Da La stampa, 7 gennaio 2009
7/1/2009
Obama gioca la carta delle tasse
ALBERTO BISIN
Il piano economico dell’amministrazione Obama contro la crisi sarà ufficialmente presentato domani sera, ma già lo si discute sulla base di anticipazioni precise. Nessuna sorpresa riguardo all’entità dell’intervento pubblico che richiederà una (a mio parere eccessiva) esposizione fiscale per circa 750 miliardi di dollari in due anni. Le maggiori sorprese riguardano invece la composizione dell’intervento. Pur senza entrare nei dettagli, si nota un importante riaggiustamento rispetto a quanto proposto da Obama in campagna elettorale: la spesa pubblica diretta è sostituita in modo sostanziale da sgravi fiscali a famiglie e imprese (per circa 300 miliardi di dollari in due anni). Il piano sarà per questo aspramente criticato. Si dirà (e già si dice) che sgravi fiscali hanno generalmente effetti limitati in una recessione qualora famiglie e imprese tendano a risparmiare invece che a spendere il nuovo reddito disponibile. Si dirà che proprio questo è accaduto in occasione dei tagli fiscali di Bush la scorsa primavera. Queste critiche sono dovute all’idea comune ma incorretta che in una recessione sia compito principale della politica economica sostenere i consumi: se i consumatori non cambiano l’auto, lo Stato provveda ad acquistare, ad esempio, nuove auto per i dipendenti pubblici (o ad assumere nuovi dipendenti pubblici a cui fornire auto).
Non è così. Innanzitutto è ovviamente importante dare impulso anche agli investimenti, non solo ai consumi. Le imprese in difficoltà, in una recessione, non sono solo quelle che producono auto, scarpe, medicinali ma anche quelle che producono tondini di acciaio, semi-lavorati in pelle, nuove molecole chimiche. Ma questa è precisazione ovvia, si dirà. Perché non lasciare comunque allo Stato il compito di sostenere direttamente consumi e investimenti durante una recessione? Perché intervenire per mezzo di tagli fiscali che sono solo in parte consumati e investiti? Per due ragioni fondamentali. Primo, perché il risparmio non resta inutilizzato, ma è reinvestito dal sistema finanziario. E poi perché i consumatori conoscono meglio dello Stato i propri bisogni e le imprese sanno meglio discriminare i progetti di investimento più produttivi data la domanda dei consumatori.
Il Pil non è tutto. Un’economia efficiente produce i beni che i consumatori desiderano, anche in recessione. Se i consumatori non cambiano l’auto, produrre e dare loro auto è inefficiente. E così è produrre beni pubblici (ponti, strade, parchi) in eccesso rispetto a quanti se ne sarebbero prodotti in assenza della recessione. Un esempio estremo può forse chiarire questo punto: la Germania prima della prima guerra mondiale e l’Unione Sovietica dopo la seconda avevano livelli di Pil relativamente elevati, ma non erano certo economie efficienti: producevano soprattutto armamenti, non beni di consumo per soddisfare i bisogni dei cittadini.
Intervenire sul reddito disponibile dei consumatori attraverso sgravi fiscali, invece che non sul consumo, ha un altro vantaggio fondamentale: permette alle famiglie di ridurre nella misura che esse desiderino il proprio indebitamento. L’eccessivo indebitamento delle famiglie americane è una delle cause prime della crisi economica. E per questo gli Stati Uniti non usciranno dalla crisi fino a che il debito accumulato dalle famiglie non sia ridotto in misura almeno comparabile alla perdita di valore della loro ricchezza, specie immobiliare.
In altre parole, agendo per mezzo di sgravi fiscali si permette al sistema finanziario di allocare consumi e investimenti a quei consumatori e a quelle imprese che non avrebbero potuto consumare e investire in assenza del piano anti-crisi. Limitare il ruolo dei mercati finanziari nell’allocazione efficiente dell’intervento pubblico è possibile solo in parte, ad esempio mirando direttamente una parte dei tagli e sussidi fiscali alle famiglie in difficoltà, a quelle più colpite dalla crisi. È bene invece lasciare ai mercati la decisione riguardo a quali imprese sia opportuno sostenere e quali lasciare fallire, per evitare quei meccanismi di scelta politica inefficiente che noi italiani ben conosciamo.
Gli sgravi fiscali previsti dal piano di Obama sono visti dai democratici come un compromesso per avere il supporto di una parte dei Repubblicani al Congresso. Ma se anche così fosse, resta il fatto che questa amministrazione sembra capace di ridare un significato positivo alla parola «compromesso», adottando le idee migliori dell’avversario politico per guadagnarne il supporto.
alberto.bisin@nyu.edu
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