giovedì 5 febbraio 2009

Arturo Scotto: La sinistra che vogliamo

Dal sito di SD

La sinistra che vogliamo contro lo svuotamento della politica e della democrazia
La settimana in cui ha trionfato il “bipartitismo senza politica”, ci consegna una serie di domande non scontate e soprattutto imminenti a cui dovremmo in tempi non irragionevoli rispondere. E’vero: gli italiani vogliono semplificazione, non amano il vociare confuso di forze politiche residuali, incapaci di incidere sulla vita delle persone. Lo sfondamento dell’immaginario della destra è stato totale: troppe opinioni comprimono la capacità di decidere, di scegliere. Questa lunga marcia iniziata negli anni ottanta oggi produce l’azzeramento di una serie di culture critiche, radicate nella storia di questo paese, che vivono non la difficoltà di uno sbarramento, ma l’espulsione delle loro stesse ragioni di esistenza dall’agone democratico. E’ come se fosse passato il messaggio, potente, diretto, inesorabile: le tue idee, in quanto rappresentative di una minoranza, non solo non hanno diritto di parola, ma sfiorano addirittura il ridicolo. La logica del voto utile sta qui: i sentimenti, i desideri, i diritti di chi ha uno sguardo non pacificato sulla realtà vengono rigettati nella marginalità, ricacciati dentro una mera esercitazione retorica delle identità. Il problema, dunque, è la frammentazione dei partiti o la disidratazione culturale e ideale della politica italiana? A me questo preoccupa: non si cambia il mondo con un deputato europeo in più. Tuttavia, questa cura dimagrante della democrazia, alla lunga, dove porta? Bertinotti ha detto che la sinistra politica in questo paese è morta. E’ la verità. Ma la sua dipartita rischia di trascinarsi dietro anche il buonsenso, purtroppo. Il connotato principale di questa fase storica sembra rifuggire da qualsiasi considerazione di merito. Non esiste nessun conflitto sulle idee: quando questo avviene la sinistra finisce per essere una pistola scarica e, quindi, non evoca più niente. Lo abbiamo visto in tanti passaggi: la crisi è stata da questo è punto di vista una cartina di tornasole eccezionale. Di fronte allo sconquasso che ha attraversato l’Europa e il mondo, l’Italia e le sue classi dirigenti se la cavano con cure omeopatiche, prive di qualsiasi capacità di mobilitazione. Parole come politiche industriali, programmazione, lotta alla finanza speculativa sembrano destinate ad uscire dal lessico politico italiano, mentre rientrano prepotentemente persino tra i conservatori nel lessico europeo. Un paradosso che ci chiama ad un salto di qualità: possiamo continuare a permetterci di cincischiare con i sostantivi ( la sinistra, la sinistra, la sinistra) senza avviare, non con le altre forze della coalizione, ma con il paese un dibattito franco e chiaro sul futuro, sul grado di cambiamento da imprimere? Ridare alla politica dignità significa restituirle parola e senso. Significa utilizzarne il potenziale simbolico, ma anche la cifra riformatrice. Ecco, io credo che una nuova sinistra, competitiva elettoralmente, riparta dal merito prima ancora che dallo spazio politico che intende occupare. Presidiamo il terreno delle riforme: acquisiamo tre – non di più – parametri su cui misurare la nostra capacità di costruire il cambiamento: ambiente e lavoro, laicità e diritti, mezzogiorno e lotta alle mafie.
Ambiente e lavoro: non per scimmiottare Obama, come fa Veltroni, ma perché sull’energia si consumano e si consumeranno guerre, conflitti, carestie. Non possiamo considerare l’ambientalismo un fattore neutro. La riforma sociale ed ecologica significa lavoro sicuro e stabile, sviluppo sostenibile e duratuto, qualità e redistribuzione dei livelli di consumo.
Diritti e laicità: eluana non è un caso: è il simbolo della fine della pietas in questo paese. La carità cristiana finisce per trasformarsi in arbitrio sulla vita e la morte delle persone oltre che sul rispetto delle sentenze. Spiegare come che la laicità è lo spazio del dubbio, significa sottrarsi agli anatemi, riportare umanità e gentilezza nel confronto su temi delicatissimi ed allo stesso tempo restituire sovranità e autonomia alle persone.
Mezzogiorno e lotta alle mafie: possiamo salvare l’unità del paese solo se accettiamo – noi per primi – di celebrare “un processo” ai clamorosi limiti che in questi anni il sud ha mostrato al paese. Non piagnucolare solo sui tagli - che effettivamente ci sono stati - ai trasferimenti agli enti locali, ma spiegare che senza questo pezzo d’Italia il paese non cresce più. Prima ancora che lo stato, nel mezzogiorno andrebbe ricostruita una repubblica, un senso comune che ridia una missione alla società meridionale, che la blindi rispetto alle infiltrazioni criminali e le restituisca le reti di solidarietà che in questi anni si sono spezzate.
Una mole di lavoro enorme, in sostanza. Ma una sinistra che non vuole chiudersi in un recinto minoritario, che vuole combattere gli appellativi di cui è stata marchiata, che ambisce al governo del cambiamento si misura a questa altezza dei problemi. Solo in questo modo sinistra e politica possono tornare a contare qualcosa. Con o senza sbarramenti.
* del Coordinamento nazionale di Sd

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