mercoledì 20 gennaio 2021

Gianluca Mercuri: La gaffe di Letizia Moratti

La gaffe di Letizia Moratti e l’ansia lombarda dell’"adeguamento ai nostri numeri": un ragionamento da fare (con amore) Gianluca Mercuri Corriere della sera «Moratti vergognosa. Ha usato un argomento di eugenetica. Secondo il suo ragionamento i senzatetto, i poveri, i pensionati e gli invalidi non dovrebbero ricevere il vaccino, e quelli con stipendi più alti prima di tutti. Come lombardo mi vergogno di essere rappresentato da lei». A una persona tendenzialmente mite come Tito Boeri dev'essere saltata veramente la mosca al naso per lasciarsi andare a un tweet tanto duro. D'altronde, l’ultima sortita di Letizia Moratti pone problemi non solo nel merito, ma anche perché conferma la naïveté comunicativa di un personaggio che pure occupa e rioccupa la scena da decenni in ruoli importantissimi, da presidente della Rai, da ministra dell'Istruzione, da sindaca di Milano, ora da vicepresidente e assessora al Welfare della Lombardia. In questa nuova carica, la prima mossa politica è stata una bomba: una lettera al commissario all'emergenza Arcuri per chiedere che, data la penuria di vaccini accentuata dall'arroganza della Pfizer, tra i criteri per distribuirli alle regioni si tenesse conto del Pil perché - si è giustificata dopo le prime critiche - una Lombardia che si vaccini prima può riattivarsi e rimettersi all'opera con vantaggio di tutto il Paese, e pazienza se qualche anziano meridionale nel frattempo si ammala perché non riceve la dose che gli arriverebbe con una distribuzione democraticamente proporzionale. Il ministro della Salute Speranza non ha potuto che replicarle questo concetto: si curano tutti, e non in base alla ricchezza e all'«importanza» del territorio. Ora, il passo falso di Moratti colpisce perché avviene subito dopo il suo ripescaggio deciso da Matteo Salvini per sostituire un gaffeur seriale come Giulio Gallera (e, secondo molti, per commissariare di fatto il presidente Fontana). Un ritorno a sorpresa, esattamente dieci anni dopo un’altra gaffe colossale, che aveva dato il colpo di grazia alla sua carriera di sindaca. Era il 2011 e Moratti era clamorosamente dietro Giuliano Pisapia dopo il primo turno. Per recuperare, in un duello televisivo su Sky, Moratti accusò il rivale di essere stato condannato per una vecchia storia di vicinanza ad ambienti dell'estremismo di sinistra, storia per la quale invece Pisapia era stato pienamente assolto in secondo grado. E l'accusa arrivò nei 25 secondi finali del dibattito, in modo che l’accusato non potesse replicare. Nonostante l'unanime condanna, per Moratti risultò complicato anche scusarsi. Pochi giorni dopo perse al ballottaggio. Poi c'è il merito della questione vaccini. Stefano Colombo scrive su The Submarine che «la regione ha ampiamente dimostrato la propria inefficienza con la partenza lentissima nella somministrazione, figurando per diversi giorni come ultima di tutta Italia - e non per dosi utilizzate in percentuale alla popolazione: per dosi somministrate in tutto - con le ridicole scuse di Gallera sulle ferie dei medici, che alla fine gli sono costate la poltrona. La Lombardia ha poi faticosamente recuperato un po' del terreno perduto, ma è utile notare che tra le grandi regioni che hanno ricevuto più di 100 mila dosi è ancora la penultima per percentuale di vaccinati sui cittadini, davanti solo alla Sicilia». L'incidente morattiano si innesta dunque su tre questioni, tra loro intrecciate e tutte vitali: la qualità della classe dirigente lombarda, il modello della sanità regionale e il rapporto tra Lombardia e resto d'Italia. Quanto alla prima, c'è da chiedersi perché Salvini, per un necessario aggiustamento ai vertici della Regione, abbia rispolverato la sindaca bocciata dai milanesi dieci anni prima e non abbia trovato di meglio. C'è un evidente, e inspiegabile, problema di ricambio e di qualità nella classe dirigente della regione più ricca e avanzata, e non riguarda solo il centrodestra. Una buona parte dell'elettorato di sinistra, per esempio, non è rimasta impressionata dalla prova di leadership di Sala durante la pandemia, e dire che svettare con concorrenti come Gallera e Fontana non era particolarmente complicato. Le gaffe del sindaco e i suoi dubbi sulla ricandidatura - decisa solo quando ogni ambizione nazionale si era chiaramente dimostrata velleitaria - hanno a lungo fatto sperare che spuntasse qualche figura più giovane e dinamica. Non c'era. E dire che parliamo di personalità - Moratti come Sala - che qualche merito nel rilancio di Milano (quello legato all'Expo) l'hanno pure avuto. Ma da vent'anni né a destra né a manca spunta una o un dirigente che ti faccia dire wow, finalmente. Com'è possibile, in una realtà così vivace e aperta al mondo? Parlarne sarebbe un esercizio fecondo. Poi c'è la questione del modello sanitario lombardo, difeso da una parte per l'eccellenza che garantisce e criticato dall'altra per gli eccessi di privatizzazione e l'annichilimento dei medici di base. «La sanità in Lombardia resta un affare di Silvio Berlusconi e dei suoi amici», ha scritto Gianfrancesco Turano sull’Espresso, e la nomina di Moratti, afferma, serve a garantire questo sistema. Vero o non vero - ma certi intrecci non sono troppo confutabili - quel che conta è che si possa finalmente ri-discutere quel modello per verificare se vada ri-visto. Infine, la Lombardia e l’Italia. Le parole più accorate in questi mesi le ha scritte e dette Ferruccio de Bortoli, per esempio in questa intervista: nel denunciare «l'inaccettabile spirito anti lombardo» che vedeva diffondersi nell'Italia impestata dalla pandemia, il nostro ex direttore si è chiesto con coraggio «perché siamo diventati antipatici» e si è risposto così: «Credo che, a volte, siamo stati troppo orgogliosi dei nostri primati, esaltando le nostre virtù fino a sfiorare l'arroganza. Forse, abbiamo avuto anche un atteggiamento semi-colonialista, proiettando un'immagine di noi stessi che chiedeva un adeguamento ai nostri numeri. Senz'altro, abbiamo sbagliato qualcosa anche noi». «Adeguamento ai nostri numeri», esattamente la freddezza calcolatrice così scoperta da risultare perfino candida nelle parole sventurate di Letizia Moratti. L'importante, comunque, è sempre distinguere: criticare la Regione Lombardia - le sue scelte politiche e la sua leadership - non vuol dire non amare la regione Lombardia con la «r» minuscola, la terra e non l'ente, che è stata l’America in patria per milioni di italiani altrimenti condannati a emigrare all'estero o a soffocare. E lo stesso vale per Milano, in parte anche grazie ai suoi sindaci, in parte nonostante loro.

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