da aprile
I cultori di una nuova ideologia: il crisismo
Dario Allamano, 06 febbraio 2009, 11:38
Riflessione Non passa giorno in cui giornalisti, economisti, politici, speculatori finanziari ecc. non spendano il loro dorato tempo, ovviamente ben remunerato, per raccontare al popolo la crisi che incombe, ma quasi nessuno sa o vuole indicare una via d'uscita. Stiamo passando dal liberismo e dal globalismo più sfrenato al protezionismo più bieco, i primi atti del governo Obama non sono troppo rassicuranti, i mega aiuti alle aziende automobilistiche distorcono e non poco il mitico "mercato" delle quattro ruote e l'Italia ne pagherà un prezzo notevole
Ma cos'è veramente successo in quest'ultimo anno sui mercati internazionali?
Innanzitutto dovremmo, almeno noi di sinistra, smetterla di parlare di mercato, i mercati sono tanti e diversificati, c'è quello dei prodotti finanziari, quello delle risorse energetiche, delle materie prime e delle risorse naturali, quello dei beni di consumo e quello immobiliare ed ognuno di questi mercati risponde alla crisi in modo diverso.
É vero la crisi ha origine in America a causa dei mutui sub prime concessi con troppa facilità, ma quella fu una risposta politica alla crisi economica del 2000 ed all'attacco alle Torri Gemelle, allora il Governo Bush ritenne utile e necessario ridurre l'ansia dei cittadini americani con l'immissione di denaro a man salva per garantirne l'altissimo livello dei consumi.
La crisi del 2000 era stata però preceduta da altre crisi finanziarie negli anni precedenti, nel sud est asiatico, in Giappone, nel centro e sud America, per arrivare all'attacco alla liretta, da parte della speculazione finanziaria mondiale, nel settembre 1992, la differenza con l'oggi è che questa crisi colpisce il cuore dell'impero e per la prima volta gli Stati Uniti non sono in grado di arginarla come nel 2000.
Questa è la crisi di un sistema che ha radici profonde, che non risalgono come alcuni dicono alla caduta dell'impero sovietico e del muro di Berlino nel 1989, bensì ad una decisione politica assunta da Nixon il 15 agosto 1971: la denuncia del Trattato di Bretton Woods.
Come tutti ormai sappiamo a Bretton Woods, dopo la seconda guerra mondiale, vennero poste le basi di un nuovo ordine monetario internazionale basato sul dollaro, i contrappesi a questo strapotere erano la convertibilità del dollaro in oro (le mitiche riserve di Fort Knox dei film di 007) e la parità dei cambi tra le monete.
Fu un patto che resse fino al 1971, da li in poi gli USA, senza l'obbligo di convertibilità in oro, poterono stampare dollari senza che questo scatenasse al loro interno quella che è la risposta del mercato alla sovrabbondanza di denaro in circolazione: l'inflazione.
Il dollaro, sostenuto da una potente economia che si basava sui mezzi di consumo di massa (auto) e sulle tecnologie belliche ed aerospaziali, divenne un "bene rifugio", acquistato da tutti come fosse un Buono del Tesoro, ci fu un periodo in cui il Giappone (come adesso la Cina) utilizzò il suo grande surplus finanziario per imbottire le proprie riserve di dollari.
Contestualmente Milton Friedman ed i Chigago Boys elaborarono la teoria definita neo-liberista che, detta in estrema sintesi, prevedeva la massima liberalizzazione delle risorse finanziarie e la privatizzazione di moltissimi monopoli e servizi pubblici.
Era la risposta al calo dei profitti che si era verificata a partire dalla fine degli anni sessanta.
La scorsa settimana, su Il Riformista, Pierre Carniti ha raccontato di un suo incontro con Guido Carli, in cui lo stesso gli chiese di spostare risorse dalla remunerazione del lavoro ai profitti, ed allora si pensava ancora ai soli profitti industriali.
Siamo giunti al nocciolo del problema.
Da quando è iniziata la cosiddetta rivoluzione industriale la "ricchezza" generata nei vari Stati Nazionali viene sostanzialmente redistribuita tra tre grandi blocchi:
la rendita, il profitto ed il lavoro.
É ancora così oggi, ma dal 1971 in poi c'è stato un gigantesco trasferimento di ricchezza da lavoro a rendita finanziaria.
Da anni per valutare la salute di una azienda si fa riferimento, per quelle quotate in Borsa, al corso azionario, oggi la Fiat è valutata negativamente non perchè non distribuisca utili o produca auto brutte, e di bassa qualità, ma perchè le sue azioni sono crollate da 20 a meno di 5 euro.
Non è vero come continuano a dire, nella loro beata ignoranza, politici e giornalisti che quando cadono gli indici dei listini di Borsa si distruggono miliardi (in euro o dollari) di risorse, in realtà le risorse finanziarie non si distruggono quasi mai, semplicemente si spostano ed oggi esistono in giro per il mondo quantità infinite di risorse pronte a finanziare qualche nuova bolla speculativa.
L'elemento più drammatico della crisi che stiamo vivendo è il massiccio concentrarsi in poche mani di grandissime risorse finanziarie, concentrazioni finanziarie in molti casi più potenti degli Stati.
Gli unici che ci rimetteranno alla fine saranno, come nel caso delle crisi che prima ho citato, i cittadini. Se qualcuno si ricorda ancora di Cirio, Parmalat, Argentina si ricorderà anche che i perdenti furono dei normali cittadini che restarono con il cerino in mano, sarà così anche stavolta.
Che fare?
Innazitutto occorre tornare a ricostituire i basamenti dell'economia secondo gli schemi classici della scuola liberale (che non è quella neo liberista), e ragionare poi di redistribuzione delle ricchezze accumulate, ma sempre avendo a mente quella trilogia:
Lavoro, Profitto, Rendita.
Occorre avere il coraggio di rovesciare, come diceva Carniti, lo schema di Carli.
La sinistra deve tornare a rappresentare chi fa del lavoro la propria ragione di vita, e che non sono solo i lavoratori dipendenti, ed eventualmente ragionare su un patto politico con gli imprenditori che investono a rischio, possono essere in questa fase alleati molto utili ed importanti.
Occorre innanzitutto riprendere una vecchia battaglia socialista per l'equità fiscale, che premi il lavoro riducendo le imposte pagate oggi, ma soprattutto aumenti drasticamente le aliquote sui guadagni da speculazioni finanziarie dall'attuale 12% almeno al 27%, regolamentando il traffico finanziario mondiale, ponendo regole chiare al trasferimento di fondi tra Stati, chiudendo i paradisi fiscali, anche se sono nel Delaware o nelle britanniche Isole del Canale.
Qualcuno dirà che oggi non ci sono più guadagni finanziari, oggi magari no, ma passata la buriana i detentori dei fondi ritorneranno in massa a "giocare" in borsa, su qualche nuova bolla speculativa, alcune delle quali sono già in gestazione.
L'Europa potrebbe avere un grande ruolo per il futuro del mondo, ha un grande mercato interno, detiene tecnologie di primo livello, ha una cultura politica non malvagia, ma ha un ceto politico, soprattutto in Italia, di bassissimo livello e non in grado di produrre Progetti Politici credibili, ma che, soprattutto, non vuole superare la propria vecchia e stanca visione basata sugli Stati Nazionali.
Io sono un socialista e mi sarei atteso di vedere iniziare il Manifesto di Madrid del PSE nel seguente modo:
i sottoscritti leaders del PSE si impegnano a costituire entro il 2010 il Governo soprannazionale dell'Unione Europea ed a trasferire al Parlamento Europeo i poteri legislativi relativi alle seguenti materie:
Politica Industriale, energetica, monetaria ecc.
Purtroppo non l'ho letto, tutto il resto sono parole al vento.
*Presidente di Labouratorio Piemonte, aderente al Gruppo di Volpedo
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