domenica 15 settembre 2024

Thomas Piketty: “Il rapporto Draghi ha l’immenso merito di stravolgere il dogma dell’austerità di bilancio” - nuovAtlantide.org

Thomas Piketty: “Il rapporto Draghi ha l’immenso merito di stravolgere il dogma dell’austerità di bilancio” - nuovAtlantide.org

Franco Astengo: Vantaggi elettorali e supplenza della magistratura

VANTAGGI ELETTORALI E SUPPLENZA DELLA MAGISTRATURA di Franco Astengo L'intreccio tra il "caso Toti" e quello "Salvini" (pur ben diversi tra loro) rappresenta ancora una volta il ruolo di supplenza che la magistratura esercita ormai da molto tempo sul fragile sistema politico italiano. Al riguardo del tema degli equilibri e dei rapporti di forza il punto rimanel quello degli effetti sulla partecipazione al voto in costante discesa ed è prevedibile che il fenomeno si ripeterà, nonostante l'attenzione dei media, anche nelle prossime elezioni regionali in Liguria. Il fenomeno della “supplenza” che la magistratura ha esercitato, in Italia, nei confronti della politica risale ormai a quarant'anni fa ben in anticipo di rispetto a "Tangentopoli": se pensiamo, ad esempio, al “caso Teardo” scoppiato in Liguria nel 1983 (diverso fu il caso, contemporaneo, di Torino, perché in quel frangente fu il sindaco Diego Novelli ad attivare il percorso giudiziario, e quindi fu la politica a “investire” la magistratura). Guai a chi pensa di trarne vantaggi elettorali! Un ruolo di “supplenza” che non è stato esercitato soltanto nei confronti del classico rapporto tra “questione morale” e “questione politica”, quella delle tangenti tanto per intenderci (nel frattempo mutata di segno, come hanno dimostrato i casi più recenti) ma sull’insieme delle contraddizioni sociali più rilevanti, pensiamo, tanto per fare un esempio al conflitto (un orrore chiamarlo così e mi scuso di usare un termine meramente giornalistico) tra ambiente e lavoro,come nel caso dell’Ilva di Taranto e dei migranti. Nel frattempo che la magistratura svolgeva questo compito, deperivano, via, via, i soggetti politici ridotti a espressione di mera “geografia elettorale” (tanto per sintetizzare con una sola battuta) del tutto subalterni, anche a sinistra, ai meccanismi della personalizzazione e alle sirene del movimentismo. A Sinistra la questione non è stata affrontata dal punto di vista riguardante le “fratture” sulle quali agire politicamente prospettando un’alternativa che non sia di “governo”, ma di società e di sistema, ma soltanto sotto l'aspetto della ricerca di artifizi che consentissero la "governabilità" in un quadro di successivo aggravarsi del fenomeno della "fragilità del sistema".

sabato 14 settembre 2024

Il “piano Draghi” per l’Europa: finanza, tecnologia e armi

Il “piano Draghi” per l’Europa: finanza, tecnologia e armi

After the Laffer curve: taxing the rich, at last

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LA TRANSIZIONE ECOLOGICA, E CHI LA DEVE PAGARE - GLI STATI GENERALI

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Europa: l’Unione senza democrazia fa male alla società e all’economia

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È tempo di aprire il “cantiere” della Ue

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Franco Astengo: La "necessità socialista"

LA "NECESSITA' SOCIALISTA" di Franco Astengo L'alleanza rosso-verde può rappresentare un efficace punto d'appoggio per contrastare l'emergere di una sinistra conservatrice di cui abbiamo un esempio molto evidente nella BSW tedesca e anche in determinati aspetti presenti in France Insoumise. Emergono però nella stessa possibile alleanza rosso verde elementi di contraddizione anche stridenti che possono essere affrontati non semplicemente in via politicista (come accade per certi versi nell'esperienza italiana) ma essenzialmente ricostruendo un'adeguata visione di fondo del cambiamento. Ne accennano Pierre Humbert e Peter Wahl su "Le monde diplomatique" di settembre 2024. In questo senso un tema di analisi proponibile potrebbe essere quello del rilancio dell'idea del "socialismo della finitudine" inteso quale retroterra teorico di questa possibile alleanza considerata dal punto di vista della"necessità socialista". Scriveva Olga Tokarczuck, premio Nobel per la letteratura nel momento culminante del COVID “ La paura di fronte al virus ha richiamato le condizioni ataviche più banali, che i colpevoli sono altri e loro, sempre da un altrove, portano il pericolo” e ancora “Davanti ai nostri occhi si dissolve come nebbia al sole il paradigma della civiltà: che siamo i signori del Creato, possiamo tutto e il mondo ci appartiene” (Il Corriere della Sera 3 aprile 2020). Così si pone un interrogativo: è davvero finita l’era delle “magnifiche sorti e progressive” e ci troviamo nella condizione dell’essere finito, limitato, imperfetto ? Chi intende continuare a pensare alla giustizia sociale dell’uguaglianza pare proprio trovarsi davanti a un bivio. Preso atto della necessità di comprendere la condizione di “limite” come definire, allora, un nuovo obiettivo di sviluppo. Oppure non resta da fare altro che ripiegare su di un pensiero di mera conservazione lasciando campo libero agli appetiti dell’egoismo ? Si era discusso sulla possibilità di elaborazione di un progetto di “società sobria” come “terza via”: forse quell’eventualità potrebbe essere già superata e un nuovo modello di vita ci sarà imposto dai fatti e dal governo assoluto della tecnica. Si pone così davvero il tema di un mutamento di paradigma come indicava la Tokarczuck Da una parte sembra prevalere uno schema di affidamento neo-capitalistico dei grandi temi dell'ecologia e della digitalizzazione, considerando così una semplice estensione di "programma minimo" di limitazione del danni, evitando di affrontare nel profondo il punto della connessione tra la "contraddizione principale" (secondo l'antico schema di Rokkan) e la complessità delle già definite contraddizioni post-materialiste da cui discende una modifica dello schema classico di rapporto tra struttura e sovrastruttura. Emerge una sorte di "difficoltà teorica" di elaborazione di un'alternativa sistemica nel cui quadro le forze progressiste sembrano limitarsi a definire un "neo-capitalismo" che si rivolge prioritariamente ai settori sociali capaci (in una qualche misura) di sostenere la battaglia per i diritti civili e quella per le grandi transizioni senza proporre una modificazione di fondo dei rapporti di classe e dei propri stili di vita. Una connessione che permette di definire il nesso tra "liberal" e "radical": denominazioni diverse che discendono entrambe da una concezione liberale di tipo utilitarista. Sarà il "digital divide"(che comprende i temi della cultura, della scuola e dell'università) la nuova frontiera della determinazione di classe ?: "digital divide" elemento di chiaro stampo individualistico utilizzato forse pensando che la "propria felicità" racchiusa nella capacità di regolazione nelle modalità di utilizzo dell'AI possa concorrere a fare la felicità di tutti. Una capacità che richiede però una non facile estensione dei livelli di conoscenza. Beninteso entrambi gli schieramenti: quello del "nazionalismo difensivo" e quello del "neo-capitalismo radicale" stanno evitando accuratamente di affrontare il tema della guerra nel senso del rapporto Europa/Nato, e sembrano entrambi (pur da differenti punti di vista) considerare il tema europeo soltanto come semplice fattore di opportunità redistributiva; 3) Questo quadro tiene ai margini dai propri blocchi sociali di riferimento le prime vittime dalla crescita delle disuguaglianze e di conseguenza restringe i margini della possibilità di incidere sulle dinamiche politiche (ripristinando anche, almeno in apparenza, la logica dell'amico/nemico). Da un punto di vista che vorremmo ostinarci di definire "di sinistra" rimane quindi tutto intero sul tappeto il tema di una possibilità di incidenza sul blocco "radical" in modo da proporre una riarticolazione inclusiva degli esclusi (a tutti i livelli). In termini più chiari si tratta della questione della presenza socialista a livello di teoria e di rappresentanza. Con un avvertimento: una teoria socialista del XXI secolo non può sfuggire alla necessità di rovesciare il concetto lineare di progresso che ci ha accompagnato nel corso del secolo precedente (in particolare nei "30 gloriosi" seguiti alla fine della seconda guerra mondiale). Attorno al tema della pace come valore universale va costruita un'idea concreta di "senso del limite" che ci è già capitato di battezzare "socialismo della finitudine". 4) A questo punto, se si accetta come principio una "necessità socialista" rimane da aprire una discussione sulla forma che potrebbe assumere nel piccolo del sistema politico italiano questa presenza di socialismo dell'uguaglianza e del limite . Ritorna l'antico dilemma : una propria presenza identitaria raccolta organizzativamente in soggettività politica oppure parte di una grande schieramento evidentemente a egemonia "radical", all'interno del quale dotarsi di una precisa rappresentazione di identità? Questo interrogativo porta alla necessità di un dibattito molto ampio nel quale toccare anche i temi istituzionali sui quali un'alleanza rosso -verde attuata nel nome di un "socialismo della finitudine" dovrebbe essere capace di misurarsi. Una discussione difficile ma che è urgente e necessario affrontare con concretezza d'intenti.

domenica 1 settembre 2024

Europa. The Left si divide: se ne vanno dal gruppo Insoumise e Podemos • Diritti Globali

Europa. The Left si divide: se ne vanno dal gruppo Insoumise e Podemos • Diritti Globali

Paolo Zinna: Sui percorsi dei socialisti. In morte del compagno Del Turco

Il 23 agosto si è spento Ottaviano Del Turco, dopo anni di declino e malattia. Molti ne hanno ricordato la figura di sindacalista e politico, con accenti diversi. Io voglio ricordarlo come il più socialista dei politici che ho conosciuto, perché il più generoso, capace di mettere sempre i valori del socialismo davanti agli interessi dei socialisti e di sé stesso. In un passaggio critico (la fondazione del PD) ho fatto, con pochi altri, la sua stessa scelta, contro la maggioranza dei socialisti di allora. Mi dà ancora grande soddisfazione credere di averlo fatto con lo stesso spirito che muoveva lui. La sua vicenda nel PD è stata tristissima, segnata dalla persecuzione di un magistrato molto opaco[1], dal rancore di un’opinione pubblica di sinistra più o meno “comunista” ma certamente scervellata, dalla viltà di molti dei massimi dirigenti del PD che pur sapevano bene come stessero le cose[2]. Oggi lo ricordano in molti, soprattutto per deprecare questa vicenda / tragedia e usarla per riconfermare il dissenso dalla scelta di allora di Del Turco, attribuendogli “ingenuità” e riconducendo tutto alla malvagità antisocialista dei “comunisti”. [Curioso poi che lo facciano nomi che in quegli anni non si fecero mancare un passaggio più o meno lungo nel centrodestra di Berlusconi, prima di rinsavire…]. È un modo per evitare ancora di ragionare sul merito della scelta politica di allora. Scrivo quindi queste note, come mio omaggio ad Ottaviano. Non nego che sia una visione “di parte” ma spero che dia qualche elemento di conoscenza più oggettivo a chi (socialista o no) vorrà leggerle. La nascita del PD ed il clima di allora La politica progressista del Novecento, in Europa occidentale, si è fondata principalmente su tre grandi tradizioni: il filone socialista, quello liberaldemocratico e le forze non conservatrici di ispirazione religiosa. Eppure, alla svolta del secolo, già si avvertiva una certa stanchezza di quei filoni, un essere inadeguati a confrontarsi a nuove sfide (ecologia, globalizzazione, questione di genere) usando gli strumenti del passato, validi ma incompleti. In Italia, alcuni intellettuali (Salvati, Scoppola per primi, poi altri molti) ritennero di trovare la risposta in un progetto diverso (lo chiamarono “riformista” ma non voglio usare questa parola svalutata): una politica nuova, elaborata già all’origine per rispondere alle nuove sfide che ho citato. Non un nuovo partito, dunque, ma un pensiero nuovo. Esso si sarebbe espresso anche in una forza politica (il Partito Democratico) ma la radice stava nel nuovo pensiero. Sarebbe stata davvero una svolta storica. Non è andata così – ma era giusto provarci, Del Turco ed altri vollero esserne parte. Io seguii la scelta di Ottaviano, partecipai alla fondazione del PD e non me ne sono mai pentito. Cosa doveva guidarci? La volontà di inverare i valori del pensiero socialista, o le gelosie e i rancori maturati dall’una e dall’altra parte, negli anni fra il 1978 e il 2007? O peggio, il calcolo meschino di come meglio tutelare le proprie piccole rendite di posizione? Ottaviano Del Turco non ebbe dubbi. Nel PD non eravamo apprezzati, è importante capire perché. C’era a sinistra (e c’è ancora) una opinione pubblica grossolana, che vede la cattiva politica e la riconduce comunque alla disonestà – che non capisce la complessità dei temi e le ragioni degli altri – che confonde la legalità formale con la giustizia sostanziale – che crede che un qualunque Di Pietro (o Civati o Di Battista) possa riportare il paradiso in terra. Per questi, allora, la storia socialista si riconduceva agli anni di Craxi, anzi del craxismo peggiore, e socialista voleva dire disonesto. Il “comunismo”, cari compagni socialisti, non c’entra nulla, c’entravano semmai le stupide pulsioni populiste (che non sono “né di destra né di sinistra”). Infettavano allora anche i cattolici di sinistra, Rosy Bindi si distingueva in questo. Questo stato d’animo è vivo anche oggi, anche se noi non ne siamo più l’oggetto specifico. C’era poi anche, sì, un’ostilità “comunista” davvero, anzi direi meglio “berlingueriana”, dei vecchi militanti PCI che avevano vissuto gli anni dello scontro fra il PCI tardo e Craxi. Semplifichiamo le ragioni dello scontro: c’entrava lo spirito austero, un po’ cattolico pauperista, di Berlinguer stesso, c’entrava l’onesta confusione di chi aveva perso negli anni ’70 la fiducia nel proprio riferimento sovietico e si trovava smarrito, c’entrava l’attardarsi in una visione “industrialista” che non capiva la nuova società del terziario, dei servizi e dei consumi. In sostanza, noi socialisti eravamo antipatici, perché eravamo più moderni, perché eravamo più in sintonia con i tempi nuovi, anche perché avevamo “sdoganato” una certa voglia di vivere e il piacere di consumare. [Sorvolo invece sulle nostre esagerazioni, colpe ed errori che qui non rilevano]. Questa posizione “berlingueriana” invece, si è presto sciolta fino a scomparire, anche per scomparsa fisica di chi la incarnava. I post democristiani, invece, poco si facevano notare, acquattati in attesa di ereditare il futuro (come di fatto è successo). Ovviamente, noi socialisti fondatori del PD conoscevamo benissimo colpe e meschinità degli “altri”, ex comunisti in cerca di ragion d’essere e ex democristiani più o meno “di sinistra” - i primi lo avrebbero pagato duramente, e non immeritatamente, negli anni successivi, tanto che il PD successivo è stato poi profondamente improntato dai peggiori difetti dei secondi. Non c’era proprio nessuna “ingenuità”, c’era invece in Del Turco la generosità di voler contribuire alla riuscita di un grande progetto. Nel PD, la sostanziale assenza dei socialisti ha pesato: è mancato proprio lo spirito aperto, europeo, tollerante e inclusivo dei socialisti e anche da questa mancanza vengono i risultati deludenti di quel progetto. Le scelte dei socialisti nel 2007 Boselli non volle aderire al PD in formazione, e si trascinò dietro quasi tutto lo SDI. Ciò a causa di un suo doppio grave errore di valutazione, che giustamente lo portò poi a scomparire dalla politica. Già negli anni precedenti aveva puntato sull’ipotesi “Rosa nel pugno”, progetto di fusione coi Radicali su tesi libertarie con focus su diritti civili e un certo anticlericalismo. Sono posizioni legittime, che hanno radici nella nostra storia – ma possono esserne una parte, non sono “il pensiero socialista” che non può non avere al centro la tensione verso la giustizia sociale. Come è possibile pensare di confondersi coi Radicali, liberisti in economia, atlantisti in politica estera, formalisti in tema di legalità? Questo ircocervo venne subito punito dagli elettori e strattonato dall’arroganza prepotente dei radicali e dalla sorda resistenza del nostro “partito degli assessori”. Ma nel 2007 si fece anche un secondo errore (che persiste ancor oggi nelle torpide convinzioni di alcuni onesti vecchi compagni): ritenere che il PD sarebbe stato un “compromesso storico bonsai” tra due grandi forze, post comunisti e post democristiani, che avrebbero stritolato la pattuglia socialista. I promotori del PD dicevano di escluderlo ma, allora, era lecito non dare loro fiducia (fidarsi di Prodi? di D’Alema?). Non si fidò nemmeno la sinistra DS (Mussi, Angius). Ma i fatti hanno dimostrato che, in effetti, i due grandi blocchi si sono sciolti in pochissimo tempo. I cattolici alla Ruini hanno fatto danni per qualche anno, ora non più – restano invece (e non è detto siano meno pericolosi) i cattolici adulti, articolati in varie posizioni ma mai lontani dal potere. I “post comunisti” erano già scomparsi subito (talvolta li rimpiango un po’ …). Già verso il 2010 ci si divideva e organizzava su questioni diverse e con allineamenti impensati, fatti magari di nomi dell’una e dell’altra tradizione (es. il gruppo Franceschini – Fassino). [Chi parla oggi di “compromesso storico bonsai” o concetti simili suscita tenerezza ma anche un po’ di irritazione e rammarico: quanta inconsapevolezza di ciò che è davvero il PD, visto dall’interno! Quante energie valide sprecate senza scopo!] In questo quadro variegato la “pattuglia socialista” avrebbe potuto avere influenza significativa, se non per occupare posti di potere, almeno per portare idee e progetti. In sostanza, l’”ingenua” fiducia di Ottaviano era molto più lungimirante della “accorta” sfiducia degli altri. Storia dei socialisti negli ultimi anni e prospettive Sarò sgradevole, “sed magis amica veritas”: una storia inutile, nonostante le migliori intenzioni dei protagonisti. Continua coazione a ripetere lo stesso tentativo più volte sconfitto: riunire tutti i socialisti sotto la stessa bandiera, da ripresentare al paese rivendicando la grandezza e nobiltà della nostra storia. Si riprende il vecchio nome (PSI), si cerca un accordo col PD (di Veltroni, pessimo) che preferisce Antonio Di Pietro, si corre da soli verso un inevitabile disastro elettorale nel 2008. Poi la segreteria Nencini, ondivaga negli anni secondo le opportunità: un accenno verso Sinistra e Libertà, poi verso SEL, poi rapporti più amichevoli verso il PD di Bersani (Italia Bene Comune), poi Nencini viceministro con Renzi nonostante l’incompatibilità, l’uscita di Di Lello, la rottura interna sul referendum Renzi, la controversia sul quarto congresso, eccetera. Non voglio farla troppo lunga, pare noioso perfino a me, che continuo ad avere affetto per tutti i compagni socialisti e ad augurarmi ad ogni elezione che ottengano un improbabile successo. Tralascio anche le vicende della ormai lunga segreteria Maraio, compreso il bizzarro avvicinamento ad Italia Viva. Non sono né meglio né peggio dei dieci anni precedenti e non sfuggono alla stessa logica di sopravvivenza, sulla linea “avevamo ragione noi ed il paese prima o poi ci capirà”. E per il futuro? Non vedo come uscirne: i socialisti hanno subito un’ingiustizia storica – ma al paese poco interessa e non ha alcuna intenzione di risarcirci nelle urne. Forse sarebbe meglio abbandonare la speranza di rinascere come organizzazione e orientare il lavoro a trasmettere il nostro pensiero e il nostro spirito all’area vasta della sinistra italiana, verso il PD o qualunque altra organizzazione futura che la rappresenti. Mi si obbietta: ma tu, entro il PD non hai ottenuto nulla! È certamente vero, ma, nel mio piccolo, posso dire di aver sempre lavorato per le idee socialiste. Forse qualcosa rimane, almeno in una parte del partito a Milano e in Lombardia.