lunedì 31 agosto 2015

Franco Astengo: Populismo e nazionalismo

POPULISMO E NAZIONALISMO: GUAI GROSSI IN VISTA di Franco Astengo Il Populismo è un atteggiamento politico apparentemente favorevole al popolo, identificato nei ceti soci economici più umili e sovente culturalmente più arretrati, ma concepito in modo generico e velleitario che gli fa assumere un carattere del tutto demagogico. Infatti, si suole adulare il popolo quale depositario di tutte le virtù politiche e sociali e difenderlo dai raggiri machiavellici di non meglio identificati “ceti dominanti”. Chi si colloca in una dimensione di tipo populista svolge, in sostanza, una funzione adulatoria si sente in dovere di formulare proposte politiche atte a gratificare i desideri di rivalsa del popolo minuto, contrapponendoli alle élite. A questo proposito si pensi alla vera e propria “furia iconoclasta” che accomuna Renzi e Grillo nell’idea di distruzione dei “corpi intermedi” dai sindacati, alle stesse associazioni imprenditoriali, fino al sistema delle autonomie locali e all’idea di cancellare il bilanciamento di poteri tra diverse istituzioni rappresentative anche a livello centrale, come nel caso del Senato. Funzione adulatoria e “furia iconoclasta” insite nel populismo, che risultano, però, del tutto fuorvianti rispetto alla necessità di risolvere i problemi complessi di una società moderna. Le proposte avanzate dai populisti, come abbiamo sicuramente verificato nel periodo in cui è stato Silvio Berlusconi a risultare centrale nell’attenzione dei “media” che stavano occupandosi del sistema politico italiano, svolgono esclusivamente una funzione strumentale, perché dirette a obiettivi di mera conquista e conservazione del potere, da parte di chi avanza tali proposte pretendendo di farlo presuntamente in nome del popolo. In tal senso, allora, il popolo è assunto come mito per individuare un livello di confronto di tipo quasi irrazionale ed emotivo: si pensi , ad esempio, al tono tenuto da Grillo nei suoi comizi in piazza: tono molto diverso dalle sue più recenti apparizioni televisive o nel confronto con i gruppi parlamentari del suo movimento. Il concetto di popolo nel populismo non è razionalizzato, ma piuttosto intuito o postulato apoditticamente. Anzi se vi è chi scrive che il populismo è una “sindrome”, si può dire che al populismo non corrisponde un’elaborazione teorica organica e sistematica. Elementi fondamentali del populismo appaiono essere così l’appello alla nazione (Renzi) e l’appello al popolo (Grillo e Berlusconi). Per ritornare sul tema delle origini teoriche si può dire che il populismo si accompagna con un concetto di democrazia senza intermediazioni che si colloca in antitesi alla democrazia rappresentativa che si proietta, alla fine, su forme di vero e proprio fascismo. Anche i tentativi in atto di “ricostruire a sinistra” soffrono della sindrome populista: se esaminiamo il dibattito in corso sulle colonne del Manifesto sotto il titolo “C’è vita a sinistra” ci accorgeremo che la cifra teorica dominante è quella del movimentismo “radical” di matrice Lotta Continua e la (egemone da tempo nella linea portata avanti dal quotidiano) “teoria delle moltitudini” di matrice “negriana” (da Toni Negri, ovviamente). Manca totalmente, ormai, nel confronto a sinistra sia il rigore dell’etica rivoluzionaria che comunque attraversava ancora settori del disciolto PCI, sia la visione progressista di matrice socialdemocratica: due visioni che PDS e Rifondazione Comunista non hanno saputo interpretare teoricamente e politicamente . Non esserci riusciti ed essersi adagiati su nazionalismo e populismo intrecciati all’interno della logica della governabilità costituisce l’elemento alla base del disastro attuale e della scomparsa di una qualsiasi identità riferita alla storia e alla tradizione del movimento operaio, non solo italiano beninteso. Nella sostanza il soggetto politico più vicino agli atteggiamenti prevalenti attribuibili al populismo possono ben essere assegnati alle stesse categorie che, in altri tempi, generarono il fascismo. Tanto più che, sempre per fermarci dentro i confini del sistema politico italiano (senza approfondire cioè quanto il populismo stia incidendo sui destini della sinistra europea, da Podemos a Syriza, mentre appaiono più “classiche” le divisioni interne alla Linke e rimane da valutare un eventuale Labour con segretario Corbyn) emerge un altro spauracchio: quello del nazionalismo che il PD targato Renzi sparge a piene mani. Si tratta di un nazionalismo legato a una visione quasi “futurista” da anni ’10 con una visione quasi salvifica del ruolo della Nazione in tutti in campi, con forti tensioni militaresche. Tanto è vero che sulla tragica questione dell’immigrazione più volte il ministro degli esteri Gentiloni (ex-PdUP, tanto per ricordare che nessuno è perfetto) ha espresso la volontà di intervento militare all’interno della complicatissima crisi libica. Insomma, un PD da 1911: soggetto veramente pericoloso per la democrazia italiana. Dal modello della quale, così come impostata dalla Costituzione Repubblicana, il partito di maggioranza relativa sta cercando di uscire anche a costo di pagare il prezzo di una scissione interna. Un PD che, appunto, intende dirigersi verso una frontiera di tipo nazional/populista. Tutto ciò appare molto pericoloso in una fase di scontro a livello globale, con il Medio Oriente e l’Asia centrale pervase da una realtà pesantissima di conflitti armati, zone dell’Africa in vero e proprio dissolvimento dal punto di vista di una possibile convivenza civile e politica, manovre militari in atto sulla linea del Baltico dove si fronteggiano la NATO e la Russia e nel Pacifico dove operano in maniera congiunta le flotte russe e cinesi. Sono questi semplici spunti di riflessione sviluppati al solo fine di indicare la pericolosità dello stato di cose in atto a livello globale e l’assoluta perversione che emerge all’interno del nostro sistema politico nel senso del nazionalismo populista trasversale alle forze politiche: l’Europa è sullo sfondo, capace soltanto di imporre i diktat dei tecnocrati ai popoli più affamati e di costruire muri, di filo spinato in Ungheria, di poliziotti anglo-francesi a Calais. Varoufakis in un’intervista apparsa oggi sui quotidiani, al riguardo dell’Europa, afferma che lo scopo della Germania è demolire la Francia: insomma è l’Europa del 1870. Un riferimento storico ancora più arretrato rispetto a quello riguardante il 1914 che parrebbe emergere da un’analisi della situazione attuale. Chissà come stanno veramente le cose e riusciremo questa volta a fermare gli eterni interventisti dannunziani d’Italia?

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