martedì 1 dicembre 2015

Franco Astengo: Le difficoltà dell'elezione diretta

LE DIFFICOLTA’ DELL’ELEZIONE DIRETTA di Franco Astengo In previsione dell’importante turno elettorale amministrativo di primavera tutti gli schieramenti del sistema politico italiano paiono in difficoltà a trovare candidati – Sindaci disponibili (e adatti) a sostenere la competizione. Si sta tentando di rivolgersi a “soggetti” in una qualche misura esterni alla quotidianità della politica: sul versante del centrodestra si pensa a giornalisti o comunque a volti resi noti dalle apparizioni in TV, su quello del PD (l’idea di realizzare alleanza di centrosinistra sta trovando, giustamente, ostacoli molto forti) a figure istituzionali, commissari di vario genere e prefetti. Appare tramontata anche la stagione (che sembrava rinnovare quella del cosiddetto “partito dei sindaci” di inizio secolo) dei primi cittadini anomali “a sinistra”: Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli. Per Doria se ne riparlerà in seguito. Soprattutto dall’adozione del sistema di elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Regione (incautamente definiti giornalisticamente come “governatori”) non pare cresciuta una nuova classe politica di amministratori pubblici: non si è fatto fronte alla “questione morale”, la qualità complessiva del personale politico non è parsa certamente migliorata, i nodi di fondo dell’uso del territorio e del welfare sono stati affrontati in maniera complessivamente insufficiente, la gestione degli enti locali così come è andata non ha certo contribuito a migliorare i complessi rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Nelle occasioni delle elezioni amministrative, inoltre, la percentuale dei partecipanti al voto è progressivamente diminuita e le occasioni dei “ballottaggi” si sono rivelate, sotto questo aspetto, un vero e disastro. Tutto questo nel quadro di un vero e proprio fallimento complessivo riguardante l’insieme dei progetti di decentramento dello Stato: da quelli presenti nella frettolosa riforma del titolo V attuata dal centrosinistra al governo nel 2001, a tentativi più roboanti e sulla carta ambiziosi del tipo di quelli della cosiddetta “devolution”. Paradossalmente, a certificare ancora una volta le contraddizioni storicamente imperanti nel nostro sistema politico, il complesso degli Enti Locali ha chiuso di rappresentare una funzione “progressista” (sicuramente svolta tra il 1975 e il 1990, al momento del varo della legge 142) proprio quando è emersa una spinta politica verso un cosiddetto “federalismo” rappresentato da una Lega Nord interprete di sentimenti di egoismo e di visione di esclusione sociale. Sentimenti prontamente tradotti in una brutta imitazione da parte degli altri soggetti e sviluppati malamente nell’attività amministrativa proprio nella fase coincidente con l’adozione del sistema elettorale ad elezione diretta. Ne è derivato un vero e proprio fallimento certificato dalla “esplosione” e “implosione” dei settori assegnati come competenza alle Regioni: sanità e trasporti. Sanità e trasporti, assieme alla gestione dei rifiuti hanno rappresentato, al Sud come al Nord, una fonte di malversazioni, deficit enormi, assalti da parte della privatizzazione selvaggia. Non parliamo, inoltre, della clamorosa mistificazione riguardante la presunta abolizione delle Province, realizzata soltanto per la parte riguardante il confronto democratico lasciando inalterato il complesso burocratico e raddoppiando i doppi incarichi per i “politici”. Così come accade per l’altro caso macroscopico di finzione nello snellimento burocratico – istituzionale: quello riguardante il vero e proprio punto di sottrazione di democrazia nello specifico della riforma del Senato della Repubblica. Anche l’idea della Lega – Nord, una volta conquistate Lombardia e Veneto, di costituire una sorta di “testa di ponte” sul fronte autonomistico da parte delle regioni più ricche d’Italia pare mordere il freno: in Lombardia si registrano casi di presunta malversazione molto gravi (arresto del vice – presidente della Regione); in Veneto la Lega Nord si è addirittura spaccata con la defezione del sindaco di Verona, oggi in rotta verso il PD. I casi più difficili però riguardano proprio il PD nella fase di completamento della sua definitiva mutazione genetica. Nell’incertezza tra le primarie e l’imposizione dall’alto di candidature esterne, il Partito democratico, diretto da un ex-sindaco arrivato alla segreteria con le primarie e poi alla presidenza del Consiglio senza neppure passare per le elezioni (un caso eclatante di contraddizione vivente che ne mina alla base la credibilità, ben oltre le inconsistenti “sparate” quotidiane del personaggio che sta dimostrando, in queste ore di difficile scenario internazionale tutta la sua vacuità) dimostra una forte incapacità di affrontare la situazione. A sinistra, poi, per quel che rimane il dilemma appare fortissimo: affermare una propria autonomia (come sarebbe giusto) oppure legarsi al carro della “governabilità” stipulando alleanze con i democratici, in un quadro di continuità con le precedenti amministrazioni che risulterebbe (vedi caso Marino, oltre a quelli già citati) puramente fittizia e utilizzabile soltanto in funzione della conservazione di pezzi di potere personale? Il tutto rappresenterebbe, se fosse possibile, oggetto di una possibile profonda riflessione partendo da un dato relativo all’esito complessivo dell’operazione “elezione diretta” avviata oltre 20 anni fa nel pieno dell’implosione del sistema politico imperniato sui grandi partiti di massa. Il dato sarebbe quello di una valutazione obiettiva circa l’effetto (disastroso a giudizio di chi scrive queste note) di crescita del fenomeno della personalizzazione della politica e della riduzione dei soggetti politici (vietato chiamarli partiti per non offendere il passato) a sede di lotte di potere tra cordate e “individualismo competitivo”. Il dilemma è questo: quanto ha contato il raggiungimento di una governabilità forzata (come in effetti è avvenuto) rispetto al decadimento verticale nella qualità del confronto politico e nella capacità di gestione amministrativa? Perché decadimento verticale nella qualità del confronto politico e nella capacità della gestione amministrativa appaiono essere la caratteristica dominante di un bilancio possibile dello sviluppo della presenza politica delle Regioni e negli Enti Locali nel corso dell’ultimo ventennio.

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