venerdì 6 febbraio 2009

Michele Ainis: La lumaca e l'elefante

Da La Stampa

6/2/2009

La lumaca e l'elefante





MICHELE AINIS

A quanto pare, il decreto legge per Eluana non vedrà mai la luce. E allora sia detto senza enfasi: lo stop del Capo dello Stato ripristina la legalità costituzionale, o almeno quel poco che ne rimane in circolo. Perché ciascuno nutre le proprie convinzioni, in questo caso che divide le coscienze, che ci interroga sul significato stesso della vita. E ogni opinione è lecita, nessuna ha il monopolio della verità. Ma via via il conflitto etico ha debordato in conflitto tra poteri, in una malattia delle nostre istituzioni. Tanto da scomodare la Consulta, che l’autunno scorso ha già dovuto pronunziarsi in ordine al conflitto tra Parlamento e Cassazione su questa medesima vicenda. L’arma del decreto avrebbe sparato l’ultimo colpo, quello letale. Anzi un doppio colpo, contro il potere legislativo e contro il potere giudiziario. Togliendo al primo la libertà di discutere nel merito la nuova legge sul testamento biologico. Privando il secondo dell’autorità del giudicato, giacché sul caso Englaro c’è una sentenza ormai definitiva.

Ma questo delitto tentato, benché non consumato, ci impartisce pur sempre una lezione. E la lezione mette a nudo i vizi della politica italiana, le sue miserie, le sue fragilità. A partire dallo scarso rispetto delle regole, e perciò a partire dalla regola fondante delle democrazie, la separazione fra i poteri dello Stato. Quando un potere ruba il mestiere all’altro, quando l’esecutivo si fa al contempo legislatore e giudice, s’apre una deriva autoritaria, al di là delle più nobili intenzioni. Sennonché l’anomalia italiana sta nel fatto che la prepotenza si sposa all’impotenza, che strappi e scippi provengono da un pugile suonato.

La trovata del decreto legge per Eluana ne offre l’ennesima conferma. Quanto tempo hanno bruciato le due Camere senza riuscire a licenziare una disciplina sulle volontà di fine vita? A occhio, tutta la legislatura trascorsa, tutto questo scampolo della legislatura inaugurata nel 2008. Sicché per una volta la lumaca giudiziaria è stata più veloce dell’elefante parlamentare. Da qui l’urgenza, da qui il decreto. E d’altronde ormai la legge è sempre legge di conversione d’un decreto, l’urgenza è diventata permanente. Al pari della dichiarazione d’emergenza, che fu usata per esempio dal governo Prodi (nel 2006) per restaurare il David di Donatello danneggiato durante l’alluvione di Firenze (nel 1966).

Il guaio è che urgenza ed emergenza dipendono dal medesimo soggetto che dovrebbe poi mettervi riparo. Il guaio inoltre è che la pezza finisce per essere peggiore del buco. Perché un atto legislativo su una singola persona è un provvedimento odioso, una legge personale. Perché nella fattispecie avrebbe pure assunto le sembianze d’un provvedimento strampalato, dato che non era all’ordine del giorno del Consiglio dei ministri, sicché il governo avrebbe dovuto fargli spazio nel decreto sulla rottamazione delle lavatrici. Perché infine avrebbe innescato senza dubbio un altro ricorso dinanzi alla Consulta, come se fin qui non ne avessimo contati già abbastanza, di pasticci che si trasformano in bisticci.

E c’è poi un secondo fattore di debolezza, che chiama in causa la laicità delle nostre istituzioni. Se la politica fin qui si è rigirata i pollici senza provvedere, se in ultimo ha tentato la mossa disperata del decreto, è perché subisce i venti che soffiano sopra il cupolone. Curioso: le gerarchie vaticane sono diventate pervasive, ed anche più aggressive, da quando le chiese sono vuote di fedeli. Anche le gerarchie partitiche gonfiano i muscoli da quando le sedi dei partiti sono vuote d’iscritti e militanti: basta rievocare il sistema con cui ci hanno costretti al voto nelle due ultime elezioni, espropriandoci della libertà di scegliere i nostri rappresentanti in Parlamento. Questa doppia debolezza, questa doppia prepotenza, confisca la nostra vita pubblica. Ma può accadere che venga a sua volta confiscata dalla resistenza d’un singolo individuo: il cittadino Englaro, il cittadino Napolitano.

michele.ainis@uniroma3.it

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