venerdì 9 settembre 2016

Franco Astengo: Lavoro

LAVORO CHE NON C’E’ ( a cura di Franco Astengo) Questa la notizia di oggi: Lavoro, licenziamenti in aumento del 7,4 per cento I dati del Ministero sul secondo trimestre 2016, un milione e mezzo di cessazioni dovute alla fine di contratti a tempo determinato. In crescita dell'8 per cento le chiusure di contratto promosse dai datori di lavoro. Le assunzioni a tempo indeterminato in calo del 29 per cento Chi opera concretamente nel mondo del lavoro aggiunge: adesso arriveranno i licenziamenti degli stagionali… Al momento dell’entrata in vigore del job act il governo dichiarava: L’obiettivo primario del Jobs Act è creare nuova occupazione stabile. Il contratto a tempo indeterminato diventa finalmente la forma di assunzione privilegiata. All’epoca c’era chi, considerato gufo, obiettava: Nel job act non manca semplicemente l’indicazione relativa al reperimento delle risorse per investimenti. Non c’è proprio una minima intenzione di rovesciamento di tendenza rispetto al gigantesco processo di diseguaglianza prodotto nel Paese nel corso degli ultimi dalla gestione del ciclo capitalistico, del processo di finanziarizzazione dell’economia, di speculazione avvenuta sulla base di meccanismi di corruzione. Non c’è nemmeno la pallida idea della patrimoniale, che pure rappresenterebbe in questa fase poco di più di un semplice palliativo. Resta intatta la sostanza degli elementi di costruzione dell’egemonia liberista e non si ravvede nessuna avvisaglia sul terreno della solidarietà e dell’eguaglianza. Ergo eventuali finanziamenti dei processi previsti dal documento dovrebbero provenire dalla solita fonte dei soliti tartassati. E si aggiungeva: Il tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che condiziona l'economia del Paese e non si riesce a varare una efficace programmazione economica, all'interno della quale emerga la capacità di selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo. Appaiono, inoltre, in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del territorio e struttura produttiva, ideati nel corso degli ultimi vent'anni allo scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali, appare il più evidente a questo proposito. Da più parti si sottolinea, giustamente, il deficit di innovazione e di ricerca. Il risultato del job act appare assolutamente disastroso, le osservazioni svolte in partenza e qui sommariamente riportate del tutto plausibili, se non profetiche. Un governo che fallisce completamente la politica economica e attacca la democrazia: questo il risultato politico concreto di due anni di decisionismo e di “politica del fare” targata PD.

4 commenti:

lorenzo ha detto...

Le ragioni del lavoro che non c'è si trovano nei numerosi articoli che spiegano come sia l'automazione a divorare quelli esistenti. Per aggiungerne ci vorrebbe almeno un po' di crescita. Inoltre i nuovi posti di lavoro hanno caratteristiche diverse che non la pura manualità, o diverse dalla educazione umanistica che ha ancora un peso. E non tutti quelli che studiano lettere classiche possono fare gli insegnanti o gli avvocati che sono già tropp. E' di oggi un articolo sul Corriere su queste nuove specializzazioni (gestire le macchine elettroniche automatizzate, per cui c'è una grande richiesta) dove si vede che la scuola non fornisce sufficienti nozioni utili. Sullo stesso Corriere mi sembra venga data notizia che 100.000 (centomila!) laureati, presumibilmente non in materie umanistiche, sono emigrati all'estero. E non ci aspettiamo che i posti di lavoro, come ai bei tempi dell'industria pubblica che però a un certo punto perdeva troppo per essere finanziata aumentando il debito. Dunque i posti di lavoro sono una questione politica solo nel senso che la scuola italiana va bene per formare professori e avvocati, ma non tecnici specialisti. Cordialmente. Lorenzo Borla

luciano ha detto...

Trovo davvero stucchevole la discussione sul Jobs Act.

Ad ogni aumento di qualche decimale degli occupati parte la grancassa dei filogovernativi: “vedete, il Jobs Act funziona !”.

Ad ogni dato negativo parte il controcanto degli antigovernativi: “vedete, il Jobs Act non funziona !”.

Quasi mi viene da ridere perché entrambi i discorsi non hanno senso comune.

Viviamo in un’economia globalizzata nella quale – è addirittura lapalissiano – quando domina la recessione tutti sono tirati giù e quando invece domina lo sviluppo tutti sono trainati su.

In particolare in un Paese ancora fortemente industriale ed esportatore come l’Italia, è palese che se “tirano” gli Usa, la Germania e via via gli altri nostri partner grandi e medi (fino ad arrivare all’Iran che esce dall’embargo …), anche per noi aumentano gli ordini e di conseguenza le aziende assumono.

Per attribuire meriti al Jobs Act occorrerebbe registrare un divario statistico: solo con un differenziale positivo tra la crescita dell’occupazione in Italia e quella registrata negli altri stati paragonabili al nostro si potrebbe, forse, individuare (anche) nella riforma della normativa sul lavoro un fattore incentivante.

Ma non mi pare proprio che, anche nei mesi in cui si è registrato un segno più (in larga misura “drogato” dalla decontribuzione), vi sia mai stato questo differenziale a favore dell’Italia.

Cresciamo un poco anche noi -bella forza, tutte le maggiori economie sono ormai fuori dalla crisi - ma sempre meno degli altri.

Il Jobs Act in tutto questo è assolutamente irrilevante, nel bene e nel male.

Per chi non l’avesse capito, si è trattato di uno degli “scalpi” fondamentali che dovevano portare a Renzi, oltre all’appagamento della megalomania e dell’ansia di “fare tanto per fare”, la realizzazione del suo fondamentale progetto politico: la conquista dell’elettorato di centro-destra.

Jobs Act (ergo abolizione dell’art. 18), buona scuola (ergo scuola modello azienda), abolizione Imu (“avete capito bene …”), riforma costituzionale + Italicum (premierato forte), sono tutte tappe fondamentali di un percorso finalizzato a convincere quel bacino elettorale che “il programma che lui, il Cav, non ha realizzato, ve lo realizzo io”.

Quindi, mi pare davvero ozioso calcolare i fantomatici benefici (o svantaggi) prodotti dal Jobs Act in termini di posti di lavoro.

Il bilancio va fatto rispetto al trasferimento dei voti dalla destra al PD.

E per ora è fallimentare.



Luciano Belli Paci




lorenzo ha detto...

Caro Luciano, sono in tutto d’accordo con quanto dici. Il confronto sui posti di lavoro andrebbe fatto come minimo con il livello l’occupazione a fine 2007, ultimo anno di relativo benessere. Mi pare, sulla base dei dati Istat, che siamo ancora sotto di un mezzo milione. Inoltre dovrebbe essere chiaro che se non c’è crescita, mancano le assunzioni. Inoltre c’è poco da fare: aumentano i robot e diminuiscono gli uomini, anzi mancano gli uomini che li sanno gestire (l’unico settore in cui c’è ricerca di personale). Cordialmente. Lorenzo Borla

antonio ha detto...

Quello che infastidisce di Luciano è la mancanza di fede nei destini progressivi dell'Italia.

Come si vede dalla tabella l'Italia ha perso, rispetto alla media UE dal 2001 al 2014 solo il 19.3% mentre il Pil italiano è sceso solo del 9%.

Nel 2015 la situazione è radicalmente cambiata il Pil italiano è cresciuto dello 0.8% contro una media europea (UE28) del 2.2%, quindi


l'aggiustamento vede uno scarto del solo -1.4%. E' colpa di Renzi se gli altri corrono di più? Ma rallentino, si godano la vita, come gli imprenditori italiani

che continuano a non investire soprattutto in innovazione; tanto ci pensa il governo a far fare loro profitti sgravandone l'assunzione di personale (peraltro in buona misura over 50); personale che

in aziende che mediamente evitano accuratamente l'innovazione, diventerà in gran parte, in futuro, con buona probabilità, disoccupato.

Antonio Autuori