mercoledì 11 febbraio 2009

Brunazzi-Biffo: il socialismo europeo anche in Italia

da aprile

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Il Socialismo europeo anche in Italia
Marco Brunazzi, Loredana Biffo, 09 febbraio 2009, 12:40

Dibattito Nella degenerazione dello Stato di diritto in Italia, con una classe politica incapace di vedere il futuro, la situazione è grave. Lo è perché il presidente del consiglio vuol cambiare la Costituzione per arrivare ad un presidenzialismo che, in un paese con un DNA fascista, darebbe un esito catastrofico sul versante democratico. Un PSE transnazionale può portare ad una svolta nel modo di intendere la politica e nella urgente salvaguardia della democrazia



Stretta tra una crisi economico-sociale sempre più grave e una non meno grave crisi del sistema politico e della tenuta dello stesso impianto costituzionale delle sue istituzioni, l'Italia non sembra più possedere risorse idonee a fronteggiare entrambe.
Soprattutto colpisce il caso, unico in Europa (almeno, in quella occidentale) di un paese ormai saldamente governato da una coalizione di destre variamente populiste e fascistoidi di fronte alle quali non esiste più a contrastarle qualcosa di simile alla/e sinistra/e.

Spazzata via la frantumata, discorde e sterilmente autoreferenziale sinistra antagonista, ridotta allo stato agonico residuale quella di ascendenza storica socialista, indecifrabile nella sua riluttante identità (non più socialista, forse nemmeno di sinistra) quella di un Partito Democratico di consistenza elettorale ancora apprezzabile, ma di inconsistente peso politico, sembra ormai persino futile interrogarsi sul futuro di una realtà - la sinistra appunto - senza presente e senza più un passato seriamente interiorizzato da poter virtuosamente almeno elaborare.

D'altra parte, la barriera del 4% introdotta per le prossime elezioni europee azzera l'ultima speranza di sopravvivenza per formazioni politiche da tempo al di sotto di soglie decenti di consenso elettorale.

Il confuso e angoscioso agitarsi di questa sinistra, sconfitta non solo elettoralmente, ma soprattutto nella sua capacità di darsi identità non velleitarie e progetti politici plausibili, non pare in grado di produrre altro che un ulteriore arretramento generale di fronte all'offensiva di una destra la quale, per non avere anch'essa nessuna ricetta seria per affrontare la doppia crisi italiana,. nondimeno moltiplica la sua tracotanza e la sua volontà di "soluzione finale" nei confronti della democrazia costituzionale ancora vigente.

Ma forse, come in una scacchiera bloccata dallo stallo di posizioni il cui esito incombente sembra inevitabilmente lo scacco per la parte incapace di muoversi, è giunto il tempo di tentare "la mossa del cavallo", lo scarto inaspettato di lato, l'occupazione di una postazione sino allora ritenuta irraggiungibile.
Ebbene, se il sistema politico non è più in grado di produrre efficaci proposte di sinistra, a partire dal quadro esistente, occorre immettere nel quadro il soggetto assente: il socialismo europeo.

Non - si badi - la mediocre operazione trasformistica che assegna un nome nuovo e onorevole ad una vecchia aggregazione partitica ormai fallita, bensì l'introduzione proprio del PSE, Partito Socialista Europeo in Italia, in una forma inedita ed europeisticamente garantita.

Vale a dire, l'emanazione del PSE in Italia come partito transnazionale europeo, al quale ci si iscrive senza più bisogno dei vecchi filtri nazionali; al quale si aderisce all'unica condizione di voler far parte della grande e variegata famiglia dei socialisti europei, identificata dal gruppo parlamentare PSE a Strasburgo.

Essendo questa l'unica condizione - entrare nella casa dei socialisti europei - l'offerta può essere rivolta a tutta l'attuale sinistra, radicale e moderata, PD compreso, poiché non si richiedono preventivi atti di fede identitaria e programmatica e neppure la rinuncia alle appartenenze originarie, tessere di partiti nazionali incluse.

Dopo, soltanto dopo, allestita e consolidata la nuova casa, si potrà aprire la naturale dialettica politica dove far valere origini, valori, progetti, dividersi (senza separarsi!) in fisiologiche destre e sinistre interne in serrata ma democratica competizione.
E quindi si potranno poi eventualmente affrontare le elezioni con capacità di stabilire alleanze onorevoli ed efficaci.
Così si fa in tutta Europa: non si potrebbe anche in Italia?

Naturalmente, un'operazione del genere dovrebbe contare sul massimo sostegno politico, organizzativo e culturale del PSE.
E sappiamo bene che il PSE è poco più che un cordinamento di partiti nazionali, tanto restii ad assumere realmente la dimensione europea da non essere stati neppure in grado di premettere al pur positivo manifesto programmatico di Madrid per le prossime elezioni europee l'obiettivo prioritario del conseguimento di una Costituzione europea e di un vero governo federale europeo.

E tuttavia non si vedono altre strade percorribili.
E dunque occorre che gli europarlamentari italiani che aderiscono al gruppo PSE siano investiti del problema e sollecitati a prospettarlo ai massimi livelli.
D'altronde, in gioco non è soltanto il socialismo in Italia, ma la credibilità stessa del socialismo in Europa, dal momento che solo la dimensione unitaria europea potrà avere speranza di resistere all'avanzare delle molteplici crisi economiche, sociali e politiche.

Il minuscolo , ma originale e coraggioso "gruppo di Volpedo", da alcuni mesi è impegnato a ritessere una trama di relazioni, confronti e proposte all'interno del capillare e vitale microcosmo di associazioni culturali e politico-culturali di varia area socialista.
A suo tempo, l'europarlamentare Pia Locatelli si fece lodevolmente carico di portare il documento stilato a Volpedo nelle mani di Rasmussen a Madrid.

E' tempo di riprendere l'iniziativa. In questo contesto di emergenza democratica per il paese, è necessario ricordare la dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1948 , che viene consolidata in Europa con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle "libertà fondamentali" del 1950, che fonda questa singolare struttura del Consiglio d'Europa.
In questo modo, con lo sviluppo del Consiglio d'Europa, gli stati sovrani consentono un'ingerenza del Consiglio d'Europa nei propri affari interni. Con la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo addirittura consentono che i giudizi dati al proprio interno vengano rovesciati nella sede europea, che si sottomettano a questa "ingerenza umanitaria" pacifica, legale e consensuale da parte della Corte europea dei diritti fondamentali.

Si consolida l'idea che i diritti fondamentali non possono essere espropriati neanche dallo stato sovrano.
Nell'attuale degenerazione cronico-degenerativa dello Stato di diritto in Italia, con una classe politica incapace di vedere il futuro e di tradurlo in concreto, la situazione è per molti versi grave, lo è per il fatto che il presidente del consiglio cerca attraverso la strumentalizzazione del caso Englaro di mettere mano alla Costituzione, con lo scopo ormai apertamente dichiarato di arrivare ad un presidenzialismo che in un paese come il nostro con un DNA fascista, darebbe un esito catastrofico sul versante democratico.
Per questo l'Europa diventa fondamentale alllo scopo di non rimanere isolati da qualsiasi idea di progresso e di concezione illuministica dei diritti fondamentali delle persone.

Anche quando decide la maggioranza, lo può fare solo su ciò che è decidibile, ci sono delle sfere non decidibili che sono quelle tutelate dai diritti fondamentali delle persone, che non sono disponibili neanche dallo Stato sovrano: è un limite al potere della maggioranza, è un limite addirittura alla sovranità dello stato, questo è il "bill of rights" della UE. Poiché il problema della democrazia è ancora una volta un problema politico, di partiti politici, di organizzazione, di associazioni della società civile che sono deboli e incapaci di interloquire.

Oggi non abbiamo più una classe politica come quella del secondo dopoguerra capace di guardare al futuro. I dirigenti politici si occupano di quel che dice la televisione, dei sondaggi, delle paure, che ci sono perchè il mondo cambia rapidamente, perchè i problemi sono enormi, perchè l'immigrazione fa paura, la globalizzazione fa paura; proprio per questo però dovremmo essere consapevoli che l'Europa è la soluzione, che l'unico modo di affrontare questi enormi problemi è quello di avere la forza di mettersi insieme, perchè solo insieme abbiamo la capacità di "contare", di confrontarci con gli altri, di far valere anche i nostri punti di vista, di condizionare il governo nazionale e del mondo.
Cos'altro se non un PSE transnazionale ci può portare ad una svolta nel modo di intendere la politica e nella urgente salvaguardia della democrazia oltre che al superamento di identitarismi che in questo contesto storico -sociale servono solo a dividere e non certo a progredire?
E se non ora, quando?

1 commento:

Anonimo ha detto...

e se chiedessimo a Fassino di fare da segretario della sezione italiana del partito socialista transnazionale europeo? Così mettiamo subito i piedi nel piatto del dibattito del PD, dove prima o poi finiremo...