domenica 19 gennaio 2020

Luciano Belli Paci: L'ultimo leader socialista

L’ULTIMO LEADER SOCIALISTA Non posso non dirmi craxiano. Anche se volessi nascondermi – e non è nel mio stile – non potrei farlo: mi iscrissi al Psi nel 1984 proprio per Craxi. Venivo dal Psdi dove avevo militato dall’età di 14 anni e dal quale da tempo meditavo di uscire perché ne vedevo l’irreversibile sclerotizzazione. Avevo rimandato più volte quel passo perché indispettito da prese di posizione del Psi che giudicavo inaccettabili, come la linea della trattativa durante il rapimento di Moro nel 1978 o come la solidarietà con l’Argentina nella crisi della Falkland-Malvinas nel 1982. Nel 1984, finalmente, mi decisi e portai con me un bel gruppo di giovani socialdemocratici. Se prima Craxi non avesse completato il processo di piena socialdemocratizzazione del Psi non avrei mai aderito perché ho sempre considerato lo sterile massimalismo, la subalternità ai comunisti, la confusione ideologica e la distanza dalla famiglia socialista e laburista europea come tare devastanti nella storia del socialismo italiano. Nel Psi craxiano mi sono sentito sempre al posto giusto, compagno tra compagni dentro una missione davvero titanica, specie per un partito medio, quella di superare da sinistra le tante anomalie italiane che si compendiano nella definizione di “democrazia bloccata”. Nessuno allora pensava che il Muro potesse crollare e la guerra fredda potesse finire nel giro di pochi anni. Noi avevamo il nostro muro domestico da demolire, frutto della storia fatta anche dei nostri antichi errori. Avevamo il maggiore partito comunista dell’occidente, il più debole partito socialista d’Europa, la Dc permanentemente al governo, nessuna possibilità di alternanza e, di conseguenza, una montante tendenza consociativa ed una occupazione sempre più pervasiva dei partiti nella pubblica amministrazione e nella vita economica. Tutta l’azione corsara del Psi di quegli anni deve essere valutata dentro questo contesto immobile e marcescente. Furono commessi anche molti errori, ma resto convinto che la linea fosse giusta. Perché la denuncia della questione morale fatta dal Pci berlingueriano, in sé sacrosanta, rimaneva fine a se stessa visto che solo lo smantellamento della paralizzante egemonia dei due colossi politici poteva ridestare la nostra bella addormentata dal suo sarcofago. L’errore esiziale di Craxi fu quello di non capire che, essendo intervenuto nel 1989 il crollo del Muro di Berlino prima che noi riuscissimo a compiere l’impresa titanica di abbattere il muro invisibile che necrotizzava la vita democratica italiana, lo schema di gioco era saltato ed occorreva cambiare tutto. Perdendo contatto con la realtà, il Psi si trovò ben presto da inseguitore a inseguito, da rinnovatore di una democrazia esangue a bersaglio grosso di chi voleva in realtà distruggere la repubblica dei partiti, con tutti i filistei. Di quella repubblica dei partiti il Psi era il perno, il simbolo, ma anche l’anello debole per via del radicamento fragile, del potere sproporzionato, della mancanza di “controllo sociale” per filtrare arrivisti ed affaristi, dell’antipatia del leader troppo compreso nel suo titanismo. L’establishment economico-mediatico, ormai insofferente nei confronti di partiti che non gli conveniva più finanziare e con i quali non voleva più spartire il potere reale, decise di abbattere quel sistema approfittando dei suoi vizi. Così arrivarono prima le campagne antipartitiche di Segni e C., poi la decimazione giudiziaria, i processi nelle piazze, la delegittimazione della politica in quanto tale, che fu messa “a cuccia” per ridurla a compiti di servizio per il Mercato (maiuscolo) che tutto regola. La fine dell’ultimo leader socialista, latitante ed esule al tempo stesso, non rappresenta solo un simbolo dell’umiliazione collettiva patita da milioni di socialisti, umiliazione che ha pesato e pesa come un macigno sulle sorti, anche elettorali, della sinistra italiana. Quel titano incatenato nel suo rifugio di Hammamet rappresenta una sorta di presagio di come, facendo tabula rasa della democrazia dei partiti (e non ne conosco altre), si sarebbe ridotta la politica italiana. A questo penso oggi, 19 gennaio 2020, 20° anniversario della morte di Bettino Craxi.

6 commenti:

emilio ha detto...

Caro Luciano,


come sono limpide la tua testimonianza e la tua scrittura.

Io mi iscrissi al Psi qualche giorno dopo l'assassinio del compagno Allende. Le mie simpatie culturali per il socialismo e il Psi erano iniziate molto prima, tra la fine Liceo e gli inizi universitari - merito di alcuni "piccoli maestri" tra cui primeggiava (e dentro di me continua a esser forte), Fernando Bandini, poeta. I carri armati di Budapest mi scioccarono nell'anno della maturità e nei giorni in cui stavo iscrivendomi all'Università, Facoltà di filosofia. Andai a comprare l'Avanti!" per le precise, scabre corrispondenze di Luigi Fossati. Il "libro bianco" che ne fece la Einaudi restò a lungo sulla mia scrivania - allora la Einaudi era tutto o quasi.


Però badavo agli studi e per me la filosofia era teoresi prima che pratica pubblica.

Ero man mano attratto da figure accese come Pietrino Nenni e da personalità intellettualmente superiori come Riccardo Lombardi, Antonio Giolitti, Roberto Guiducci. Il partito mi sembrava superiore agli altri perché incarnava una lunga storia e un progetto importante, al contrario del Pci. I comunisti erano fin troppo primi della classe: pensavo che sarebbero stati un'ottima fanteria per quel giorno - che dalle urne mai non arrivava.

Ecco, Craxi lo vissi con diffidenza calante: le sue scontrosità milanesi erano note e a dire il vero quando al Midas Lombardi - meglio, i suoi luogotenenti - contribuirono a farlo Segretario - in Sezione (dove ebbi la fortuna di incontrare un giovanissimo studente di storia che si chiamava Giovanni Scirocco), votai i documenti di corrente. Le correnti allora come tu sai erano compagini strutturate, si diceva che per abbandonare una corrente dovevi scrivere un saggio, un libro per lasciare il Partito.


Quando Craxi iniziò la guerra su due fronti - la Dc, il Pci - fui colto da un'immagine: ecco è arrivato Zorro. Il vendicatore.


Non è stato così, forse il suo cattivo carattere fu ciò che lo fece vincere e perdere, alternativamente.


Un fraterno saluto,

Emilio

claudio ha detto...

analisi giusta, alla quale aggiungerei che mentre è certo che Craxi si sarebbe opposto alla svendita delle partecipazioni statali a ladroni e avventurieri attuata da Prodi e D'Alema, purtroppo dall'esilio ha fatto cazzate imperdonabili, come dare in mano gli ultimi soldi che nessuno nel partito voleva gestire a lla contessa e al barista (ma a Londra c'erano ottimi professionisti disponibili...) e affidare l'avanti a uno squallido bandito come La Vitola, che si è rubato gli ultimi contributi pubblici

maurizio ha detto...

Condivido come sempre molti giudizi espressi da Luciano Belli Paci in questo post, ma altri mi sembrano eccessivi. Luciano ricorda di aver aderito al PSI nel 1984 e spiega perché non lo ha fatto prima, nonostante avesse da tempo considerata esaurita la sua lunga militanza nel PSDI. Non voglio entrare più di tanto nelle ragioni più vicine del suo ritardo, definiamolo così, riguardo alle quali dico solo che, diversamente da lui, ritenni giusto il tentativo di esplorare la possibilità di salvare la vita di Moro, ovviamente senza una capitolazione dello Stato, anziché rifiutare aprioristicamente ogni ipotesi orientata in tal senso come fecero invece i fautori della cosiddetta linea della fermezza. Se poi questa possibilità esistesse e fosse praticabile (personalmente tendo ad escluderlo) non è dato saperlo perché non la si volle nemmeno prendere in considerazione. Relativamente alla vicenda delle Falkland-Malvinas non mi sembra che il PSI abbia espresso solidarietà all'Argentina, ma posso non ricordare bene. In ogni caso va riconosciuto che la risposta intransigente del governo britannico fu determinante per far cadere la dittatura militare che opprimeva ferocemente quel Paese. Ma queste furono le motivazioni recenti, ovviamente per l'epoca, mentre il discorso di fondo posto da Luciano è quello dell'anomalia del socialismo italiano rispetto a quello europeo o almeno a gran parte di esso, cioè della "distanza dalla famiglia socialista e laburista europea". Anche per me quell'anomalia e quella distanza furono negative e su questo punto ho polemizzato più volte su Fb con dei compagni che invece continuano a valutarle positivamente. Ma anche nella tesi di Luciano mi sembra ci sia un eccesso polemico perché se è vero che solo con la segreteria Craxi il PSI divenne un partito pienamente socialdemocratico (gli elementi di critica a Craxi per me sono altri) è altrettanto vero che già dalla fine degli anni '50 e dall'inizio dei '60 cominciarono ad essere presenti nel PSI posizioni e tendenze che, almeno di fatto, andavano nella direzione della socialdemocrazia. Penso ad esempio all'adesione al PSI di un socialista liberale come Tristano Codignola e a tutto il dibattito che portò alla realizzazione del centro-sinistra, che resta tuttora il punto più alto del riformismo italiano complessivamente inteso, e penso alla straordinaria parabola di Nenni, il maggior responsabile della sciagurata scelta frontista del '48, che dal '56 in poi divenne un autonomista intransigente e che appoggiò Craxi fino alla fine dei suoi giorni. Aggiungo che sono sempre stato un grande estimatore di Antonio Giolitti e di Giorgio Ruffolo, uomini sicuramente lontani da ogni forma di massimalismo sterile così come lo fu sempre un leader di indubbia capacità come Giacomo Mancini. Ma nemmeno Lombardi e De Martino possono essere accusati di massimalismo e nemmeno di subalternità al PCI. Però furono sempre critici verso le socialdemocrazie e su questo ci sarebbe ancora molto da dire perché il discorso è indubbiamente complesso come è complessa, nel bene e nel male, tutta la vicenda del socialismo italiano.
Maurizio Giancola

elio ha detto...

Il partito socialista aveva resistito alla violenza della repressione regia di fine secolo, al nazismo e al fascismo solo perchè gli uomini e le donne che lo avevano guidato erano credibili e disinteressati. Craxi ha distrutto il Partito facendo della corruzione un sistema di vita. Io me ne sono andato con Codignola e pochi altri nel 1981 perchè mi era chiaro dove saremmo andati a parare. D'altronde, sono stato sempre convinto che la corruzione, oggi divenuto lo strumento fondamentale della mafie, avrebbe potuto distruggere anche un partito come il nostro e mettere in crisi le istituzioni. Questo Craxi, che era intelligente e capace non l'ha voluto capire. In Italia negli anni 80 si pagava per tutto e il costo delle stesse opere pubbliche subiva la tassa della tangente. Una volta quando si parlava di un socialista si diceva che era un galantuomo. Negli anni 80 la parola "galantuomo" era stata sostituiita da "ladro" anche nell'immaginario collettivo. Avrei voluto avere torto con una forte forza socialista ancora attiva e funzionante, della quale ci sarebbe bisogno anche oggi. Ma con i se e i ma, la storia non si fa Elio Veltri

Luciano ha detto...



Non fu Craxi a fare della corruzione un sistema.

E il PSI non venne distrutto dalla corruzione, bensì tramite la corruzione.

Veltri offre una lettura della realtà a partire dalla sua personale indignazione per l’inquinamento morale che vedeva in “casa sua”. Atteggiamento comprensibile, ma parziale e lontanissimo dal metodo storico, come i nostri valenti storici potrebbero spiegare molto meglio di me.

silvio ha detto...

Nel dicembre del 1996 esce il quotidiano «L'Avanti!». Proprietaria ed editrice è la Cooperativa «International Press» di Valter Lavitola la quale, per difficoltà economiche chiude poco dopo. Nel gennaio del 2003 riprende le pubblicazioni sotto la direzione dello stesso Lavitola, come foglio «Liberalsocialista». Da marzo del 2006 si auto attribuisce la denominazione di «quotidiano socialista»,

Craxi non c’entra nulla con questo giornale; Avanti! Non è mai finito nella mani di Lavitola e De Gregorio che si inventarono L’Avanti!, piccola ma significativa differenza.



Silvio Brienza