mercoledì 1 ottobre 2014

Giuseppe Berta: Da Blair e Schröder in poi

Da Blair e Schröder in poi “La sinistra? Guarda a destra. Ed è finita” di Carlo Di Foggia Il Fatto Il cambiamento è epocale. Immaginiamo l’articolo 18 come un perno: “Ci si appoggia per rivoltare la sinistra in qualcosa di diverso, senza una matrice socialista e lungo il solco tracciato da quelle che un tempo furono le sinistre socialdemocratiche europee”. E che oggi, per Giuseppe Berta, storico dell’industria e docente alla Bocconi di Milano, sono agonizzanti: “Se Matteo Renzi vede in Tony Blair il suo mentore, allora è normale che cerchi di spezzare il legame con i sindacati: lo hanno fatto i laburisti inglesi e i socialdemocratici tedeschi. I primi non si sono ancora ripresi e vivono delle disgrazie altrui, i secondi fanno parte di una coalizione su cui non riescono a incidere, a parte il salario minimo, lo strumento che dovrebbe far salire gli stipendi dei mini job creati durante il mandato del socialdemocratico Gerhard Schröder”. Il premier sull’articolo 18 rischia di spaccare il suo partito. Nessuno pensa che questo, in una fase recessiva, generi posti di lavoro. A cosa serve allora? Ci si rivolge all’Europa, ma soprattutto a un pubblico più ampio: quello che apprezza la politica antisindacale. L’elettorato di destra? Il ceto medio, che è poi quello che si deve sobbarcare il peso maggiore delle tutele sociali. Così si aumenta la base elettorale: è la sfida che si è posta di fronte ai partiti socialisti europei dopo la lunga fase degli anni 80 lontani dal governo. Con quali risultati? La fine della sinistra come la conoscevamo. E con essa il difensore del welfare state (le tutele dello stato sociale, ndr) e dell’economia mista: la compresenza di due poli - il pubblico e il privato - come motori dell’economia. Un declino iniziato negli anni 80 con le idee di Margareth Thatcher e proseguito con Blair e Schröder. Tutti contro i sindacati? Blair non fece nulla per sanare gli squilibri creati dalla Lady di Ferro, Schröder fece di peggio: affidò le riforme del mercato del lavoro a Peter Hartz, capo del personale della Volkswagen, poi condannato per corruzione dei rappresentanti sindacali. Perché il welfare state è rimesso in discussione? Perché costa, tanto. Perfino i partiti socialdemocratici scandinavi si sono indeboliti difendendolo. Nel ’76, prima della Thatcher, dopo 40 anni al governo la socialdemocrazia svedese perse le elezioni: era il segno dell’insofferenza verso una forma di tutele che comporta una pressione fiscale elevata, ma è anche l’unica via per ridurre le disuguaglianze. La sinistra è in disarmo. La svolta a favore della globalizzazione, se all’inizio li ha riportati al governo, li ha poi svuotati della loro stessa natura. Ora ne pagano le conseguenze: i socialisti francesi sono al minimo storico. Zero idee e mancanza di coraggio: hanno perfino accolto l’euro senza porsi il problema delle conseguenze. Colpa della globalizzazione? Vi hanno aderito convinti, come se contenesse un moltiplicatore di ricchezza, ma la globalizzazione riduce l’autonomia degli Stati - consentendo alla grande industria di trasferire gli investimenti dove più conviene - e la sinistra ha sempre fatto perno sullo Stato-Nazione. Renzi ha in mente questo piano? Segue la stessa logica. Ma una riforma del lavoro può essere utile. Certo, ma c’è un paradosso incredibile: si riforma il mercato del lavoro senza sapere qual è il modello economico che vogliamo adottare, e con una gigantesca incertezza sugli ammortizzatori sociali. In Europa si vuole tutelare il lavoratore sul mercato e non all’interno del luogo di lavoro. Lo Statuto dei Lavoratori fa l’esatto opposto, perché è nato in un contesto molto diverso. Nessuno dei due è giusto o sbagliato a prescindere, ma bisogna saper scegliere. Invece si attacca il sindacato. Che però si è dimenticato di milioni di lavoratori precari. Ha colpe gigantesche, ma i problemi sono altri: abbiamo perso un quarto dell’apparato produttivo. Ora si parla di “modello tedesco”. Lì si è fatto perno sulla potenza di fuoco di alcune grandi imprese, con buoni ammortizzatori sociali. Ma si rischia l’implosione. Se lei fa un giro a Berlino si accorge che i supermercati sono vuoti e la vita costa meno che a Torino: significa che la domanda interna è depressa.

16 commenti:

claudio ha detto...

di questa analisi ci sono 2 letture: che bisogna trovare una sinistra che guardi a sinistra, e stia in una minoranza sempre più ristretta, guidata da vecchi personaggi che non hanno capito bene cosa è successo e sta succedendo nel mondo e portano avanti le loro questioni di principio e di schieramento, avviandosi sulla strada dei comunisti spagnoli sepolti nell’oblio, oppure che siccome con la sinistra oggi in occidente non si fa maggioranza, vedere quale compromesso è necessario per guidare il paese. Alla fine della fiera, è sempre il più che centenario dilemma tra chi dice che “poco è meglio di niente”e chi fieramente ribatte che “niente è meglio di poco”, perchè così parte la rivoluzione....

marilena ha detto...



A proposito dell'ultima frase: io invece faccio spesso il giro nei supermercati di Stoccarda, di Ulm e di Monaco e chissà perchè sono sempre tutti pieni a qualsiasi ora. Il fatto che la vita costi meno che in Italia è vero, ma semplicemente perchè là il cambio euro- marco è stato rispettato, non come in Italia dove il cambio è stato stravolto due mesi dopo l'entrata in vigore dell'euro portandolo a 1000 lire invece che a quasi 2000. Dimezzando inoltre di fatto stipendi e pensioni. E la sinistra dov'era? e i sindacati dov'erano?

Marilena Arancio

roel ha detto...

A proposito dell'entrata dell'Euro, fa bene "Mammarosa" a denunciare il fatto che fummo lasciati in balia di mercanti e intrallazzatori ai quali fu lasciata mano libera di trasformare L. 1000 ad Eu 1.oo, cioè a raddoppiare i prezzi. Seguì anche il dimezzamento dei risparmi e delle retribuzioni. Inch'io, durante un breve soggiorno in Germania avevo notato che lì non era avenuto quanto accaduto in Italia e ne do piena testimonianza.
Domandarsi dov'era la sinistra, vuol dire sbattere la testa sui muri di gomma delle connivenze e dei calcoli cinici. Dov'era Prodi e tutti gli altri? Dov'erano i sindacati? Dov'erano le decine di Associazioni che si dichiarano "dei consumatori"?
Le stesse domande furono poste all'epoca in cui col "decreto salvabanche", il governo disattese le aspettative di milioni di lavoratori che pagavano interessi usurari sui i mutui. L'unica voce che denunciò il fatto fu l'Avv. Taormina che a mezzo stampa rivelò che "le banche avevano pagato i partiti". Nessuno si querelò. Dov'era Bertinotti e gli altri?
Dov'era Bassolino e la sinistra quando per decenni migliaia di tonnellate di veleni venivano sotterrati nelle campagne del napoletano? Poi si versano lcrime di coccodrillo quando la disaffezione e l'astensionismo salgono alle stelle.
Bisogna ringraziare qualche protettore se la gente non è scesa in piazza con i forconi. Ma.....................................................
Un saluto, Roel

maurizio ha detto...

Giorgio Ruffolo ha tracciato una netta ed importante distinzione fra quello che definisce capitalismo manageriale o industriale, rivolto alla produzione di beni e anche di servizi e collegato all'economia reale, e capitalismo finanziario, quello che crea denaro attraverso altro denaro, alimentando bolle speculative destinate prima o poi a scoppiare con conseguenze devastanti per la grande maggioranza della popolazione. Questo avvenne negli USA con la crisi del 1929, affrontata e in gran parte superata da Roosevelt con il New Deal di ispirazione keynesiana, anche se deve essere ricordato che verso la fine degli anni '30 l'illusione di aver risolto pienamente la crisi con il conseguente prematuro ritorno all'ortodossia economica di fatto la ripropose, sia pure in termini meno acuti, e questa ebbe termine soltanto con la superproduzione bellica richiesta dalla Seconda Guerra Mondiale. In gran parte dell'Europa invece, fra la fine del conflitto e gli anni '70, si realizzò quello che viene comunemente definito il "compromesso socialdemocratico" fra capitalismo d'impresa e forze moderate che lo sostenevano da un lato e partiti laburisti e socialdemocratici, con il loro radicamento sindacale, dall'altro. Ho voluto ricordare questo non per pedanteria, ma per ribadire che con il capitalismo industriale la sinistra politica e sindacale, dopo decenni di conflitti, trovò la possibilità di un accordo il cui frutto fu un benessere maggiore e diffuso e la grande realizzazione del welfare state. Sappiamo come con la cosiddetta rivoluzione conservatrice della Thatcher e di Reagan (1979-1980) il capitalismo volle riguadagnare i margini di profitto perduti, determinando però una contrazione della domanda a cui cercò di ovviare ricorrendo agli strumenti finanziari che, dopo una prima avvisaglia nel 2000, hanno portato alla crisi del 2007-2008. Una crisi che, esplosa negli USA come crisi del debito privato, attraversando l'Atlantico si è curiosamente (ma non tanto) trasformata in crisi dei debiti sovrani, cioè degli stati, cui si è risposto con le politiche di rigore e di austerity che hanno macellato l'Europa meridionale. Quanto in questa vulgata abbia giocato l'ideologia mainstream, con il suo codazzo di pennivendoli anche illustri lo sappiamo bene. Chi però o non l'ha capito o non ha avuto la forza intellettuale ed il coraggio politico di denunciarlo a chiare lettere è stata gran parte della sinistra europea, le cui illusioni di governare l'ingovernabile (la globalizzazione economica) e di venire a patti con la finanza nazionale ed internazionale (il sogno blairiano) risalivano agli anni '90, quando le magnifiche sorti e progressive sembravano non dover avere mai fine. Ma anche quel sogno, come tutti i sogni, a un certo punto è finito ed il socialismo europeo, detto volgarmente, si è ritrovato con il culo per terra.
Questo dice Beppe Berta nella sua bella intervista: quando il socialismo guarda a destra smarrisce la propria ragione di esistere e perde sé stesso.
Di conseguenza le due letture suggerite da Bellavita - ed è evidente a quale delle due vada la sua preferenza - sono entrambe astratte e velleitarie e, aggiungo io, deleterie. Non mi sono mai riconosciuto in una sinistra massimalista e snobisticamente radicaleggiante (ma che c'entriamo noi con questa caricatura che semmai si adatta ai Bertinotti e ai Diliberto?), ma nessun compromesso è possibile con chi ha come propria evidente finalità lo smantellamento del welfare, la totale subordinazione dell'economia al potere delle oligarchie finanziarie e delle multinazionali e la riduzione all'impotenza dei sindacati e di qualsiasi forza di sinistra non subalterna.
Maurizio Giancola


luciano ha detto...

Nella fase di inizio dell’Euro governava Berlusconi (legislatura 2001-2006) e la sinistra era all’opposizione.

Non so se la sinistra avrebbe fatto meglio del cav nel governare quel passaggio, ma almeno questa colpa non ce l’ha.

Piuttosto si può rimproverare a Prodi di avere accettato un cambio ufficiale Lira / Euro probabilmente incongruo.

LBP

felice ha detto...



La distinzione tra i due capitalismi non è netta. Nella stessa società convivono. Le società solo finanziarie impiegano il denaro loro dato dal risparmio privato e dalla liquidità delle imprese produttive


Felice C. Besostri

claudio ha detto...

per quel che riguarda il nostro paese il punto di svolta è stato quando è esplosa l’inflazione a due cifre, e i BOT sono arrivati a rendere il 19/20%: molto di più di quel che si poteva guadagnare tenendo aperta un’azienda, con tutti i rischi e fastidi conseguenti. La proprietà, o i suoi eredi, han cercato di uscirsene, e divertirsi a giocare sui titoli, da casa, coi computer non ancora personal

maurizio ha detto...

E' evidente che nella stessa società convivono imprese manifatturiere di diverse dimensioni, aziende di servizi e istituti di credito (dal sistema bancario alle società finanziarie pure). Quello che conta è che ad una fase capitalistica incentrata sull'impresa e sulla produzione, con prevalente anche se non esclusiva dimensione nazionale ed in cui il sistema creditizio svolgeva una funzione di supporto dell'attività industriale, è subentrata una fase caratterizzata innanzi tutto dalla globalizzazione senza regole sia della produzione sia dei movimenti finanziari. E' proprio fra le grandi imprese multinazionali e la finanza internazionale che esiste un nesso profondo ed inscindibile. Queste hanno il mazzo in mano e fanno e disfano a loro piacimento a fronte di una politica spesso complice o comunque impotente ad esercitare una funzione di regolazione e controllo. Poi i processi storici non avvengono mai, o quasi mai, per fratture nette, ma prevalentemente per sviluppi progressivi. L'egemonia della finanza globale e delle multinazionali, già in atto negli anni '70, fu supportata da una destra anglo-americana più radicale di quella degli anni '50 e '60 e non compresa e non contrastata dalla sinistra del cosiddetto Ulivo mondiale (per citare Veltroni): Clinton, Blair, Schroeder e i nostri fenomeni Prodi, Ciampi, D'Alema e lo stesso Veltroni. Aggiungo che uno dei capisaldi del nuovo corso è stato l'annullamento della separazione fra banche ordinarie o di deposito e banche d'affari, separazione istituita nel 1933 negli USA come uno dei primi atti dell'amministrazione Roosevelt e nel 1936 in Italia, con la legge bancaria pensata e voluta da quello strano, ma comunque geniale personaggio che fu Alberto Beneduce.
Maurizio Giancola

claudio ha detto...



per quel che riguarda il nostro paese il punto di svolta è stato quando è esplosa l’inflazione a due cifre, e i BOT sono arrivati a rendere il 19/20%: molto di più di quel che si poteva guadagnare tenendo aperta un’azienda, con tutti i rischi e fastidi conseguenti. La proprietà, o i suoi eredi, han cercato di uscirsene, e divertirsi a giocare sui titoli, da casa, coi computer non ancora personal

maurizio ha detto...

Di questo dobbiamo ringraziare Ciampi e Andreatta, autori del famigerato divorzio fra Tesoro e Bankitalia del 1981. Però il PSI non si oppose e nemmeno il PCI, almeno così ricordo. In una dimensione globale l'anno della svolta radicale fu invece il 1971, quando Nixon abbandonò la convertibilità dollaro-oro, frutto degli accordi di Bretton Woods e base dei successivi decenni positivi. Fu scaricata sull'Europa un'inflazione devastante e tutto il mercato dei cambi risultò sconvolto.
Maurizio Giancola


giampaolo ha detto...

No Maurizio, i socialisti si opposero eccome. Col II governo Spadolini poi Andreatta definì Formica "commercialista di Bari esperto di Bancarotta e fallimenti e come risposta ebbe da Formica: Professore di Cambridgge che si comporta come una comare.Sulla questione intervennea anche Pertini a stigmatizzare il comportamento di Andreatta che defini Formica come uno che voleva un governo nazionalsocialista!
A Berlinguer ed ai comunisti andava bene tutto perché il momento dell'Eurocomunismo agognava ancor più il "tanto peggio tanto meglio", sentendo che il compromesso storico con la DC era ormai vicino, tanto che difesero (con Longo PSDI) le baby-pensioni e si opposero alle ricevute e scontrini fiscali, quando queste furono istituite da Visentini, nel 1° governo Craxi.
Purtroppo la DC, vero gestore dei due forni, con la solita indecisione non contribuì certo alla maturazione di uno Stato moderno.

maurizio ha detto...

Mi sembra che Giampaolo Mercanzin confonda vicende e momenti diversi. La famosa "lite delle comari" fra Andreatta, Ministro del Tesoro, e Formica, Ministro delle Finanze", è del 1982 e verteva sul contenimento del debito pubblico. Formica in un'intervista accennò a "un grande concordato" fra Stato e detentori dei titoli e Andreatta reagì in modo iroso e anche volgare.
Io invece mi riferivo alla decisione assunta nel 1981 sempre dal I Governo Spadolini e voluta soprattutto da Andreatta e da Ciampi in base alla quale la Banca d'Italia diventava autonoma rispetto al Tesoro e non era più tenuta ad acquistare i titoli di Stato rimasti invenduti. L'obiettivo dichiarato era quello di contrastare l'inflazione, ma questo fallì miseramente e l'inflazione diminuì solo dopo il decreto di San Valentino del 1984. In compenso gli interessi sui titoli pubblici lievitarono in modo abnorme e questa - non la spesa pubblica come sostiene la vulgata mainstream - è la vera causa del grande aumento del debito pubblico registrato negli anni '80. A questa decisione profondamente sbagliata, stando almeno a quello che ricordo, né il PSI né il PCI si opposero e solo anni dopo si comprese l'errore, occultandolo però con le già ricordate menzogne sulla spesa pubblica (non eccessiva perché sotto la media europea, ma sicuramente mal distribuita) e attribuendo tutte le colpe al solito Craxi.
Maurizio Giancola

Franco ha detto...

In effetti la separazione tra Banca d'Italia e Tesoro risale al 1981, come tendenza internazionale per dimensionare inflazione e debito pubblico. Una conseguenza dell'ingresso nello SME del 1979 che il PSI approvò mentre il PCI (con il PdUP) votò contro. "Casus belli" che causò lo sfilamento del PCI dal governo di solidarietà nazionale con le elezioni anticipate del 3 Giugno 1979 dove lo stesso PCI perse circa il 4% rispetto al 1976. Franco Astengo

Giampaolo ha detto...

Lo sa il mondo, io l'ho scritto più volte. Desideravo però evidenziare che la contrapposizione DC/PSI nei rapporti politico economici proseguì, venendo appunto da lontano, non si può dimenticare che Nenni dovette rinunciare a molte riforme, la prima quella urbanistica proposta dell' INU ed anche alla riforma agraria, annusando appunto il famoso rumor di baionette (o di sciabole!). Purtroppo per debolezza elettorale il PSI non potè mai incidere più di tanto nei rappirti qiadri e pentapartito. Tantopiù che vi fu la scissione della "biciletetta".Clamoroso difatti fu il governo ne 1971, Andreotti/Malagodi, con lo spostamento a destra che porto poi il MSI ad ottenere una valanga di voti.

dario ha detto...

tanto per ricordare Craxi prese il Governo con la tassa sui poveri (inflazione) al 21% e lo consegnò con il 4,5%, purtroppo si trovò sul groppone i titoli del debito pubblico pruriennali ad un tasso altissimo che arricchì per anni i rentier ed impoverì lo Stato Italiano. Il grande debito lievitò come giustamente dice Giancola proprio per gli interessi ed esplose dopo il 1992.
Dario Allamano

maurizio ha detto...

Una storia del centro- sinistra (con il trattino) sarebbe lunga e complessa. Secondo alcuni il governo di centro-sinistra più audace e riformatore fu il tripartito presieduto da Fanfani (DC, PSDI e PRI con l'appoggio esterno del PSI) che nel '62 realizzò la nazionalizzazione dell'industria elettrica e la scuola media unica. Poi vennero i governi organici (DC, PSI, PSDI e PRI) presieduti da Moro, ma tutti sappiamo che dopo il "rumor di sciabole" del luglio '64 Nenni antepose la tenuta del quadro democratico alle riforme economiche e sociali. Comunque si ebbero le regioni a statuto ordinario nel '68 e lo Statuto dei Lavoratori ed il divorzio nel '70. Più il nuovo diritto di famiglia, un diverso sistema pensionistico, l'abolizione delle gabbie salariali, l'impostazione della riforma sanitaria e di quella urbanistica ed altro ancora. Resta il fatto che la cifra prevalente di quegli anni fu il conflitto fra la spinta riformista del PSI e le resistenze di gran parte della DC, ad eccezione della sinistra di Sullo e Donat-Cattin, profondamente diversa da quella demitiana degli anni '80. In questo Giampaolo Mercanzin ha pienamente ragione. Io però non intendevo ripercorrere la storia di quegli anni difficili e travagliati, ma limitarmi a dire che né la sinistra di governo (il PSI) né quella di opposizione (il PCI) si opposero con la determinazione del caso al divorzio fra Tesoro e Banca d'Italia, probabilmente perché non ne compresero le conseguenze devastanti. Infatti l'inflazione non diminuì fino al 1984, come abbiamo ricordato Dario Allamano ed io, e il debito pubblico lievitò soprattutto a causa dei folli tassi d'interesse, graditi peraltro non solo dai rentier ma anche da un'ampia platea di piccoli risparmiatori che sicuramente votavano in modo trasversale. E anche questo credo serva a spiegare molte cose.
Maurizio Giancola