mercoledì 16 dicembre 2015

Franco Astengo: Analisi filosofica e domanda politica

ANALISI FILOSOFICA E DOMANDA POLITICA di Franco Astengo Far emergere una domanda politica da una rigorosa analisi filosofica: operazione che i più considereranno del tutto desueta e tentata, invece, e con pieno successo da Antonio Peduzzi attraverso la redazione di un suo agile testo “Tesi sulla tesi Undici” (Oèdipus editore, Salerno 2015). In questi tempi di improvvisazioni propagandistiche e di una politica “praticata” (parola grossa comunque) attraverso espressioni di dilagante incultura, l’autore ha affrontato uno dei passaggi fondamentali nell’elaborazione marxiana. Scrive Peduzzi : “La tesi undici, nella sua lampeggiante semplicità dice: “I filosofi finora hanno soltanto, in vari modi, interpretato il mondo. Il problema è però di trasformarlo” (ne scrive Engels in “Ludwig Feurbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca”, 1888, allorché sostiene: Invece ho trovato in un vecchio quaderno di Marx le undici tesi su Feurbach che riproduco in appendice. Sono appunti di un lavoro ulteriore, buttati giù in fretta, non destinati in nessun modo alla pubblicazione, ma di un valore inestimabile, come il primo documento in cui è disposto il germe geniale della nuova concezione del mondo) L’edizione italiana dell’opera di F.Engels è a cura di Palmiro Togliatti, Roma 1950. Il volume di cui oggi ci stiamo occupando si sviluppa tra confutazioni frutto di pura speculazione filosofica, ripresa di temi ormai lontani da molto tempo (addirittura dalle “Tesi del Manifesto del 1970) come la ripresa di Son Rethel sull’intreccio tra lavoro manuale e lavoro intellettuale e sarà giudicato con ogni probabilità del tutto residuale alle necessità della battaglia politica di oggi. Non è così e queste poche righe cercheranno di dimostrarlo: è piena l’attualità della domanda in conclusione delle tormentate vicende del ‘900 e dei tentativi sviluppatisi in varie forme di inveramento politico dei tanti fraintendimenti marxiani che hanno attraversato il secolo scorso. La richiesta di Marx è ancora più che mai pressante: come si trasforma il mondo? Un mondo nel quale sopraffazione ,ingiustizia, dominio appaiono ancora e sempre più essere la cifra fondamentale di un agire politico sempre più riservato ai potenti, cui non si può rispondere soltanto con evocazioni di tipo millenaristico destinate a costruire entità immateriali e impraticabili qual è la “virtù teologale” della speranza. Sembra uscire da queste pagine la sola risposta possibile “quella della lotta”. Una lotta percorsa, dal punto di vista del suo sostegno teorico, da una visione dell’egemonia del proletariato che riprende l’essenza di un altro pensatore, spesso citato ma mai praticato: Antonio Gramsci. Questo elemento richiama direttamente a una modifica nella relazione fin qui determinata sul piano teorico tra struttura e sovrastruttura: proprio la Tesi undici richiama già, infatti, l’attenzione su di una circostanza grave. La filosofia ha sempre preferito occultare l’essenza dello stato di cose, del mondo piuttosto che puntare al problema. In epoca borghese, scrive Peduzzi, la filosofia non ha dismesso la propria vocazione ancillare e non ha conquistato la terra della libertà. Quindi, sempre riprendendo dal testo, la tesi da sostenere è quella che l’andamento ordinario del mondo non è la stasi (qui la critica a Fukuyama e alle espressioni politologiche della destra americana), ma la trasformazione. Si tratta di decidere una volta per tutte chi debba dirigerne le sorti: in questo lo scontro continua, non esiste definitivo arretramento storico. E’ uscita in questi giorni un’opera (meritoriamente) edita da Carocci sulla Storia del Marxismo. Nell’introduzione Stefano Petrucciani scrive: “Si annida qui un problema, o se vogliamo un paradosso, sul quale vale la pena di fermarsi per un momento a riflettere. La storia degli effetti del pensiero di Marx è segnata allo stesso tempo, verrebbe voglia di dire, da una vittoria e da una sconfitta: l’eccezionale risultato che il pensiero di Marx conseguì e che ne fa qualcosa di unico e di difficilmente paragonabile ad altri percorsi teorici, fu quello di riuscire effettivamente a realizzare l’obiettivo che il giovane Marx si era posto fin dal 1845: superare la scissione tra la teoria e la prassi, ovvero dare vita a una teoria che potesse diventare anche un’operativa forza di trasformazione del mondo. Proprio questo accadde nel momento in cui nacquero e si svilupparono partiti e organizzazioni politiche che assumevano queste teoria come loro punto di riferimento ideale. Questo processo comportò però una conseguenza non altrettanto positiva: divenendo il riferimento statutario di partiti e organizzazioni il pensiero di Marx non poté più essere considerato come l’approdo di una ricerca teorica per tanti aspetti anche problematica e incompiuta da svolgersi e magari da superarsi criticamente, ma fu esposto alla conseguenza di irrigidirsi in una “dottrina”, di subire un processo di ossificazione poco compatibile con l’idea di un’ininterrotta ricerca critica”. Cosa intende, allora, Stefano Petrucciani con questo passaggio? Forse l’impossibilità di costruire sulla base della teoria marxista, dopo i fraintendimenti da essa subita nel corso del ‘900, un’organizzazione politica di riferimento? Mai come in questo momento, all’interno di un processo di trasformazione di grande portata nel rapporto tra struttura e sovrastruttura e nell’evidenziarsi della necessità di aggiornamento urgente del riferimento teorico alle “fratture” sociali esistenti, il marxismo deve rappresentare la base di costruzione di un’adeguata organizzazione politica del tutto necessaria per poter portare avanti quei termini di lotta cui Marx pensava, come militante e dirigente politico: un aspetto cui lo stesso Petrucciani nel corso del testo già citato dedica un significativo passaggio. Non si può lasciare questo patrimonio come sfondo teorico per successivi approfondimenti. In questo senso il lavoro curato da Antonio Peduzzi, riscoprendo la critica filosofica alla “Tesi undici” può costituire non soltanto una base di riflessione ma anche uno strumento utile all’indirizzo politico. Si può concludere proprio con le frasi conclusive del testo di cui abbiamo cercato di occuparci in quest’ occasione: “Ma noi fummo spinti nel mondo per metterci controvento, non per farci gonfiare le vele da un vento che è nemico” E ancora: “Il problema non consiste nella rivolta moltitudinaria contro l’Impero. Nessuno stato di cose deve ritenersi indenne da catastrofi finché in un qualche suo angolo vivrà un sia pur minimo punto di contrasto”. Ecco: il nostro compito è ancora quello di organizzare quel “punto di contrasto”.

2 commenti:

alberto ha detto...

Mi scuso, ma mi sembra l’apologia dell’allegra solitudine che, politicamente parlando è la scelta razionale del fallimento.




franco ha detto...

Non è mica un’analisi politica, ma un tentativo di recensione di un testo filosofico, con un collegamento (forse arbitrario) con un testo di introduzione storica. Penso non sia giusto leggere tutto con gli occhiali dell’utilitarismo politicista, che pure ha le sua ragioni e deve trovare il suo spazio. Grazie per l’attenzione Franco Astengo