RIFLESSIONI SUL PROCESSO MIGRATORIO
di Giancarlo Nobile
csde@libero.it
Quando affrontiamo il processo migratorio in atto dobbiamo sempre tener presente, anche se può sembrare una semplificazione, che il processo è un fatto nuovo, che le sue potenzialità non si sono ancora manifestate. Questo approccio implica un modo più profondo di affrontare la questione. Una cosa nuova vuol dire che tutti i meccanismi che si mettono in moto, tutte le forze che agiscono sono prodotti di qualcosa che non ha esaurito la sua spinta e che produrrà un movimento che modificherà le strutture in essere in un modo che ad oggi non è dato sapere se non ipotizzare.
In Italia, e nel sud in particolare che è oggetto di questa riflessione, vede una migrazione essenzialmente di passaggio. Il migrante trova un situazione apparentemente simile alla sua di partenza come il familismo tribale (non i cinesi che sono un fenomeno a parte in quanto migrano per rotte e finalità predefinite e con interi nuclei familiari).
L’impatto appare meno traumatico all’inizio sotto il profilo sociale ed economico, il lavoro sottopagato sia quello illegalmente/legale che quello propriamente illegale dà una certa possibilità di sopravvivenza. I migranti trovano una società apparentemente accogliente come una mamma ma questa è una società chiusa nella mentalità prodotta dal trialismo familistico che mette in atto meccanismi di difesa verso gli esterni anche feroci, in un mio saggio scrivo: ‘Il nostro sud è succube di un modo distorto di vivere la società. Nel sud si tende a chiudersi nella famiglia ciò che è fuori è estraneo o può diventare nel migliore dei casi, utile alla famiglia, ma mai può entrare in rapporti con la famiglia, Questo modello è il famoso ‘familismo amorale’ e si può ben vedere che una famiglia chiusa non solo non feconda la società, ma tende a produrre fenomeni di autodifesa come lo sono la mafia, la camorra, la ndrangheta e la sacra corona unita (1)
Ben pochi resistono, la maggior parte si sente cittadina del mondo e vuol migliorare il proprio tenore di vita e va verso il nord delle mille fabbriche ma in special modo verso il cuore di Eurolandia il nuovo, mitico, ma falso Eldorado.
Quelli che restano stanno cambiando la geografia umana dei luoghi le città stanno vivendo un cambiamento sociale senza precedenti, ad un velocità altissima, impressionante e diviene difficile poter assorbire il cambiamento senza traumi. I cittadini stanno vedendo il mondo cambiare in modo repentino e lo vedono cambiare nel loro quotidiano e la risposta, in genere, è di chiusura, di paura. Occorrerebbero strutture, ponti che medino e uniscano le differenze ma, oggi, questo lavoro, questa storica, immensa, rivoluzione è affidata all’eroica buona volontà di pochi.
Sta cambiano l’economia di intere zone in special modo con la migrazione cinese che si muove estremamente compatta e con obiettivi predefiniti, è una migrazione non stracciona ma ricca di capitali per comprare case – interi quartieri in poco tempo diventano zone simili a Canton la città che dà il maggior numero di migranti – e per aprire esercizi commerciali come ristoranti tipici ed essenzialmente piccole fabbriche di vestiario gestite in modo spregiudicato in una logica di massimo sfruttamento della mano d’opera e del mercato mettendo in tal modo in discussione tutte le conquiste sindacali e democratiche.
Nell’osservare il fenomeno migratorio sorge preponderante la questione. Come è possibili una domanda di lavoro straniero in presenza di un tasso di disoccupazione nel sud che giunge al 24,9%
Il processo migratorio in atto in tutta l’area del pianeta che viene definita sviluppata (Stati Uniti, Eurolandia, Giappone) è il prodotto di un diversa distribuzione della popolazione mondiale causata da vari fattori come la risposta ad un generale malessere socio-economico: essa è incoraggiata da vari Stati nell’intento di alleggerire la pressione demografica sul mercato del lavoro, la molla per migrare può essere la volontà di un diverso tenore di vita, oppure di fuggire da processi di degrado ambientale come la crescente desertificazione di vaste aree del centro Africa o per evitare le tante guerre in atto.
In merito scrive il geografo sociale Fabio Parancandolo(2), oggi, nel mondo, tra i massimi studiosi del fenomeno migratorio: .. numerosi elementi lasciano intendere che indipendentemente dalla più svariate componenti motivazionali che si possono attribuire agli eventi migratori – leggendoli come frutto di giovanile curiosità per ciò che è nuovo. Dedizione alla propria famiglia o comunità religiosa, esigenza di avanzamento nella scala sociale o anche come effetto di un troppo spesso invoca disperazione e povertà materiale – sta di fatto che i migrati giungono in Occidente spinti dal desiderio di assumere a pieno titolo il proprio ruolo di cittadini del mondo e dalla consapevolezza di essere perfettamente in grado di svolgerlo…
Se viaggiamo in aereo nel sud del mondo vediamo sui tetti di capanne e tuguri tante enormi parabole. E’ questa una forma dio inquinamento mentale. I miliardi di disperati del mondo hanno il virtuale paradiso del Nord ricco direttamente in casa, un paradiso che non si raggiunge dopo la morte ma che si può raggiungere in poche ore d’aereo su carrette del mare: basta pagare la mafia globalizzata. Ricordo in tal proposito che l’Italia, come aiuto ai paesi del Nord Africa, avviò e attuò un progetto culturale installando antenne per captare RAI 1: fame e disoccupazione ma in compenso con Panariello!
Queste popolazione sotto varie spinte emozionali sognano e cercano la realizzazione della grande promessa del Nord: lo sviluppo. Sogno falso e tragico.
La grande promessa dello sviluppo per tutti ha trovato piena legittimazione, diffusione e applicazione da circa 40 anni, ove ha imposto il concetto di benessere misurato esclusivamente con parametri di tipo economico. Ma una crescita infinita non è possibile in un sistema finito, sembra lapalissiano, ma molti non vogliono o fingono, per interessi, più o meno palesi, di non capirlo.
Lo sviluppo è il continuo conseguimento di un obiettivo che si sposta sempre più avanti e riduce tutte le risposte al solo tipo economico. Le risposte devono essere appropriate alla capacità del sistema Terra e ai bisogni reali degli uomini: non tutto è riconducibile a risposta produttiva. Materia prima, forza motrice, lavoro; ma tutto è trasformabile in merce consumo. Il concetto di sviluppo che ha inspirato le politiche e i rapporti sociali e istituzionali è in crisi ovunque.
La disuguaglianza economico-sociale con lo sviluppo è diventata tragica.
Il 18% della popolazione mondiale, più o meno 800 milioni di persone, dispone dell’83% del reddito mondiale, mentre 82% della popolazione mondiale, più o meno 5 miliardi di persone, si spartiscono il restante 17%. Quanto all’uso, all’abuso e alla distribuzione dell’ecosistema Terra, i paesi più ricchi consumano il 70% di energia, il 75% del metallo e l’85% de legno.
Le 10 persone più ricche del mondo possiedono patrimoni per 122 miliardi di dollari, che equivalgono una volta e mezzo il reddito dei 48 paesi più poveri. Ma la povertà è forte anche nelle nazioni dell’apparente nord opulento nei Stati Uniti 1% della popolazione possiede il 40% della ricchezza e il 79% il restante 20%. E la forbice si allarga sempre di più dal 1979 al 1993 il solito quinto più povero ha perso il 17% del reddito che aveva, mentre il quinto più ricco l’ha aumentato del 18%.
Questo è il quadro del fallimento.
Le tante parabole televisive rivolte verso il cielo danno illusoriamente un’immagine di benessere al altissimo livelli per tutti, ma contemporaneamente, positivamente, danno un senso di appartenere tutti a questo mondo, di essere cittadini del pianeta.
Tante ragioni per fuggire dal proprio paese, pochissime ragioni o nessuna per tornarci. Ma essendo un processo nuovo le nazioni riceventi hanno difficoltà ad accogliere il flusso e chi viene ha da parte sua difficoltà ad inserirsi.
L’Eurolandia ed in special modo l’Italia ha sempre avuto un atteggiamento bivalente verso le altre popolazioni, per retaggio culturale si è sempre sentita superiore agli altri e la massima elaborazione che ha messo in atto è stata quella dell’assistenzialismo pietistico, e organizzativamente ha lasciato agire strutture private in special modo quelle gestite da associazioni cristiane.
Agendo i tal modo ha sempre avuto difficoltà a mettere in essere una vera e propria integrazione e ad una visione veramente paritaria tra tutti gli uomini, anche se è qui che sono nate la laicità e le concezioni di più alta unità tra tutti gli abitanti del pineta.
Dalla parte dei migrati, che è per la maggioranza la prima generazione che entra nella realtà europea, vi è la difficoltà di inserimento in una società che si sente superiore ma ha anche elaborato e vive la laicità della persona, in quest’ambito vanno ricordati i fondamentali studi di Calogero Martorana (3) animatore dell’UAAR, tra dicotomia della percezione della laicità democratica col suo relativismo e la società rigida e codificata dalla religione. Questa dicotomia rende ancor più difficile l’inserimento se da una parte la società laica seduce con la sua libertà (anche se molte volte apparente) dall’altra respinge chiusa in una supponenza culturale.
La questione di fondo, e il più difficile da risolvere, resta l’atteggiamento negativo dei cittadini nei confronti dello straniero e dell’alterità. Che da luogo alla contrapposizione tra culture e società diverse, con la conseguente ghettizzazione dei migranti e alla cristallizzazione del loro status socio economico. Formando così una società degli esclusi, degli individui che agiscono in una società parallela, ma questi alieni diventano sempre più parte integrante di un sistema economico che finge di non vedere e non sentire.
Il tutto si aggrava in Italia per l’atteggiamento di chiusura verso il diverso, retaggio culturale antico come non ricordare quella orrenda abitudine che per tacitare i bambini si diceva: ‘ora viene l’uomo nero’. Ma neri in Italia, sino a pochi anni fa, non c’erano, Il becero e straccione colonialismo italiano, ben lungi da quello francese o inglese, si è ben guardato di immettere nella nazione gente delle colonie. Di eritrei o somali pochissimi avevano raggiunto l’Italia.
L’ignoranza italiana (3) degli altri paesi è uno dei fattori di scontro più importanti ciò comporta un omogeneità di valutazione verso gli stranieri e da qui il persistere di luoghi comuni e stereotipi devianti. Tutti i musulmani sono uguali: maschilisti e fanatici.
Pochissimi si accorgono che l’onda lunga della globalizzazione, dell’informazione, delle culture e dei valori abbia intaccato il cardine di una società patriarcale, maschilista ed autoritaria. Insomma anche l’Islam, al pari del resto dell’umanità. Sta vivendo la crisi della famiglia tradizionale.
Ė chiaro che questa mutazione è lenta nei paesi d’origine ma, come si evince dagli sudi sulla realtà delle donne emigranti di Fabiola Podda (5), una volta arrivati in Italia tendono a cambiare in special modo le donne.
Giunte in Italia le donne migranti del nord Africa tendono ad amalgamarsi alla realtà laica, ciò essenzialmente perché i maschi sono i depositari della tradizione islamica e dunque tendono a essere più rigidi delle donne che non avendo questa incombenza allevano anche i figli a valori occidentali. Per la donna raggiunta la libertà essa diviene una condizione irrinunciabile, come afferma una donna algerina di 34 anni intervistata da Podda ‘Io soffrirei molto a tornare in un paese arabo perché ormai ho conquistato la mia libertà, e rivenderla di nuovo non è possibile’.
Per tale motivo sono le donne a ribellarsi ai costumi tribali come il matrimonio combinato e alla tutela dai maschi come scrive Ayaan Hirsi Ali (6) sulla violenza che subiscono tante donne migrate in occidente da sessuofobi islamici e la loro ricerca di protezione alle istituzioni laiche dell’occidente.
Dunque spinta della mondializazione a migrare per essere cittadini del mondo, dall’altra chiusura e ignoranza che spingono persone a pronunciare questa frase che spesso è sentita nel ricco Nord-est italiano ‘i migranti e meglio che stiano in fabbrica e non si facciano vedere in giro’. I migranti servono per i boom economico (ma omai questo è solo un mito) ma non possono avere piena cittadinanza fuori dalla fabbrica devono diventare invisibili.
I controlli ai confini sono pura ipocrisia del turbocapitalismo del pensiero unico: l’alieno illegale serve perché costa meno, e costa meno perché ha paura: ma se la paura comprime i salari, anche la xenofobia diventa fattore economico.
Ė una situazione esplosiva. Tutto ciò crea ansia e l’ansia genera paura, la paura produce blindature, e le blindature rendono più remunerativa l’illegalità, la quale a sua volta innesca nuove paure. Per uscirne, non hai scelta. Devi agire a tenaglia: sulle paure e contemporaneamente sui flussi illegali che la generano.
Serve un lavoro culturale che indichi la cultura come la chiave per rompere le differenze. Far diventare l’altro, il diverso, parte di noi è la strada per rompere la spirale delle paure.
Serve una pedagogia della migrazione, che spieghi ai nativi che la creatività e la crescita della civiltà sono il prodotto dell’incontro tra i popoli, non della separazione delle genti. La chiusura nei confronti dell’altro è all’origine del decadere delle civiltà.
Serve una tensione alla vita che cerchi l’incontro con l’altro senza ipocrisie, accettando l’altro per quel che è con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti non per ammansirli ma per costruire ancora vita in un conviviale incontro tra diversi ed uguali che costituisce e costruisce la feconda alterità.
Serve riscoprire le emozioni della scoperta dell’altro. Scrive il filosofo Christoph Baker:
Come si fa a separare le emozioni dalla scoperta? Esiste un’esperienza umana che non sia trafitta dai sentimenti? Mi guardo intorno e vedo storie umane, storie individuali e storie di gruppo. Poi vedo la storia ‘ufficiale’ quella che ci inculcano scuola, quella con i vincitori e i vinti, i numeri dei re e dei cadaveri, la giustificazione della violenza e gli occultamenti di responsabilità. E non mi capacitò.
Benedetta paura! Che ci fa sempre imboccare la strada della sicurezza, della protezione, dell0innalzamento di muri, della diffidenza, tutta roba che porta all’impoverimento della propria esistenza…Paura che ci hai ridotti all’indifferenza, all’insofferenza, all’incompetenza di vivere e di amare. (7)
Serve un politica dell’inclusione e del dialogo per più democrazia ed apertura.
Occorre una politica più attenta all’accoglienza, ma deve essere una politica fondamentalmente laica per mettere tutti sullo stesso piano, al di là delle differenze etniche, culturali, religiose sono tutti esseri umani col diritto di vivere e costruirsi un futuro. E qui non si può tacere delle insistenti richieste della chiesa cattolica per il finanziamento delle sue scuole, purtroppo troppo ascoltata dai politici, la scuola è il luogo principe ove le differenze si incontrano in uno spirito paritario, distruggere la scuola pubblica e laica vuol dire distruggere il collante che tiene unita la società e ciò può portare solo nuovi tremendi lutti in questa nuova società transetnica e transculturale.
Ma proprio qui nascono le difficoltà in questa Italia di Berlusconi, questo personaggio borbonico, questo Ferdinando IV in salsa meneghina con il suo caravanserraglio di xenofobi, avventurieri, sanfedisti e pseudo imprenditori – tutti legati dal servilismo e da una profonda ignoranza - su questi problemi nicchiano, essendo più popolare – ovvero populistico – offrire megafoni anziché risposte alle paure dei cittadino globale. Si tende ad affidare tutto alla chiesa e regolare il tutto con leggi repressive e stupide come quella antidemocratica della Bossi/Fini che vuole la migrazione a tempo e criminalizza il migrati in quanto tali.
La società transetnica e transculturale si costruisce con le basi della democrazia: partecipazione e inclusione. Ma per giungere a ciò occorre che la società sia unita dal cordone della laicità e per tale motivo è auspicabile un legge come quella francese che vieta nei luoghi pubblici, i luoghi ove la laicità è il punto d’incontro tra diversi, i simboli religiosi, occorre altresì non far chiudere i migranti in ghetti autoreferenziali il cui primo passo è sempre la sindrome dell’assedio ed il rifugiarsi ancor di più nella paura della contaminazione.
Questo per quanto concerne le nazioni, ma vi è ancor di più la risposta internazionale che è carente; legata come è a modelli politici ed economici incapaci di affrontare la mutazione della società del pianeta terra.
Dall’Eurolandia i messaggi non sono migliori basta pensare alla legge sul cacao. La Commissione Europea ha sancito che in una tavoletta di cioccolato vi possono essere il 10% di sostanze che non siano cacao quella semplice norma a favore delle industrie del nord, per il suo effetto moltiplicativo, ha distrutto migliaia di posti di lavoro nel sud del mondo.
Basta vedere il fallimento del vertice sul mercato mondiale a Pechino in cui ancor di più le nazioni ricchi si sono arroccate nei loro privilegi e nelle loro sovvenzioni all’agricoltura chiudendo così le porte alla maggioranza assoluto dell’umanità.
Occorre un nuovo ordine mondiale, la crisi economica in questo caso può essere un’oppurtinatà da non perdere ma tutto ciò, certamente, non può essere gestito dal G8, otto persone, rappresentanti delle lobbycrazie ricche, ma occorre giungere, partendo dalle realtà locali, tramite l’ONU ad una democrazia universale che gestisca l’economia che è essenzialmente ridristribuzione degli utili a tutti i cittadini del pianeta e permetta, impostandolo con le dovute regole, la delocalizzazione delle produzioni verso le nazioni più povere.
In definitiva si deve giungere ad una cambiamento radicale una società aperta a livello mondiale, ad una rivoluzione liberale e socialista se non vogliamo che il nuovo processo di migrazione sia il prodromo di una catastrofe e questo cambiamento fu ben indicato da Alex Langer il quale scrisse: Ad una visione del mondo incentrata su un’idea di sviluppo fatta di mercificazione, competitività e crescita (citius, altius, fortius; più veloce, più alto, più forte) vogliamo opporre un’alternativa rovesciando il motto olimpico: più lentamentente, più in profondità, con più dolcezza (lentius, profondius, soavius) (8)
RAZZISMO? NO GRAZIE
La creatività culturale e la crescita della civiltà sono prodotti dell’incontro tra i popoli, non della separazione delle genti. La chiusura nei confronti dell’altro è all’origine del decadere delle civiltà
La cultura è la chiave per rompere la diffidenza. Far diventare l’altro, il diverso, parte di noi è la strada per rompere il muro del razzismo, del pregiudizio e dell’incomprensione.
La diversità non è mai assoluta, è relativa. Siamo tutti diversi rispetto a qualcosa.
Ogni individuo diverso è anche un simile. Molte più cose ci accomunano agli altri di quante non ce ne dividano: sul piano biologico, così come quello psicologico, dei sentimenti, della ragione
Non bisogna aver paura di trovarsi simili nella diversità.
Non esistono minoranze. Siamo tutti, singolarmente, minoranza per qualcosa.
Non tutto ciò che è diverso è di per se stesso buono, né tutto ciò che è diverso è di per se stesso cattivo.
La diversità può anche essere una straordinaria ricchezza. valorizzare gli aspetti positivi non è un dovere soltanto delle istituzioni ma per ciascuno di noi.
La alterità è importante. Per costruire la società sostenibile, la società arcobaleno occorre simpatia e partecipazione.
La difesa dei diritti degli altri assicura i diritti di tutti
Razzismo e xenofobia sono espressione di paura e di ignoranza: il rifiuto dell’altro è un modo per mascherare la propria debolezza, la propria rabbia: conoscere per vivere e partecipare
Il pluralismo è una sfida da vincere per chi non vuole un’esistenza povera: la gioia si costruisce nell’incontro, la felicità ha il volto della novità e della sorpresa.
1) Giancarlo Nobile – Camorra questione di mentalità (CSDE Napoli)
2) Fabio Parancandolo – L’ambiguo occidente. Immagini incrociate dell’altro e dell’altrove nell’era delle migrazioni globali (AITEF Cagliari)
3) Tullio De Mauro – La cultura degli italiani (Editori Laterza)
4) Calogero Martorana – Società laica e società religiosa (UAAR Napoli)
5) Fabiola Podda – Sguardi velati: le immigrate maghrebine nella provincia di Cagliari (AITEF Cagliari)
6) Ayaam Hirsi Ali – Non sottomessa (Einaudi)
7) Christofer Baker – Ozio, Lentezza e nostalgia – decalogo mediterraneo per una vita più conviviale (EMI Bologna)
8) Alexander Langer – La scelta della convivenza (Ed. e/o)
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