lunedì 9 novembre 2020

Roberto Biscardini: Risposta a Paolo Zinna

Risposta di Roberto Biscardini alla lettera aperta di Paolo Zinna Caro Paolo, è con piacere che rispondo alla tua lettera che mi consente di chiarire alcune questioni di fondo che si trascinano da tempo indipendentemente dall’attualità della pandemia da Covid. Per prima la questione “priorità” che, dalla mia esperienza politica e amministrativa, al di là del progetto di riapertura dei Navigli, ho visto spesso mal posta. Perché viceversa, nella migliore tradizione amministrativa, la politica degli interventi è l’insieme delle opere realizzabili sia nel breve periodo (per rispondere a bisogni urgenti, ancor più se pregressi), sia di quelle strategiche finalizzate a realizzare cambiamenti strutturali. Anche se i loro effetti saranno misurabili in un lontano futuro. Come tu sai, un buon amministratore deve ogni giorno intervenire per realizzare opere a breve, ma anche con uguale passione e concretezza deve ogni giorno intervenire perché si possano realizzare opere ed interventi a più lungo termine. Nell’azione amministrativa non c’è un prima e un poi, c’è il “fare” ciò che è necessario “fare”. Per questo, come già ha spiegato Giorgio Goggi attraverso il tuo Blog, nei bilanci comunali devono (e così avviene normalmente) essere previsti fondi sia per risolvere i bisogni pregressi, sia per intervenire su trasformazioni significative per far crescere la città. Se non si investe su entrambi, si risolvono alcuni bisogni arretrati ma la città non evolve e alla lunga si perdono opportunità e occasioni di sviluppo economico e di reddito con un impoverimento progressivo dei cittadini più deboli. Sono quindi assolutamente d’accordo con te che Milano ha bisogno di investimenti nel settore della casa e nel settore dei trasporti, peccato che, nonostante le mie personali sollecitazioni, è da anni che si maturano ritardi, e che le ultime giunte, sia di centrodestra sia di centrosinistra, poco hanno fatto in questa direzione e ciò indipendentemente dal progetto Navigli per il quale non hanno ancora speso alcun euro. Dobbiamo purtroppo prendere atto amaramente che molte risorse avrebbero potuto, anno dopo anno, essere destinate al settore casa, ma sono andate in mille altre direzioni (altre priorità). E non perché mancassero i fondi, ma perché persino una certa sinistra di governo ha sostenuto (e forse sostiene ancora) che sia meglio delegare la realizzazione di edilizia popolare o convenzionata agli interventi dell’immobiliarismo privato anziché all’azione pubblica dell’amministrazione comunale. Sui trasporti peggio ancora. Perché Moratti e Pisapia hanno cancellato la realizzazione del Secondo Passante ferroviario quando le risorse erano assolutamente disponibili? Perché abbiamo dovuto lottare anche contro il volere prevalente alla giunta Pisapia affinché iniziassero i lavori della M4 già decisi dalla giunta Albertini? Perché la Moratti ha cancellato la sperimentazione dell’idrogeno per autotrazione, che vedeva Milano seconda in Europa dopo Amburgo? Ed oggi, in epoca di Covid, perché il Comune non ha pensato fin dal marzo scorso di incrementare il servizio di trasporto pubblico per immettere sulla rete più mezzi, anche recuperabili da aziende private, come quelle turistiche, che hanno i propri autobus fermi nei loro depositi? Non per carenza di risorse, non per colpa dei Navigli, ma per incapacità di lungimiranza politica, per cattiva volontà e per non andare in conflitto con il modello monopolistico, oltre che costoso, di ATM. Questo per dire che le tue osservazioni sull’emergenza Covid poco c’entrano con il progetto della riapertura dei Navigli, che ad oggi, come ho detto, non ha inciso sul bilancio pubblico dell’amministrazione comunale, nonostante non si siano realizzate né case popolari, né si sia incrementato il sistema di trasporto pubblico. Questo mi permette di aggiungere peraltro, molto brevemente, che nella nostra ipotesi, il progetto Navigli potrebbe essere finanziato anche con la partecipazione di risorse private. Ciò ridurrebbe moltissimo, se non totalmente, il carico sulla finanza pubblica comunale, regionale, statale o europea. Detto questo ti invito infine a concentrare l’attenzione sul valore complessivo che il progetto di riapertura dei Navigli avrebbe alla scala, sia urbana che regionale, come grande progetto ecologico, produttore (come abbiamo già più volte dimostrato) di nuovi cespiti per l’amministrazione comunale e di ricchezza diffusa per tutta la collettività. Una nuova opportunità di impresa, una nuova grande opportunità di lavoro. Così come stanno facendo molte città europee e molte città italiane, orientate alla riqualificazione delle città per una nuova qualità ambientale e della vita di tutti i cittadini. Il progetto Navigli implica infatti la riappropriazione di spazi da destinare ad uso pubblico e collettivo, sottraendoli all’uso privatistico attuale (traffico compreso). O si è dentro a questa logica e si capisce che il futuro (Covid o non Covid) non potrà essere uguale al passato o si continueranno da un lato ad invocare le cosiddette “priorità”, ma lasciando dall’altro, contemporaneamente, decidere agli interessi più forti, e immobiliari di carattere speculativo, la forma e il destino della nostra città. Abbiamo sempre considerato il progetto Navigli come un grande progetto per la costruzione di una “città giusta”, non per pochi ma per tutti, in linea con le istanze economiche, ambientali e di giustizia sociale della stragrande maggioranza della popolazione che vuole capire quale sarà la Milano degli anni 2030. Tutto questo per ribadire che la questione delle priorità è il più delle volte mal posta. Infatti, nulla togliendo alla necessità di soddisfare bisogni pregressi, nasconde l’assenza di visione complessiva e orientata al futuro, perché, di priorità in priorità, si rischia di abbassare complessivamente la qualità della risposta pubblica. Prima ci sono le case, poi ci sono le piazze, poi le fontane, poi ci sono le panchine, poi i cestini, poi i marciapiedi, e sempre più in basso si arriva ad invocare opere pressoché inutili con ricadute economiche pari a zero. Con tutto il rispetto quindi di chi, con serietà, si pone il problema della compatibilità tra interventi tra loro molto diversi (a questo punto non dimentichiamoci dell’urgenza di intervenire nel sociale), da socialista (visto che hai voluto interrogarmi anche da questo punto di vista) mi sento di dire che la storia migliore del socialismo italiano ed europeo è sempre stata caratterizzata dalla capacità di coniugare insieme i bisogni del presente con i grandi processi di trasformazione e di modernizzazione per il futuro. Ce lo hanno insegnato in molti. In proposito ricordiamo il sindaco Emilio Caldara che negli anni della Prima guerra mondiale, alle prese con mille questioni di carattere economico e sociale drammatiche, non rinunciava a progettare le prime metropolitane che si sarebbero realizzate cinquant’anni dopo o addirittura a progettare canali navigabili incompiuti ancora oggi. Poi il sindaco Greppi che ottenne il consenso popolare della città, nell’immediato dopoguerra, quando riuscì contemporaneamente a porre sullo stesso piano il bisogno di ricostruire la città, sommersa dalle macerie dei bombardamenti, con la ricostruzione della Scala, che fu interpretato da tutti i milanesi come uno degli atti più “democratici” di quegli anni. La Scala era di tutti e così la percepivano tutti i cittadini. Successivamente, puoi immaginare cosa sarebbe successo se i socialisti, negli anni ’60, avessero rinunciato a realizzare la rete delle nostre metropolitane urbane dando retta a coloro che, anche a sinistra, consideravano come “prioritaria” l’estensione della rete tramviaria? Per molti, i tram erano di sinistra e le metropolitane di destra. Storicizzando, potrei dire oggi che “i Navigli torneranno”, così come allora ritornò la Scala, ed essi rappresenteranno il manifesto simbolico e concreto del ritorno alla Milano città d’acqua, il ritorno alla propria identità, nella convinzione che, prima o poi, le idee giuste vincono sempre.

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