martedì 28 gennaio 2014

Francesco Somaini: Il mito dell'art. 49

Parliamo sempre del mitico articolo 49 della Costituzione. Ma l'articolo 49 è vago. Esso non contiene delle indicazioni su come devono o dovrebbero funzionare dei partiti seri, ma si limita ad una mera enunciazione di principio : in modo tra l'altro anche piuttosto blando (perchè i costituenti furono su questo punto volutamente reticenti). Rileggiamolo infatti questo benedetto articolo 49: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". Sono parole piuttosto anodine, e tra l'altro anche ambigue: perchè a ben vedere esse nemmeno dicono esattamente che i partiti devono essere davvero democratici al proprio interno, ma solo che i cittadini concorrono liberamente attraverso i partiti a determinare con metodo democratico la politica nazionale. Nel funzionamento generale del sistema (se ne potrebbe dedurre) vige certamente la democrazia, e i rapporti tra partiti si regolano sulla base del metodo democratico. Ma poi, dentro i partiti, ognuno si regola come meglio crede. Dire dunque che bisogna tornare all'articolo 49 non significa davvero gran che. Perchè non è che lì ci sia già un dispositivo di norme bell'e pronte su come dovrebbero funzionare i partiti (per cui si tratterebbe solo di applicare una legge non attuata) No: in quell'articolo c'è soltanto la formulazione vaga di un'idea e nulla più. La verità è che dall'articolo 49, sarebbe poi dovuta discendere una legge ordinaria sui partiti politici, che ne regolasse per bene il funzionamento, e che prevedesse sanzioni per le violazioni della democrazia interna. Ma quella legge nessuno, nella storia dell'Italia repubblicana, l'ha mai voluta fare. Non lo vollero i costituenti (che venendo dall'esperienza del Fascismo, potevano anche comprensibilmente esitare ad immaginare lo Stato che mette il naso nella vita dei partiti appena rinati). E non lo vollero tutti quelli che sono venuti dopo (per motivi, in genere, assai meno nobili di quelli dei "Padri"). E noi crediamo forse che adesso una legge sui partiti la possa o la voglia scrivere il Parlamento attuale? C'è forse qualcuno che si illude davvero di questo? Ve lo immaginate come potrebbe essere questa ipotetica legge Renzi-Verdini-Casaleggio? La verità, purtroppo, è che nemmeno l'art. 49 potrà davvero risolvere i nostri problemi di deficit clamoroso e crescente di democrazia. Nè potrà restituire ai cittadini la possibilità di scegliere davvero da chi farsi rappresentare... La domanda di vera democrazia dovrà dunque levarsi necessariamente dal basso, costringendo a cedere chi vi si oppone. E allora la prima cosa da fare, più che invocare inutilmente l'art. 49, dovrà necessariamente essere quella di non votare per i partiti che lavorano per comprimere (anziché per estendere) gli spazi di democrazia. Fanno l'"Italicum"? Propongono un parlamento col 100 % di nominati, con premio "di minoranza", e con sbarramento per "asfaltare" chi non si piega ai diktat del più forte? Benissimo. L'unica soluzione - nell'attesa che la Corte ci venga a dire che questa legge è altrettanto incostituzionale del "Porcellum" appena invalidato - è quella di far scoppiare loro il giocattolo in mano. E la prima cosa è non votare per nessuno di coloro che faranno passare una legge del genere. Altrimenti, se li votiamo, non ci dobbiamo lamentare... Un saluto, Francesco Somaini

7 commenti:

Maurizio ha detto...

In effetti la formulazione dell'art. 49 è piuttosto vaga. Forse - lo dico da profano - si potrebbe discutere se l'espressione "con metodo democratico" sia da riferirsi anche alla vita interna dei partiti o, come sostiene Francesco, solamente alla competizione fra questi. Ho letto tempo fa che i fautori dell'articolo furono soprattutto Mortati, Basso e Calamandrei mentre Togliatti, per evidenti motivi, si opponeva. Si arrivò al compromesso e pertanto la formulazione è quella che è. I fautori pensavano ad una legge ordinaria attuativa che però non fu mai affrontata, inizialmente per l'ostilità del PCI (il PSI all'epoca era subalterno), poi per il generale disinteresse. Sicuramente nessuna delle attuali forze politiche sarebbe disponibile. Per cui diamoci da fare.
Fraterni saluti
Maurizio Giancola

elio ha detto...

Francesco Somaini ha ragione: l'articolo 49 è piuttosto vago. Alla Costituente il dibattito sulla democrazia interna dei partiti fu molto acceso e alla fine fu trovato un compromesso sull'articolo 49 tra le posizioni di Mortati, Aldo Moro e molti altri di cultura liberale e quelle di Togliatti e Marchesi, irremovibili, che del partito avevano la concezione che sappiamo. Il 22 maggio del 1947 all'Assemblea Costituente si discute sul ruolo e sull'organizzazione dei partiti. Costantino Mortati, trentunenne, poi grande costituzionalista, propone l'emendamento....." che i partiti si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale"( I soldi dei partiti- Veltri e Paola) Interviene Aldo Moro:" I partiti sono organismi i quali devono operare con metodo democratico quale è universalmente riconosciuto, ed è evidente che, se non vi è una base di democrazia interna non potrebbero trasfondere indirizzo democratico nell'ambito della vita politica del paese.....Per questa ragione voteremo in favore dell'emendamento Mortati( Idem)

L'emendamento non è stato approvato. Il relatore Merlin sottolineò che agli atti dell'assemblea , a futura memoria, rimaneva scritto che l'articolo 49 avrebbe dovuto attuarsi con legge ordinaria riprendendo il dibattito sulla democrazia interna. I partiti hanno disatteso l' impegno e per oltre 60 anni non ne hanno voluto sapere. La prima proposta la presentò don Sturzo e fu buttata nel cestino. Poi, molto meno autorevomente, ne presentai una io che fece la stessa fine. Ricordo che nel dibattito sul finanziamento pubblico dei partiti, al quale si opposero solo i liberali, questi ultimi tentarono di riprendere il discorso sulla democrazia interna avvertendo tutti gli altri che il finanziamento pubblico, in assenza di democrazia interna, avrebbe peggiorato la situazione. I liberali hanno avuto ragione e i partiti si sono trasformati in oligarchie o in partiti personali. Ma non hanno imparato la lezione. Sono disponibili a rinunciare a gran parte dei finanziamenti ma non ad aprire una discussione seria sulla democrazia al loro interno. Che poi significa: trasparenza dei finanziamenti e certificazione dei bilanci( non hanno mai voluto nemmeno i bilanci riguardanti i finaziamenti ai gruppi parlamentari. Infatti non esistono), selezione delle candidature, rispetto delle minoranze ecc. Insomma, hanno preferito suicidarsi . Quindi la discussione sull'articolo 49 sarebbe importante per aprire il libro sulla democrazia interna chiuso rapidamente. Elio Veltri

Nel prologo dellibro abbiamo scritto che "Il nostro saggio trae spunto e ispirazione dall'indimenticato e sempre attuale scritto di Piero Gobetti su Giacomo Matteotti". ( P.Gobetti, Matteotti, Torino 1924- Gobetti editore).

martelloni ha detto...

Vera l'analisi di Somaini rispetto al testo relativamente al regime interno dei partiti. Però: che senso avrebbe associarsi liberamente e concorrere con metodo democratico, e dunque certamente anche e soprattutto con la partecipazione alle elezioni politiche, se poi il cittadino non si vede "liberamente" rappresentato in Parlamento dove i suoi rappresentanti possono concorrere con metodo democratico alla formazione della decisione politica? E quale sistema elettorale garantisce meglio la rappresentanza politica del demos se non il proporzionale? Insomma dalla democrazia governante stiamo da tempo passando al Governante della democrazia (posto che questa in tale processo sopravviva), cioè al leader carismatico ormai inevitabilmente populista.

Giustaanche l'indicazione politica di Somaini, tanto più che la genealogia appare essere: dal Porcellum lumbard alla Porchetta romana!

Vittorio Melandri ha detto...

Nel mio piccolo resto un convinto sostenitore dell’idea che i cittadini debbano contribuire a determinare la politica delle comunità di riferimento, da quelle più piccole sino a quelle più grandi. Poiché la strada della “delega” è ancora allo stato delle cose l’unica percorribile, o perlomeno nel mio piccolo non vedo alternative, servono “Contenitori” nei quali sia possibile aggregare la partecipazione di prima istanza, capaci poi di selezionare i delegati alle istanze successive. Che si chiamino “partiti” o in altro modo, sono “contenitori” ai quali ovviamente, non è possibile imporre a priori dei vincoli ideologici (termine qui inteso nella sua accezione positiva) né, tanto meno, si possono imporre dei nomi per legge, ma ai partiti però, dovrebbero essere imposti dei vincoli giuridici, capaci di indurli a rendersi sempre più adeguati al dettato costituzionale, che meglio non riesco ad evocare se non citando la Corte Costituzionale, che con una sua ormai “antica” sentenza, rimanda alla:

“..tutela del metodo democratico. Gli Artt. 1 e 49 della Costituzione proclamano tale metodo come il solo che possa determinare la politica sociale e nazionale.” (Sentenza n. 87 anno 1966 -Corte Costituzionale, Presidente prof. Gaspare Ambrosiani)


Vittorio Melandri ha detto...

Mi sono conservato un articolo apparso su l’Unità del 2007, in cui il compagno Elio Veltri rispondeva a Sposetti.



I partiti e l’articolo 49 una storia italiana
l’Unità 29 Marzo 2007
Elio Veltri

Ugo Sposetti, tesoriere nazionale dei Ds, sull'Unità del 23 marzo pone il problema dell'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione e del «riconoscimento giuridico dei partiti» e cioè, della responsabilità dei partiti di fronte alla legge. Sposetti ricorda il dibattito alla Costituente e l'opposizione di Togliatti e Marchesi alla proposta di controllo dell'attività interna dei partiti.
Essa era sostenuta da Mortati e da altri Costituenti i quali chiesero con forza di conferire anche «rilevanza interna» al metodo democratico richiamato dall'articolo 49, attraverso il controllo delle attività più significative della vita interna di partiti: rispetto degli Statuti, trasparenza e provenienza dei finanziamenti, tutela delle minoranze, selezione delle candidature, certificazione dei bilanci, che lo stesso Sposetti ritiene necessarie per porre rimedio al degrado della politica e restituirle la necessaria e urgente dignità.
Le cose, purtroppo, sono andate diversamente perché nella discussione prevalse infine il cosiddetto «complesso del tiranno» e cioè la preoccupazione di Togliatti e di chi ne condivideva le posizioni di dare un'arma in mano agli avversari dei partiti con il rischio di controllarne e limitarne l'azione. Preoccupazione giustificata dalla recente esperienza della dittatura fascista che aveva sciolto i partiti e azzerato la vita democratica del paese.
Il compromesso tra le due scuole di pensiero fu la scrittura dell'articolo 49 della Costituzione che fa riferimento solo alla «rilevanza esterna» del metodo democratico senza alcun riferimento alla democrazia dell'organizzazione interna. Togliatti, a giustificazione della sua posizione e di quella dei comunisti affermò: «domani potrebbe svilupparsi un movimento nuovo, anarchico, per esempio. Io mi domando su quali basi si dovrebbe combatterlo. Sono del parere che bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione democratica, convincendo gli aderenti al movimento delle falsità delle loro idee. Ora non si può negargli il diritto di esistere e di svilupparsi, solo perché rinuncia al metodo democratico».
È evidente, che se era difficile condividere gli argomenti a difesa della posizione del leader comunista nel contesto di allora, oggi è del tutto inaccettabile perché un movimento politico che rinuncia al suo interno al metodo democratico tende a comportarsi nello stesso modo nelle istituzioni. L'onorevole Merlin, relatore sull'argomento, nel concludere il dibattito disse che ognuno degli articoli «esigeva una legge particolare». Invece, non se n'è fatto nulla e davvero pochi parlamentari, negli anni, hanno riproposto il problema: Luigi Sturzo al Senato nel 1958; la Commissione bicamerale presieduta dall'Onorevole Bozzi e nella legislatura 1996-2001 l'onorevole Claudia Mancina e chi scrive. Nessuno dei proponenti ha avuto fortuna perché chiunque abbia assunto iniziative tese a vigilare sulla democrazia interna dei partiti, sia pure con l'obiettivo di conferire dignità alla politica, migliorarne la trasparenza, restituire ai partiti il ruolo costituzionale di mediazione tra la società e le istituzioni, esaltandone così la funzione, reclamare la trasparenza e la liceità dei finanziamenti, azzerare i conflitti di interesse tra i partiti, le istituzioni e i cittadini, contenere i costi della politica, ha dovuto subire l'accusa di essere un nemico dei partiti e quindi della democrazia.


(continua)

Vittorio Melandri ha detto...

(II parte)

«Quello, che vogliamo abbattere è la partitocrazia», scriveva Occhetto nel 1998, «per sostituirla con la Repubblica dei cittadini. La differenza è che nella Repubblica dei partiti il partito è l'alfa e l'omega, l'inizio e la fine di tutta l'attività politica. Nella Repubblica dei cittadini il punto di partenza è il cittadino che naturalmente può costituirsi in partito; ma il partito è uno strumento secondario rispetto al soggetto principale».
In questa legislatura sono state depositate in Parlamento alcune proposte( Salvi e Villone; Castagnetti) e c'è da augurarsi che vengano prese in seria considerazione, dal momento che i problemi si sono aggravati con evidente distacco tra i cittadini, i palazzi della politica e le istituzioni. La riforma della politica, della quale la responsabilità dei partiti di fronte alla legge, costituisce un punto fondamentale e qualificante, insieme alla costituzionalizzazione dei conflitti di interesse e alla riduzione dei costi della politica, è diventata una vera emergenza democratica.
I partiti politici, infatti, sono associazioni private, che decidono la vita pubblica del paese: i programmi dei governi a tutti i livelli istituzionali, la selezione dei gruppi dirigenti, le nomine nelle società e negli enti che di volta in volta suggeriscono o impongono ai governi e alle assemblee elettive. Essi si occupano anche dei rapporti tra politica e affari, dai quali dovrebbero astenersi, perchè fonte di gravi conflitti di interessi.



Sono associazioni private, senza alcuna disciplina legale e quindi «deresponsabilizzate», per cui di fatto sono «legibus soluti» nonostante le rilevantissime funzioni pubbliche che essi svolgono.
E questo, come ha scritto Pierluigi Mantini, costituisce un paradosso giuridico e istituzionale dal momento che la disciplina legale di attività fondamentali quali l'iniziativa economica e la proprietà privata e di molti soggetti privati che esercitano funzioni pubbliche (associazioni di categoria, ordini professionali, formazioni sociali) non è affatto trascurabile.
I finanziamenti privati sono spesso opachi, ingiustificati e illeciti e i finanziamenti pubblici, oltre 3,5 miliardi di euro, dal 1974, decisi nelle aule parlamentari e con accordi trasversali, sono tutt'altro che trasparenti. I bilanci mancano dei requisiti ritenuti necessari dalla Corte di Cassazione e la Corte dei Conti scrive che la legge non consente controlli.
Per queste ragioni le proposte presentate dai Parlamentari sono importanti e c'è da augurasi che ad esse si accompagni, in tempi brevi, una proposta di legge di iniziativa popolare, che avrebbe anche la funzione di amplificare il dibattito tra i cittadini.

Vittorio Melandri ha detto...

E finisco di annoiarvi sostenendo che….. ad essere contro l’art. 49 e la sua attuazione non a caso sono proprio i partiti politici italiani, ciascuno a suo modo, ma tutti di fatto contro….

Costituzione Art. 49

Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

In questa frase mi pare chiaro che:

il “soggetto” sono “i cittadini”… tutti!!

il “predicato verbale” rimanda ai verbi “associare” “concorrere” “determinare”

il “complemento oggetto” rimanda a “i partiti” a “la politica nazionale” Etc. etc.


“La Costituzione è precisa su questi punti. I partiti non debbono essere le agenzie di collocamento delle loro clientele e non debbono occupare le istituzioni, ma comportarsi come organi di indirizzo politico e di raccolta del consenso dei cittadini attorno ad una concezione del bene comune, d’una scala di valori e di legittimi interessi che ogni partito rappresenta.
Le istituzioni dal canto loro sono gli strumenti erga omnes che traducono operativamente l’indirizzo della maggioranza, a patto di preservare la distinzione fondamentale tra lo Stato e il governo. I governi cambiano se cambia il consenso popolare; lo Stato invece permane ed è il contenitore dell’interesse generale.”

In questa frase……. di Eugenio Scalfari

il “soggetto”…. sono…. “i partiti”

il “predicato verbale” rimanda ai verbi “essere” “occupare” “comportare” “raccogliere”

il “complemento oggetto” rimanda a “i cittadini” a “le istituzioni” etc. etc.

Mi pare evidente che Scalfari si riferisce con puntiglio alla Costituzione, e pure afferma quanto tale testo sia preciso, ma ai suoi lettori propone esattamente il contrario di quello che la Costituzione dice, e cosa la Costituzione vuole.

Il primo termine che Euclide indica nei suoi elementi, è il “punto” e così lo definisce…

“Il punto è ciò che non ha parte”

Come visto sopra, i “partiti”, secondo la nostra Costituzione sono un complemento oggetto nelle mani del soggetto “cittadini”; la “partitocrazia” di cui si fa un gran parlare in negativo, lasciando però sempre nell’indeterminatezza cosa sia, e lasciando quindi che ciascuno pensi alla “partitocrazia” a modo proprio, credo meriti una opportuna definizione, e copiando da Euclide, mi vien di sostenere che …..

“La partitocrazia è ciò che vede i partiti, che nella Costituzione sono complemento oggetto, diventare soggetto, ed i cittadini che sono soggetto diventare complemento oggetto

Quando sostengo che il problema di questo paese sono i “buoni” e non i “cattivi”, mi pare di essere meno imbecille di quanto a volte credo di essere, ma contemporaneamente, il mio pessimismo cresce….. anche se è vero che ai pessimisti possono arrivare dal futuro smentite, cioè buone notizie, mentre agli ottimisti quando arrivano smentite…… sono notizie cattive.


P.S. Concludo con una nota di ottimismo (sic! sic!) che consiste nel rievocare l’incipit di uno scritto di Italo Calvino che ho di recente rincontrato.

Calvino. Tutto in un punto (Calvino I., Le Cosmicomiche, Torino, Einaudi 1980, I ed. 1965)

Attraverso i calcoli iniziati da Edwin P. Hubble sulla velocità d’allontanamento delle galassie, si può stabilire il momento in cui tutta la materia dell’universo era concentrata in un punto solo, prima di cominciare a espandersi nello spazio. Si capisce che si stava tutti lì, - fece il vecchio Qfwfq, - e dove, altrimenti? Che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva. E il tempo, idem: cosa volete che ce ne facessimo, del tempo, stando lì pigiati come acciughe? Ho detto "pigiati come acciughe" tanto per usare una immagine letteraria: in realtà non c’era spazio nemmeno per pigiarci. Ogni punto d’ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti.