martedì 14 giugno 2011

Felice Besostri: Egemonia e trasformismo

EGEMONIA E TRASFORMISMO
di Felice Besostri, Circolo La Riforma, Gruppo di Volpedo
La Giunta Pisapia è partita in orario, ma non è un treno, che viaggia su binari, ma piuttosto una nave, che dovrà adattare la rotta secondo le condizioni climatiche e di visibilità. La catena di comando è importante, perché il capitano è importante, ma dovrà pur riposarsi di tanto in tanto. Pur nelle migliori condizioni e con il miglior equipaggio bisogna tener conto delle altre navi, quelle dirette dal Governo nazionale, da quello regionale e, si parva licet componere magnis, del provinciale: il rischio di collisione è sempre in agguato, anche con gli iceberg. Nell’epoca dei GPS, tuttavia non si può rinunciare ala bussola e al sestante, cioè avere buon senso, oltre che programmi, piani di navigazione, perfetti. L’inizio sembra buono, anche se con la riduzione degli assessorati, non era posibile accontentare formalmente tutti, ma il governo della città non dovrebbe esaurirsi centralmente, se si tiene conto dei Consigli di Zona, coi quali, ma soprattutto con i cittadini, si è preso un impegno di rafforzamento e rilancio e anche di ridisegnarli: tutte cose possibili senza necessità di nuove elezioni circoscrizionali in corso di mandato. Il caso della vittoria di Milano diventerà oggetto di studio e a ragione: basterebbe leggere le analisi e le profezie fatte all’indomani delle primarie per rendersi conto di quanto straordinaria sia stata questa vittoria. La soddisfazione di averci politicamente e personalmente creduto non basta per lasciare da parte spirito critico e vigilanza democratica. E’ vero, che in politica le promesse impegnano soltanto chi le ascolta(Clemenceau), ma Pisapia, più che fatto promesse, si è impegnato pubblicamente. In questa tornata elettorale è stato il sindaco in assoluto più votato, basta non farsi ingannare dalla percentuale dei votanti, ma soprattutto è stato un candidato sindaco, che lasciate alle spalle le primarie, è stato portatore di uno spirito unitario, capace di incanalare le insoddisfazioni dei cittadini in una proposta, piuttosto che in una protesta come a Napoli. Nasce un modello di riconquista della maggioranza degli italiani alle prossime elezioni politiche, che intendo come modello di relazioni tra partiti e di essi con l’opinione pubblica e le diverse articolazioni della società. Non è necessario che Pisapia diventi un nuovo Renzi, tanto per fare un esempio di nuovismo personalistico. Il decadimento fisico e mentale di Berlusconi spero che segni la fine di un modello di fare politica e francamente non ho mai condiviso, chi spiegava le sconfitte della sinistra con la mancanza di un personaggio con le sue caratteristiche, ma spostato a sinistra, leggermente perché doveva conquistare consensi al centro. Certamente le personalità sono importanti, ma un Mitterrand, un Brandt o un Palme non avevano bisogno di essere piacevoli intrattenitori, anzi, posso dirlo per averli visti da vicino, avevano un carattere spigoloso per niente facile alla comunicazione. Per la loro bellezza o simpatia scegliemmo nel 2001 Rutelli e nel 2008 Veltroni, sappiamo, purtroppo come sia andata a finire. Pisapia ha fatto, nelle primarie e nella campagna elettorale, frequenti rifermenti alla tradizione socialista milanese: un vezzo o un mantra? Coraggioso, comunque, in una città che aveva dimenticato i socialisti e nella quale molti socialisti d’antan avevano dimenticato di esserlo: che vergogna vedere che l’unico simbolo graficamente socialista fosse nella coalizione della Moratti. Che pena leggere un appello a favore della Sindaca, firmato da esponenti governativi che in questa occasione, e non nell’attività governativa di tutti i giorni, avevano riscoperto di essere stati socialisti. Quella tradizione socialista è un emblema di lunga durata e chiunque se lo può augurare. La continuità della tradizione socialista è stata interrotta soltanto da avvenimenti drammatici come la presa fascista del potere o tangentopoli. A Milano il municipalismo socialista ha creato un’egemonia politico-culturale del tipo socialdemocratico scandinavo, cioè non scalfibile da un momentaneo rovescio elettorale: l’altro esempio italiano è stato quello offerto dal comunismo bolognese, malgrado Guazzaloca. Milano ha retto ad una prova più dura con 17 anni di esilio socialista da Palazzo Marino. Spetta ora alla Giunta e alla maggioranza consiliare e di tutte le zone di decentramento trasformare questa vittoria in una durevole egemonia, cioè introducendo istituti e politiche, come sono state quelle socialiste dei periodi migliori: gli asili comunali, le scuole serali, il Piccolo Teatro l’edilizia popolare, le municipalizzate, il primo decentramento con le 20 zone (troppe allora, come sono poche le 9 attuali). In quel progetto si associarono il ceto medio e anche l’alta borghesia delle professioni e gli strati popolari. Apparentemente la stessa alleanza si è riprodotta già al tempo delle primarie e in modo deciso nel voto al primo turno, per diventare valanga al ballottaggio. Egemonia nuova o vecchio trasformismo? La risposta dipenderà anche dalla partecipazione dei milanesi ai referendum cittadini e nazionali: un’alta partecipazione sarebbe conferma di una spirale virtuosa. Se fosse bassa ricorderebbe lo spavento che prese gli elettori del PCI del quasi sorpasso della DC, una massa inaspettata in libera entrata e senza vincoli col partito. Ci sono elettori che vogliono punire, senza pensare che il loro comportamento individuale sia uguale a quello di altri a centinaia di migliaia, se non milioni.
12 giugno 2011 h. 19

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