martedì 21 febbraio 2017

Paolo Bagnoli: Quale socialismo

Da critica liberale quale socialismo paolo bagnoli La fine del Partito Socialista Italiano non ha portato con sé anche quella dei socialisti che ci sono un po’ in tutta Italia raccolti in circoli, gruppi, attorno a riviste; tutti desiderosi che qualcosa di serio rinasca, ma tutti paralizzati dall’incapacità di parlarsi come si deve e all’altezza del tema in oggetto. Recentemente da uno dei pianeti di questo frammentato microcosmo è stata riproposta la figura di Filippo Turati nel tentativo di stimolare l’avvio di una discussione culturale propedeutica a uno sviluppo positivo della questione politica. Il fatto è meritevole d una qualche attenzione per due sostanziali motivi: il primo riguarda la conoscenza del leader fondativo del socialismo italiano; il secondo perché il solo riferimento a Turati evoca, subito, suggestioni che interrogano il nostro presente e, tanto più, ciò vale per chi continua a credere, nonostante le repliche amare della nostra storia recente, che il problema del socialismo in Italia continui a essere all’ordine del giorno. E lo è tanto più se si vede come una rinascita ideale-politico-organizzativa non solo stenta ad alzare la testa, ma, pregiudizialmente, a porsi nella condizioni per cercare di rialzare la testa. Le osservazioni un po’ fanciullesche che, in perfetta buona fede peraltro, ogni tanto si alzano da questi ambienti per ammonire che uno spazio di ripresa ci sarebbe, non costituiscono un dato politico. In politica, infatti, lo spazio c’è sempre che lo si sappia conquistare e non è sufficiente lanciare una qualche iniziativa perché ciò avvenga. Occorre programmare un progetto che segua organicamente all’intenzione e le possibili, subito agguantabili, soluzioni organizzative, sono solo una corsa sul posto. Occorre all’intenzione far seguire la chiarezza sulle idealità, su come si vuole stare nella storia, quali forze si vuole rappresentare; significa fare dell’intenzione un progetto politico e muoversi lungo la definizione che ci offre un pensiero compiuto. E, significa altresì, puntare a dare forma al soggetto che non può essere il vecchio Psi travolto dal craxismo ma dalla vicenda del Psi, il soggetto storico per eccellenza del socialismo italiano non si può nemmeno prescindere in un rapporto serio di continuità di funzione storica e di innovazione metodologica. Naturalmente occorrono idee che tengano conto della lotta che occorrerebbe aprire nel presente storico che viviamo senza, con ciò, inseguire il presentismo poiché la rinascita del 060 20 febbraio 2017 11 socialismo in Italia implica una non ineludibile scommessa con la storia. Una scommessa duplice in quanto a essa è legata la più generale questione della sinistra; di quella vera, anch’essa cancellata soprattutto per responsabilità delle scelte compiute dai postcomunisti dalla fine del Pci in poi. Crediamo che una delle ragioni per cui nulla di effettivamente fattuale esista per ricostituire un soggetto socialista dipenda dal fatto che ancora non siano stati fatti seriamente i conti con la stagione di Bettino Craxi. Questo grumo irrisolto impedisce di avere quella pagina bianca su cui scrivere una nuova storia nonostante che l’insieme della vicenda stessa del Psi offra un canone storicamente e culturalmente alti, tali da permettere di avere un riferimento complessivo, ricco e articolato, per una ripartenza negli anni 2000 anche se la storia non si ripete e il passato non si cambia. Il discorso, naturalmente, è complesso e richiede intima consapevolezza di cosa esso voglia dire; una consapevolezza che, al momento sicuramente non c’è. Come non mai, nel caso dello specifico socialista, il rapporto tra passato e presente si impone. La vicenda del Psi ci consegna, infatti, un messaggio sociale e pure un contributo di identità che, se viene smarrito o messo in second’ordine, tutto riduce alla miseria dello smarrimento odierno. Infatti, se guardiamo bene, la questione socialista italiana ci sembra come incistata nel solo dover rendere omaggio a Craxi e alla tragedia umana che ha sofferto e che lo ha travolto. Così non si va da nessuna parte e, infatti, tutto è praticamente fermo. Non crediamo al tacitismo, ma senza saper leggere il passato, non solo non si governa il presente, ma si perde di vista – cosa fondamentale in politica – che l’oggi deve ragionare e incidere in funzione del domani. Se ciò non avviene dallo smarrimento si passa all’abdicazione di se stessi e dei propri ideali che è quanto è successo e sta succedendo, pur con gradazioni diverse, al socialismo europeo. La negatività indotta dal blairismo rischia di essere un virus da cui risulta difficile guarire poiché esso cancella del socialismo quella che è la sua ragione, ossia l’alternativa al capitalismo; tanto più alternativistico quanto più questo è barbarico. In fondo l’arrivo di Corbyn in Inghilterra e il farsi avanti di Hamon in Francia, al di là dei risultati legati alle rispettive situazioni, ci dicono della volontà socialista nei due Paesi di recuperare il socialismo alla sua funzione naturale di forza di sinistra, non di cogestione compassionevole del mercato senza regole. E dove il socialismo non assolve al proprio ruolo ecco che, come in Spagna e in Grecia, sorgono forze con la storia nel presente, ma non nella Storia, che ne surrogano la funzione; ma, piacenti o nolenti, il socialismo sta, per molteplici ragioni, solo nei partiti socialisti. Diverso è il caso della Germania ove sembra dato per scontato che Spd e Cdu continueranno, anche dopo le 060 20 febbraio 2017 12 prossime elezioni, nel governo del Paese avendo i socialdemocratici escluso che, anche se ci fossero i numeri, di dar vita a un’alleanza di sinistra. Per il popolo tedesco probabilmente è giunta l’ora di cambiare la guida del governo. Forse nasce da qui l’ascesa della Spd nei sondaggi. Di Filippo Turati, visto che è da lì che partono queste riflessioni, occorrerebbe tenere presente due cose che, quando si parla di lui, vengono sempre ignorate preferendo ricorrere alla formula trita del “riformismo”; un termine che identifica un metodo legalitario di lotta politica. Parlare di “riformismo” ha veramente poco senso oggi poiché non si sa più cosa la parola voglia dire. Per lo più essa è usata oramai da destra e da sinistra per celare un vuoto di identità e di proposta. Di Turati si dovrebbe ricordare, invece, che egli definiva il socialismo quale “rivoluzione sociale” sostenendo che era dovere dei socialisti avere una risposta per ogni problema sociale e politico che si presentava e doveva essere affrontato. Ci sembra un lascito su cui vale la pena di riflettere. Infatti, se ci pensiamo bene, se si vuole provare seriamente a ridare avvio a un processo di ricostruzione vera del socialismo italiano che non si riduca solo ad un’accolita di reduci o a un’adunata dei refrattari, è un po’ difficile sfuggire a ciò. Nagib Mahfuz, egiziano, Premio Nobel per la letteratura nel 1988, ha scritto: «Prima o poi tornerà il socialismo. Il socialismo non morirà mai». Ne siamo convinti anche noi anche se non è poca la differenza tra il prima e il poi.

2 commenti:

maurizio ha detto...

Naturalmente ho letto subito questo articolo di Paolo Bagnoli, ma per la complessità e la difficoltà del tema posto ho esitato a lungo prima di intervenire. La vicenda della scissione o pseudo scissione o comunque la si voglia definire del PD, con i commenti che anche fra noi ne sono conseguiti, mi ha indotto a rompere gli indugi, per cui cercherò di dire la mia sperando di riuscire ad evitare il rischio sempre incombente di declamazioni tanto banali quanto inutili.
Bagnoli ha fatto bene a ricordare Turati: quella infatti, nonostante il molto tempo passato, resta la via maestra. In particolar modo ha fatto bene a precisare - cosa ormai rara - che proprio Turati, da tutti indicato come il padre del riformismo socialista italiano, non si definì mai riformista perché per lui il socialismo era e restava "rivoluzione sociale". Il socialismo infatti è il fine mentre il riformismo è il metodo per raggiungere il fine, non il fine in sé. Poi possiamo ritenere con Bernstein che il movimento sia tutto e il fine nulla, ma questo è un altro discorso. Quel che conta è essere e definirsi socialisti, non riformisti, anche perché, come ha detto Bagnoli e come tutti sappiamo, il termine "riformismo" è ormai talmente abusato da risultare insignificante ed anche fuorviante se astratto dal suo contesto storico e culturale, come ha ricordato tempo fa Giorgio Ruffolo.

maurizio ha detto...

Queste riflessioni non sono anticaglia inutile, ma sono viceversa attualissime perché ci devono indurre, se le condividiamo, a rifiutare ogni concezione del socialismo come "cogestione compassionevole del mercato senza regole", per citare ancora Bagnoli. Questo è stato l'errore del blairismo e della politica di gran parte dei partiti del socialismo europeo a partire dagli anni '90. Mentre il crollo del comunismo avrebbe dovuto indurre i socialisti a riproporsi come unica ed autentica alternativa al capitalismo, molti, forse convinti della teoria di Fukuyama circa la fine della storia, hanno ritenuto che a fronte del capitalismo trionfante i socialisti non potessero fare altro che mettere qualche benda e qualche cerotto. Da questa illusione sbagliata - non voglio pensare ad argomenti vili - è derivato quell'Ulivo mondiale teorizzato a suo tempo da Veltroni e recentemente riproposto, almeno per l'Italia, da D'Alema. Quando invece - lo dico senza eccessive illusioni ma con qualche speranza - qualcosa di nuovo, anzi d'antico, pare movimentare il socialismo europeo.
Questo dovrebbe valere, almeno a mio giudizio, per quel poco o tanto che resta del socialismo italiano. Nessuna iniziativa più o meno strutturata ha senso - lo dico anche in base alla mia esperienza degli ultimi anni - se prima non si definiscono o ridefiniscono con assoluta chiarezza la cultura ed il pensiero socialista, duramente scossi da tante vicende.
Bagnoli ritiene che questo sia dovuto al fatto che non si sono fatti seriamente i conti con la stagione di Bettino Craxi. Ne abbiamo parlato in più di un'occasione e, come spesso avviene, abbiamo registrato punti di convergenza e di divergenza.
Se qualcuno vorrà riprendere il discorso sarà un fatto positivo. Personalmente credo di avere ormai sufficientemente chiari meriti e demeriti di Craxi e della sua politica. Non ne condivisi all'epoca e continuo a ritenere pesantemente negativi alcuni elementi: la personalizzazione della politica ed il conseguente leaderismo, la gestione bonapartista del partito, l'indifferenza nei confronti di elementi di malcostume in evidente crescita, il non aver saputo affrontare adeguatamente il post 1989. Poi naturalmente ci sarebbero molte altre cose da dire, soprattutto in relazione alle chiusure ed al settarismo del PCI.
Ma c'è anche un lascito positivo da cui credo dovremmo ripartire. Craxi cadde soprattutto perché giudicava negativamente il Trattato di Maastricht, diffidava dell'euro (l'Europa sarà un inferno) e, da vecchio e convinto socialdemocratico, credeva nel ruolo dello Stato e dell'economia pubblica e nell'interesse nazionale, che è cosa ben diversa dal nazionalismo. Per me sono argomenti su cui riflettere e da cui un'eventuale ripresa del socialismo italiano non può prescindere.
Fraterni saluti
Maurizio Giancola