lunedì 10 agosto 2015

Franco Astengo: Nel merito delle riforme

NEL MERITO DELLE RIFORME di Franco Astengo Il dibattito sulla riforma del Senato sta incendiando l’estate della politica italiana assumendo risvolti legati esclusivamente alla tattica contingente, in particolare rispetto alle invero poco esaltanti, dinamiche interne al PD nello scontro che si sta realizzando attorno al progetto di “Partito della Nazione” inteso come supporto alla leadership di Renzi e alla prospettiva di durata del regime fin qui realizzato attraverso una sorta d’intestazione personalistica. Sfugge tuttavia il merito di questa riforma e la confusione regna sovrana: addirittura, in una loro proposta di mediazione fra le parti, il ministro Martina e il sottosegretario Pizzetti parlano di rilancio del regionalismo: un obiettivo non solo del tutto impopolare (vedasi la partecipazione al voto alle ultime consultazioni elettorali) ma anche ormai ampiamente fallito nel concreto come dimostrano i bilanci concreti delle più importanti regionalizzazioni fin qui tentate: sanità e trasporti. Senza contare, al riguardo delle Regioni, l’esplosione di una gigantesca “questione morale” del tutto interna al sistema politico e ai presunti “professionisti” che lo hanno frequentato nel corso degli ultimi anni. Nel corso della discussione in atto appare, tra l’altro, del tutto trascurato il nesso tra Riforma del Senato e Legge Elettorale per la Camera dei Deputati (il mai abbastanza deprecato “Italikum”: una relazione, invece, del tutto fondamentale rispetto all’obiettivo che si sta perseguendo di ulteriore e definitiva mortificazione nel ruolo del Parlamento. Attorno a questo punto si potrà realizzare il vero superamento del dettato costituzionale, al di là della modifica di questo o quell’altro articolo : la Costituzione è basata, infatti, dal punto di vista dell’assetto dello Stato sulla centralità dei consessi elettivi, a tutti i livelli, al centro e in periferia. Un concetto, quel del superamento della centralità dei consessi elettivi negli Enti Locali, già superato da tempo con l’elezione diretta dei Sindaci (1993) e dei Presidenti di Regione (2000) ormai del tutto impropriamente denominati come Governatori. Tornando al dibattito in corso l’impostazione che i contrari al progetto del Governo hanno fin qui fornito alle loro proposte non sfugge all’impressione di una semplice operazione conservativa: quanto di meno popolare si può incontrare rispetto all’opinione pubblica. Come dovrebbe svolgersi, invece, un dibattito serio al riguardo del ruolo del bicameralismo in un sistema democratico moderno? Dovrebbero essere sviluppati almeno tre possibili punti di riequilibrio sul piano istituzionale: 1) Equilibrio tra l’elezione del Parlamento e la formazione del Governo (legge elettorale maggioritaria/fiducia in un solo ramo del Parlamento o in entrambi); 2) Equilibrio tra il potere del governo, e quel pluralismo istituzionale, politico, culturale essenziale nell’applicazione di un coerente costituzionalismo (tanto per fare un esempio concreto: un equilibrio da ricercare muovendoci esattamente al contrario di quanto avvenuto qualche giorno fa con la vicenda RAI); 3) Equilibrio tra centro statale e periferie regionali: come già espresso poc’anzi si tratta di un ordinamento da rivedere nel profondo dopo il fallimento totale della già fragilissima opzione “federalista” (pensiamo allo squilibrio tra il Nord e Il Sud, tanto per aggiungere un ulteriore argomento) Sia nel disegno di legge presentato dagli esponenti del “Regime Renzi”, sia nelle obiezioni presentate dalle variegate opposizioni mancano totalmente i presupposti legislativi per affrontare questi nodi. L’obiettivo del progetto di riforma fin qui parzialmente approvato dovrebbe essere quello di garantire la rappresentanza territoriale, attraverso consiglieri regionali “nominati”. In questo caso la seconda Camera dovrebbe disporre del potere di definire, di volta in volta, il concetto di “interesse nazionale” e di fissare, con proprie leggi, i principi fondamentali cui deve attenersi la legislazione territoriale con l’obiettivo di far tornare le Regioni al ruolo di ente legislatore sottraendo spazio ai ruoli di nomina e di spesa. Il progetto del Senato marcato “Regime Renzi” non garantisce questo e non garantisce neppure l’uguaglianza rappresentativa delle Regioni (come accade, invece, tanto per fare un esempio sicuramente non sospetto, nel senato USA, che è elettivo). Quest’uguaglianza, in una realtà di forti scarti geo – economici come quella italiana, dovrebbe significare l'indispensabile condizione per realizzare, attraverso la perequazione finanziaria, quella “solidarietà territoriale”, finora garantita dalla Conferenza Stato – Regioni (non si tratta soltanto di questioni di tipo redistributivo, pensiamo alle drammatiche vicende dell’immigrazione). Se non si realizza questo elemento il Senato smarrirebbe la sua funzione più importante, quella di “chiusura” del sistema delle Autonomie : il rischio che stiamo correndo è quello di arrivare a una sorta di Repubblica “invertebrata” (per dirla con Andrea Manzella) riducendola davvero (qui la citazione è più colta: si tratta del principe di Metternich) a una “espressione geografica”. Sul piano più direttamente politico però il tema fondamentale rimane quello di fare in modo che elettrici ed elettori non possano più pronunciarsi sulla scelta dei propri rappresentanti . Anzi si sta cercando di andare anche oltre: zittendo completamente le voci di un’opposizione alternativa posta politicamente al di fuori dal perimetro del sistema. Intanto è comunque fondamentale il prossimo passaggio al Senato: sconfiggere il disegno del “Regime Renzi” attraverso il ritorno al principio dell’elettività dei senatori porterebbe obbligatoriamente a una caduta dell’intero impianto di “deformazione costituzionale” ( la definizione è attribuibile all’avv.Besostri, il “padre” della battaglia contro il Porcellum e adesso contro l’Italikum). Una discussione che, complessivamente, va riportata nell’alveo della miglior elaborazione della politologia e, soprattutto, della Costituzione Repubblicana che rimane, sotto questo aspetto, limite invalicabile. Un’annotazione conclusiva: appare evidente ormai che gli obiettivi dell’insieme dell’impalcatura presuntamente riformistica non risiedono assolutamente nell’idea, propagandisticamente sbandierata a suo tempo, di riduzione del “costi della politica. Com’è stato ben dimostrato dal pasticcio solenne combinato con la trasformazione dell’assetto istituzionale delle Province.

7 commenti:

lorenzo ha detto...

lorenzo ha detto...
Per ciò che concerne i costi delle Provincie, sarei curioso di sapere da chi, come e dove è stato “dimostrato” che non c’è stata riduzione di spesa. Stento a capire come lo “sfratto” a cento (diciamo grosso modo cento, più le provincie create negli ultimi dieci anni, meno quelle di Sardegna e Sicilia) consigli provinciali con i loro apparati, sia uguale a zero. Senza contare che un certo numero di dipendenti provinciali sono andati a colmare dei vuoti nel personale amministrativo dei tribunali che pare ne avessero disperato bisogno. Ma, più in generale, mi colpisce il fatto che si assuma che qualsiasi spesa dello Stato sia considerata “buona” e che qualsiasi riduzione di spesa sia considerata “cattiva”. Pare si ignori il fatto elementare che le spese dello Stato vengono finanziate dai cittadini (direttamente, oppure pagando interessi sull’enorme debito pubblico). E non certo dai cittadini ricchi che hanno mille modi per sottrarsi, bensì dalla massa dei contribuenti medi se non da quelli poveri (che per esempio pagano l’Iva sui beni che acquistano oppure enormi accise sull’energia e sui carburanti). Lo Stato che può ignorare le spese è solo l’immaginario Stato comunista che nei fatti produce povertà per tutti eccetto pochissimi (oppure la storia non insegna nulla?). Cordialmente. Lorenzo Borla

franco ha detto...

10 agosto 2015 13:22
franco ha detto...
E' semplice: gli apparati sono rimasti esattamente dov'erano non c'è stato alcun trasferimento di personale anche perchè non ci sono stati traferimenti o accorpamenti di deleghe. Molto semplice.Sarebbe poi interessante confrontare le spese per i vecchi consigli e per gli attuali formati dai sindaci (rimborsi spese, uffici, ecc.). Una solenne presa in giro, altrochè. Grazie Franco Astengo

alberto ha detto...

10 agosto 2015 13:23
alberto ha detto...
La diatriba sul meccanismo elettorale del futuro “Senato” delle autonomie, rischia di mettere in ombra il problema vero, che è quello dei futuri poteri delle due assemblee ( Camera e Senato) e dei loro rapporti con il governo .
La lettura di questo articolo
http://storicamente.org/federalismo-in-germania_falcone
potrebbe aiutare a capire che stiamo rischiando di parlare solo di “contenitori” piuttosto che di “contenuti”.
Grazie

alberto ha detto...

caro Borla il problema non mi pare sia quello dei risparmi realizzati dal non pagare i costi “politici” ( ossia di consiglieri e assessori e presidenti) delle Amministrazioni provinciali. Ma il fatto che in materia di riforme dell’assetto dello stato Renzi sembra comportarsi come un architetto pazzo che entrato in un grande palazzo, certamente da rimodernare, inizia a togliere muri e pilastri senza chiedersi se alla fine il palazzo starà in piedi. Ossia senza porsi il problema della sua staticità. Eppure, a partire dalla “fondazione Agnelli” cerano numerosi studi sulle migliorie da dare ad un moderno assetto dello Stato: dalla riduzione del numero delle regioni ( alcune anche più piccole della mia provincia) alla soppressione dello statuto delle regioni speciali, alla drastica riduzione delle aree provinciali all’interno delle macro regioni ed al ruolo da dare alle suddette aree non necessariamente rette da organismi politici, alla riduzione, mediante accorpamento dell’assurdo numero di Comuni. Picconando a destra e a manca invece il rischio è che il palazzo non venga ristrutturato, ma cada in testa a tutti noi. L’impressione è che , tolte lodevoli eccezioni, tra cui sicuramente Padovan per il rispetto internazionale che si è meritato in tanti anni di serio lavoro da economista, l’impressione sia che il governo Renzi sia fatto da giovani apprendisti marinai che navigano a vista. Meglio forse di un equipaggio di corsari, e furfanti come è stato in altre occasioni. Ma è ancora un po’ poco. Per avere fiducia in Renzi avremmo tutti noi bisogno di un “ progetto compiuto” più che di iniziative di cui poco comprendiamo la direzione.

felice ha detto...

Se i costi della politica sono le indennità degli eletti, questi sono i costi della democrazia. L'art. 51 Cost. garantisce A TUTTI DI CANDIDARSI A PARITà DI CONDIZIONI, QUINDI NO PUò ESSERE RISERVATA LA RAPPRESENTANZA SOLTANTO AI BENESTANTI, ANCHE PERCHé CI SAREBBE CONTRASTO CON IL SECONDO COMMA DELL'ART. 3 COST. Non ci sono disposizioni specifiche costituzionali sull'indennità l'ultimo comma dell'art. 51 Cost. si l,imita a dire che "Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro."Le Province sono state rapinate della tassa sui PASSAGGI DI PROPRIETà DEGLI AURTOVEICOLI, UNA DELLE POCHE TASSE PROPRIE. Si naviga a vista e Province destinate all'abolizione e Città Metropolitane che avrebbero dovuto essere la nuova forma di governo locale sono trattate allo stesso modo. Prova generale di limitazione democratica, anche qui elezioni di secondo grado. . Pensate CHE SONO LEGITTIME LISTE COMPOSTE DA TANTI CANDIDATI QUANTI SONO I POSTI ED ANCHE IN PRESENZA DI UNA SOLA LISTA. CHE BELLO SAPERE I RISULTARTI LA SERA prima dell elezioni! Ma basta piagnistei bisogna essere positivi : c'è il nuovo che avanza.


Felice C. Besostri

lorenzo ha detto...

Caro Ferrari, non intendevo sollevare il problema epocale dell’assetto dello Stato. Non ambisco a tanto, e non avrei neppure le idee chiare su come ristrutturare questo assetto. Ma sappiamo che se si versa nel piatto troppa pastasciutta non solo deborda, ma si finisce di fare indigestione. Mi limitavo ad osservare che mi sembra improbabile che la cancellazione dei consiglieri assessori presidenti e dell’apparato dedicato a loro (che potrà forse fare cose più utili altrove) equivalga a zero riduzione di spesa. D’altra parte è un classico: quando si tirano in ballo le questioni più grandi e universali (perché non partire dalla presidenza della Repubblica, a scendere?) il solo risultato è che le cose restano come prima. D’altra parte, prima della legge Delrio, erano decenni che si leggevano critiche alla inutilità e ai costi delle Province, salvo che messo in moto il processo, ovviamente non si fa così, e i problemi sono “ben altri”. Per il resto sono d’accordo: il Palazzo andrebbe ristrutturato dalle fondamenta, sono d’accordo che il Governo è nelle mani di giovani apprendisti eccetera. Per lo meno sono volenterosi e puliti. Meglio dei professionisti dei ministeri che ci hanno portato alla condizione che tutto è da rifare.

Cordialmente. Lorenzo Borla

lorenzo ha detto...

Mi chiedo se c’è qualche Paese al di fuori dell’Italia, che ha Comuni, Province, Regioni, doppie Camere uguali: siamo così ricchi da poterci permettere questi costi della democrazia, oltre alla burocrazia più retribuita del mondo a partire dai commessi delle Camere? E ai poveri che pagano, ci si pensa?


Lorenzo Borla