridicizzare tutto è sbagliato. Il nostro Stato di diritto non diventa più vero ed effettivo quando si dà campo libero ai legulei. Un movimento politico deve essere pienamente libero di decidere a chi concedere l'uso del proprio simbolo, quindi chi candidare. Se la candidatura non piace, sarà il Corpo elettorale a fare giustizia. Palermo, 11 aprile 2017 Livio Ghersi

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