lunedì 24 dicembre 2012

Stefano De Bartolo: La discesa in campo di Monti

Cari compagni, vi invio questa mia riflessione sulla discesa in campo di Monti e vi auguro buon Natale Discesa in campo di Monti e chiarificazione del quadro politico italiano La partecipazione di Mario Monti al vertice del PPE è stata giudicata positivamente dai tanti compagni che vedono, nella sua discesa in campo al fianco delle forze centriste, un elemento di chiarificazione del quadro politico: da un lato una destra rispettosa del galateo istituzionale e liberista che propone l’austerità e la svalutazione interna per recuperare la competitività; dall’altra una forza di sinistra che si avvicina ulteriormente al PSE, abbandonando definitivamente le ambiguità veltroniane. Si tratta di un quadro che è ulteriormente confermato dalla partecipazione di Monti alla presentazione del nuovo piano di sviluppo dello stabilimento Fiat di Melfi. Al fianco dell’amministratore delegato Marchionne, il premier ha attaccato la CGIL e le sue battaglie a difesa di tutele che appartengono ad un “passato che non tornerà”. Non possiamo che essere contenti della riemersione della dialettica capitale- lavoro. A lungo marginalizzata nella (presunta) era della conoscenza e dell’ opportunità, la questione del lavoro (e dei lavoratori) torna al centro della scena politica, dopo essere riapparsa anche in quella teorica (Stiglitz e Fitoussi, per citare solo quelli meno estremisti, ma anche istituzioni tradizionalmente ortodosse come il fondo monetario internazionale e l’ organizzazione internazionale del lavoro si interrogano da tempo sul peso che le crescenti disuguaglianze hanno avuto nello sviluppo dell’attuale crisi economica). Non tutti sono felici di questa chiarificazione del quadro politico che porterebbe davvero l’Italia nell’Europa. Anziché affrontare le spinose questioni del presente, molti impostano i propri discorsi intorno al binomio responsabilità-irresponsabilità. Uomini responsabili: Mario Monti e Giorgio Napolitano che hanno impedito che l’Italia cadesse nel baratro. Irresponsabile: Silvio Berlusconi che ha portato l’Italia ad un passo dalla bancarotta e che oggi ripropone promesse pericolose e irrealizzabili. Innanzitutto c’è in questa interpretazione una chiara impostazione ideologica (nel senso deteriore del termine), perché non è affatto vero che fossimo sull’ orlo del baratro, così come non è vero che lo spread dipenda più dalla credibilità istituzionale di Monti che non dai dati strutturali e dall’ intervento monetario (soprattutto indiretto) realizzato dalla BCE. Quel che è peggio è che questa interpretazione ideologica preclude una critica da sinistra alle politiche montiane. Attaccare Berlusconi quando cita Krugman e le sofferenze che derivano dall’austerità vuol dire colpire quelle prospettive di cambiamento che i socialisti seppure con fatica e tentennamenti stanno costruendo in Europa. Dire che Berlusconi non è credibile, è cosa ben diversa dal dire che i suoi ragionamenti siano da irresponsabile. La rievocazione della dicotomia berlusconismo-antiberlusconismo (sotto la forma del contrasto tra responsabilità-irresponsabilità) comporta la riproposizione di uno scontro dai connotati moralistici, che rimane ben al di sotto delle vere contraddizioni che caratterizzano la nostra società. Noi socialisti dobbiamo fare di tutto affinché le contraddizioni sociali ed economiche non vengano mascherate e/o giustificate da approcci moralistici. Per farlo è necessario, prima di tutto, rinfocolare la fiducia di quei compagni che di fronte alla crisi delle ideologie (questa volta nel significato migliore del termine) e dei partiti di sinistra (tutti, non solo quelli comunisti colpiti dalla caduta del muro) hanno ripiegato su battaglie volontaristiche e disperse. Dal commercio equo e solidale a Legambiante, da Libera a Slow Food, tante sono state le esperienze che, dal basso, hanno espresso in modo scoordinato un’ opposizione alle pratiche neoliberali. Caratterizzate da una scarsa fiducia nelle istituzioni e nelle organizzazioni partitiche e sindacali, queste associazioni hanno intessuto, di volta in volta, rapporto con politici onesti e sensibili, mantenendo comunque un atteggiamento di sostanziale sfiducia nei confronti dei corpi sociali intermedi, considerati elementi strutturalmente opachi e scarsamente democratici. Dal punto di vista teorico, queste nuove forme di associazionismo hanno enfatizzato il presunto passaggio, nell’ambito dell’amministrazione pubblica, dalle logiche di government a quelle di governance. Con il concetto di governance si intende l’esercizio di poteri formali e informali finalizzato alla creazione del consenso attorno alle scelte pubbliche, e caratterizzato dalla centralità delle interazioni con gli attori presenti ai vari livelli del contesto socio-politico. Rhodes definisce governance una forma non gerarchica di potere in cui aziende e istituzioni private non statali partecipano alla definizione e realizzazione di politiche pubbliche. Che le reti non gerarchizzate non fossero in grado di impedire il ritorno dell’ esclusione sociale e favorire lo sviluppo sostenibile era visibile già da anni. D’altra parte, come per tante altre cose, è solo con lo sviluppo della crisi economica che il contrasto diventa stridente. Il processo di ricentralizzazione delle risorse e del potere, il carattere classista delle politiche di austerità e persino il pesante condizionamento di Stati esteri ha palesato la rilevanza, nell’ambito della riproduzione capitalistica, delle pratiche verticistiche, molto distanti dalle velleità democratiche e post-democratiche dei tanti sostenitori della governance. Di fronte alla pesantezza della controffensiva neoliberista la sinistra deve essere in grado di reagire, non solo riconoscendo l’importanza della dialettica capitale-lavoro (come già detto), ma anche recuperando la fiducia nell’ intervento statale e innestando le nuove tematiche (in primo luogo quell’ ambientale) all’interno delle proprie analisi sul modo di produzione capitalistico. La sinistra deve, altresì, riacquistare fiducia nelle proprie organizzazioni e nelle istituzioni democratiche. Occorre riaffermare l’importanza della formazione di una classe dirigente adeguata, capace di sostenere un processo di crescita e di partecipazione collettiva. Per superare la rassegnazione e la sfiducia attuale occorre riaggregarsi intorno alle principali contraddizioni sociali ed ambientali, come è successo nel secolo scorso con le lotte bracciantili nel Meridione. Solo ripartendo dalle contraddizioni sociali ed ambientali è possibile superare quel circolo vizioso che paralizza soprattutto le regioni meridionali. La cattiva gestione delle istituzioni democratiche e delle organizzazioni partitiche e sindacali crea un clima di sfiducia che impedisce la costruzione di un’alternativa autentica. Le battaglie per il rinnovamento vengono combattute mettendo da parte le visioni generali e concentrandosi esclusivamente su moralità e spirito di servizio. Il più delle volte si finisce per raggiungere solo porzioni esigue di popolazione e non si coinvolge quella che dovrebbe essere la propria base sociale di riferimento. Stefano De Bartolo

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