lunedì 9 febbraio 2009

Betty Leone: ma non c'era la globalizzazione?

dal sito di sd

Ma non c'era la globalizzazione?
In Inghilterra gli operai inglesi della raffineria Lindsey Oil, di proprietà della francese Total, hanno proclamato uno sciopero selvaggio durato una settimana per impedire ai lavoratori italiani della Irem, azienda siciliana vincitrice di un subappalto, di iniziare i lavori di ampliamento della raffineria. “Lavoro britannico ai lavoratori britannici” si leggeva sui cartelli esposti. L’accordo è stato raggiunto con l’intesa di utilizzare metà personale inglese e metà italiano.
Negli Stati Uniti il piano anti crisi di Barak Obama condiziona gli aiuti pubblici per le società di costruzione all’acquisto di acciaio e ferro prodotti negli USA.
In Francia la ministra dell’economia, Christine Lagarde, ha dichiarato che gli aiuti alle imprese automobilistiche potrebbero essere condizionati all’acquisto di componentistica francese.
In Italia la famiglia Merloni vuole chiudere lo stabilimento Indesit in Piemonte per spostare la produzione in Polonia.
La prima osservazione che viene alla mente accostando questi fatti è che, mentre in tutto il mondo si cerca di salvaguardare ,in periodo di crisi, la manodopera locale, in Italia gli imprenditori proseguono una politica di delocalizzazione delle produzioni, con buona pace della tanto decantata responsabilità sociale d’impresa e senza alcun intervento da parte del governo.
La seconda osservazione, ancora più preoccupante, è che a fronte della crisi economica e occupazionale che sta investendo tutti i paesi, i governi reagiscono con misure protezionistiche che rischiano di scatenare una guerra tra lavoratori, di cui gli scioperi inglesi sono il primo segnale, e che, in tempi di economia globale, finirebbero con l’aggravare non solo le condizioni economiche, ma persino le prospettive di convivenza civile e democratica. La crisi sta dunque svelando tutta la debolezza di una globalizzazione basata sulla libera circolazione delle merci e sulla competizione senza regole. Di fronte all’assenza di organismi internazionali autorevoli gli Stati scelgono di difendersi da soli chiudendosi nei propri confini ed i lavoratori, temendo la disoccupazione, preferiscono addossare la colpa della propria insicurezza alla presenza degli stranieri ( basta cacciare loro e le cose andranno meglio). Le cose, tuttavia, non sono così semplici, perché in tempo di globalizzazione i grandi capitali sono mossi da lobbies sovranazionali e le economie dei diversi paesi sono più interdipendenti che in passato e non è dunque possibile uscire dalla crisi senza accordi internazionali che controllino la circolazione del denaro e la ripartizione della ricchezza e del lavoro. La crisi renderà più dura la competizione sul costo del lavoro che può essere affrontata in due modi: o abbassando i diritti dei lavoratori dei paesi più ricchi, cosa che avrebbe una immediata ripercussione sulla domanda interna di quei paesi, o aumentando i diritti dei lavoratori dei paesi più poveri, cosa che aiuterebbe un riequilibrio redistributivo e una diversa idea di sviluppo. La seconda via presuppone la consapevolezza che il protezionismo è impraticabile nell’attuale struttura economica e che il rafforzamento di un governo democratico del mondo è una strada obbligata.
Per questo motivo le elezioni Europee sono importanti. Negli anni passati è stata necessaria una lunga battaglia nel parlamento europeo per impedire l’approvazione della direttiva Bolkestein, nelle parti in cui permetteva alle imprese di applicare il contratto vigente nel paese di provenienza e non quello vigente nel paese dove l’impresa opera. Questa norma avrebbe incentivato una competizione al ribasso tra lavoratori di imprese e nazionalità diverse. In presenza di quella direttiva oggi la vertenza inglese sarebbe stata irrisolvibile. Così, se solo qualche mese fa fosse stata approvata la direttiva che permetteva di prolungare l’orario di lavoro fino a 60 ore settimanali, oggi ci sarebbe più spazio per i licenziamenti. Se infine in questi anni avesse vinto la battaglia delle forze progressiste per fare dell’Europa una entità politica prima che economica, oggi potremmo difenderci meglio dalla crisi e potremmo contrastare quella paura dei cittadini che è alla base degli scioperi inglesi.
Il PD dovrebbe preoccuparsi di questi problemi piuttosto che fare accordi con Berlusconi per impedire alla sinistra di sedere nel parlamento Europeo. E’ utile sottolineare che le battaglie sopra ricordate hanno visto protagonisti proprio i parlamentari di quei piccoli partiti la cui rappresentanza oggi si ritiene superflua.

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