lunedì 15 aprile 2019

Franco Astengo: La concezione sbagliata della politica

LA CONCEZIONE SBAGLIATA DELLA POLITICA di Franco Astengo Il PD, con alcuni suo esponenti periferici protagonisti ancora una volta della “questione morale”, dimostra – nelle parole del suo segretario – di voler mantenere quella concezione sbagliata della politica che aveva attraversato le segreterie Veltroni e Renzi nell’idea meramente elettoralistica della “vocazione maggioritaria”. Se si vuol contrastare l’onda “anarco – corporativa” che sta caratterizzando questa fase e superare il cosiddetto “populismo” di destra oggi imperante, la questione non è certo quella di “selezionare la classe dirigente”. Il limitarsi ad indicare una mera prospettiva di alternanza governista rappresenta il motivo che rende il PD estraneo alla tradizione, alla storia, alla realtà della sinistra: un’estraneità che nasce dall’impossibilità di questo partito di rappresentare i soggetti sociali stritolati dalle contraddizioni dell’esistente, tutte gestite completamente con ferocia dai padroni del ciclo capitalistico. Dietro l’estrema fragilità, ormai evidente, delle liberaldemocrazie occidentali si sta mostrando, oltre alle spallate dell’estrema destra anche il funzionamento distorto di un capitalismo che, pure nelle sue forme più mediate, non riesce a produrre forme anche parziali di benessere e di integrazione sociale. Si ripropone con forza il tema della democrazia rappresentativa dei soggetti colpiti dall’allargamento delle disuguaglianze e dallo sfruttamento che si situa ben oltre il classico”Sfruttamento dell’uomo sull’uomo” . La realtà dello sfruttamento riguarda prima di tutto la questione di genere e il territorio. Si pone la questione epocale del rapporto tra politica e tecnica, in termini del tutto inusuali rispetto a quanto sperimentato fin qui. Su questi terreni di contraddizione della modernità il PD italiano intriso di “politicismo della governabilità” dimostra proprio di non entrarci per nulla. Il confuso assemblearismo (non soltanto digitale) oggi in evidenza sul piano della ricerca politica, ci fa correre il rischio di aprire la strada “all’uomo forte”, magari mascherato da “benevolent dictator” secondo il modello di Singapore oppure della “democrazia illiberale” del gruppo di Visegrad. Per rovesciare questa complicata situazione “selezionare la classe dirigente” significa semplicemente stare ancora dentro ai perversi meccanismi del sistema: servirebbe qualcosa d’altro, ma a sinistra la ricerca in questo senso sembra davvero troppo timida e ancorata a stilemi ormai trascorsi.

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