martedì 22 febbraio 2011

Peppe Giudice: Anticapitalismo e socialismo

Anticapitalismo e socialismo.
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno martedì 22 febbraio 2011

“Il socialismo è per definizione anticapitalista”. Questa frase non l’ha pronunciata Pietro Nenni o Lelio Basso ma Bettino Craxi in una intervista televisiva per commentare il risultato del Congresso Socialista del 1978 a Torino.

Qualcuno potrà meravigliarsi anche perché magari conosce solo la storia del PSI degli anni 80. Ma negli anni 70 era perfettamente naturale per un iscritto al PSI ed al PCI definirsi anticapitalista senza che questa affermazione venisse demonizzata.

Scrivo queste note stimolato dal compagno Geppino Vetrano il quale giustamente mi disse: “se noi parliamo di superamento del capitalismo, dobbiamo però indicare in positivo il percorso che noi indichiamo per conseguire questo superamento”. Perfettamente logico e serio.

Infatti l’anticapitalismo, senza una teoria positiva del socialismo che indichi attraverso quali percorsi, quali mediazioni politiche ed istituzionali si costruisce un progetto alternativo di società, è una pura declamazione astratta ed identitaria politicamente inoffensiva. Ricordate quando quelli di Rifondazione ripetevano meccanicamente e come slogan la famosa frase di Marx tratta dall’Ideologia Tedesca (e separata dal contesto sia testuale che storico) “il comunismo non è un ideale, un astratto dover essere ma il movimento reale che abolisce l’esistente”. Detta così non significa un cazzo. E Marx che notoriamente era molto irascibile avrebbe preso a calci in culo quei militanti di Rifondazione.

Lo stesso vale per la sinistra no-tav, no-pit stop, no-cock. Per essere più specifici io posso fare una seria battaglia per impedire che si perfori una montagna ricca di amianto (sappiamo i danni che questo arreca), ma altra cosa è fare una battaglia di principio contro l’Alta Velocità. No questa è una cazzata bella e buona che non definisce una sinistra ma solo una inconsapevole posizione reazionaria.

E torniamo al tema base,

Il grande filosofo tedesco Jurgen Habermas, subito dopo la caduta del Muro di Berlino, disse che il socialismo non sarebbe sparito se non fosse contemporaneamente scomparso l’oggetto della sua critica: il capitalismo.

Quindi per definire il nostro anticapitalismo dobbiamo innanzi tutto definire cos’è il capitalismo (opera non facile) e prendere atto delle dure ed inconfutabili lezioni della storia.

Il capitalismo lo possiamo definire come la più avanzata formazione sociale che si fonda sulla divisione ed il dominio di classe.

Marx definisce i vari periodi storici dell’umanità sulla base delle formazioni sociali fondate sui vari modi di produzione. Dopo la dissoluzione delle comunità primitive si sono succeduti il modo di produzione schiavistico, quello asiatico, il feudale ed il capitalistico.

La caratteristica innovativa del capitalismo rispetto ai modi di produzione precedenti è la generalizzazione della forma mercantile di produzione e di scambio (la terra, i mezzi di produzione ed il lavoro diventano tutte merci scambiabili sul mercato) e la separazione tra produttore e mezzi produzione. Quindi generalizzazione della forma mercato ma non invenzione del mercato che preesiste e di molto all’avvento del capitalismo. Del resto lo stesso Marx nel Capitale compie una netta distinzione tra produzione mercantile semplice (quella artigianale pre-industriale) e quella capitalistica.

Quindi capitalismo ed economia di mercato non sono sinonimi come si è voluto far credere dopo l’89. Diciamo che il capitalismo è una forma specifica di economia di mercato.

L’altra caratteristica peculiare del capitalismo che è stata individuata soprattutto dai neo-marxisti libertari del gruppo francese “Socialisme ou Barbarie” (che hanno molto ampliato ed allargato il campo di indagine di Marx) è che il capitalismo è la prima formazione sociale che pone il mercato e l’istanza economicista al centro della società. Castoriadis (che fu il capo di questo gruppo di matrice luxemburghiana) partendo dalla analisi del Marx dei Grundrisse sulla non neutralità della tecnologia nella organizzazione del lavoro (questo né Lenin né Kautsky lo compresero) la estende a tutta la società. Il capitalismo ha delle caratteristiche funzionaliste: deve rendere tutta la società coerente con il suo progetto di razionalità economica. Da questo punto di vista ha bisogno di un tipo antropologico confacente. Secondo Castoriadis Marx trascura un elemento centrale essenziale nella costruzione di una formazione sociale ed economica; quello dell’immaginario sociale che Marx riduce a fatto sovrastrutturale mentre esso è connaturato strettamente al modo di produzione. Il capitalismo non potrebbe sopravvivere senza la “giustificazione” della sua esistenza e del fatto che esso esprima una razionalità superiore fondata sul postulato della produzione per la produzione e lo sviluppo illimitato delle forze produttive. Castoriadis dice che la razionalità economica capitalistica è in realtà irrazionale proprio perché parziale ed unilaterale. In quanto espelle dal proprio orizzonte e tende anzi a colonizzare la razionalità autonoma del vivere sociale.

Il socialismo di fatto nasce proprio per combattere la razionalità unilaterale del capitalismo e rivendicare l’autodeterminazione democratica della società liberata da forme organiche di dominio di classe. Da questo punto di vista la lotta di classe non è un riflesso della dialettica tra forze produttive e rapporti di produzione ma ha un suo carattere politico di auto emancipazione della classe lavoratrice dall’essere un puro e semplice strumento della produzione.

Per tale ragione il socialismo è anticapitalista per definizione. Perché esso è un processo che auspica un ordine sociale liberato dalla centralità dell’economia e del profitto .

Ed è chiaramente una lotta di lungo-lunghissimo periodo che segue tutto il percorso della evoluzione stessa del capitalismo.

Del resto se non avessero operato forze anticapitalistiche nella società il capitalismo stesso si sarebbe autodistrutto, perché il mercato capitalistico lasciato alla propria logica pura sviluppa tendenze autodistruttive (proprio per la sua razionalità unilaterale).

Quindi quando si parla di superamento del capitalismo si intende un processo di portata storica che non può essere risolto certo con decreto.

La crisi attuale del capitalismo degli ultimi 25 anni non è probabilmente la crisi finale del sistema. Ma è una crisi estremamente seria. Con il capitalismo si possono fare compromessi (in Europa nel dopoguerra si è prodotto il modello sociale più avanzato) ma esso li rovescia non appena si modificano i rapporti di forza. I compromessi sono sempre dinamici e conflittuali: questo bisogna saperlo.

E soprattutto la deve ricordare una sinistra come quella italiana che è stata forse la più colpita dal profondo cambio di immaginario imposto dall’egemonia del capitalismo liberista. Per cui il capitalismo diveniva la fine della storia, un orizzonte invalicabile, lo stadio supremo della civiltà umana. La sinistra priva di una capacità di trascendere anche idealmente tale orizzonte ha accolto o con rassegnazione o con entusiasmo addirittura la modernizzazione capitalistico-liberista senza accorgersi delle gravissime contraddizioni (risultate poi fatali per lo stesso sistema) che esso produceva.

E soprattutto ha abbandonato la cosa più importante che Marx ci ha lasciato: il suo metodo (la sua filosofia della storia si è molto ingiallita). La capacita di confrontare idee e progetti con la dinamica reale dei processi sociali ed economici.

Per cui sono venute fuori le assurde marmellate liberal-socialiste alla Martelli (o alla Covatta di oggi) che vogliono realizzare con il bilancino l’optimum tra liberalismo e socialismo, categorie astoriche e confinate nell’iperuranio: tutte grosse cazzate.

Poi è venuto anche di peggio con Veltroni.

Ma noi dobbiamo indicare a grandi linee comunque le strade che caratterizzano la nostra critica al capitalismo ed il nostro progetto in positivo di alternativa sociale.

Dicevo che la crisi attuale è forse la più grave (non l’ultima). Il capitalismo (il socialismo reale è stato una sua cattiva imitazione) si fonda sullo sviluppo illimitato delle forze produttive e sulla produzione per la produzione e quindi svincolata dai bisogni reali della società. Il che presuppone che le risorse fisiche siano inesauribili. Ma così non è per l’evidenza che il mondo fisico è limitato.

In secondo luogo: la crescita economica fino agli anni 70 si traduceva in una crescita corrispondente di benessere sociale. Negli ultimi venticinque anni invece le diseguaglianze sono salite in modo esponenziale, il divario tra un consumo privato insensato ed ipertrofico e la povertà dei beni pubblici e collettivi è divenuto drammatico. Ci sono limiti sociali ed ecologici allo sviluppo capitalistico evidenti.

Quando Rosa Luxemburg parlava di “socialismo o barbarie” si riferiva al dato che dalla crisi del capitalismo si poteva uscire o con un ordine sociale più giusto, razionale ed avanzato, il socialismo, o con un regressione ed imbarbarimento dei rapporti sociali.

Questo rischio oggi è reale.

Quindi il socialismo del XXI secolo non potrà non trascendere l’orizzonte del capitalismo sia pur nel lungo periodo.

Ma questo che significa. Aboliamo il mercato o la proprietà privata in tutte le sue forme? Non è certo questo l’obbiettivo.

Il diritto di proprietà già oggi è sottoposto a trasformazioni e la rivoluzione informatica ne produrrà altre (pensiamo ad esempio allo scambio gratuito dei file tramite il “peer to peer”). Il mercato non va affatto abolito: non va più considerato il centro della società ma uno strumento al servizio di essa.

IL socialismo che noi vogliamo è tendenzialmente autogestionario. Pur riconoscendo la importanza dell’intervento pubblico diretto (soprattutto dopo la sbornia delle privatizzazioni “prodiane”) nel settore dei beni collettivi e dei settori strategici (proprietà collettiva con forme autonome di gestione aperte al controllo dei lavoratori e degli utenti) e l’esistenza di un settore privato (ma con forme di codeterminazione innovative), è nel campo della economia autogestita e cooperativa che dovrà svilupparsi il nuovo socialismo. La rivoluzione informatica permette oggi di ampliare molto lo spazio sociale-autogestito non riconducibile né allo stato né al mercato capitalistico. Fino a configurare lo sviluppo di un “terzo sistema” parallelo a stato e mercato (Giorgio Ruffolo).

Per evitare i rischi della degenerazione burocratica del socialismo è questa la strada maestra.

Le nostre società hanno bisogno di ricostruire una solidarietà concreta e vissuta. Questa economia sociale può essere il tessuto connettivo, come dice il compagno Geppino Vetrano, in cui può inverarsi questa solidarietà.



PEPPE GIUDICE



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9 commenti:

giovanni ha detto...

Apprezzo molto e condivido questo tuo contributo, caro Giudice, e condivido la critica al documento Teodori-Covatta, vacuo e sospeso in una surreale atmosfera sovrastrutturale, senza il benché minimo riferimento ai problemi reali del nostro tempo. So bene che il socialismo moderno non è soltanto figlio di Marx e di Prudhon, ma anche di Stuart Mill e di Beveridge e in Italia questi entrambi fondamentali contributi sono stati raccolti da Turati e da Rosselli e ricordo anche che Carandini e Villabruna da noi, Genscher in Germania e Steel in Gran Bretagna sono stati solleciti alla questione sociale, ma in seguito il movimento liberale in Italia ed in tutta Europa ha preso una deriva conservatrice quando non reazionaria e non è più possibile alcun dialogo; eventualmente compromessi, come si sono fatti e si potranno ancora fare con gli altri partiti conservatori, ma nella distinzione di valori e prospettive. La sintesi fra i contributi di diversa provenienza è stata compiuta dai partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti europei e queste sono le sigle che descrivono gli orizzonti del socialismo contemporaneo in Europa. Ogni ulteriore richiamo al liberalismo, al quale si mostrano del tutto disinteressati i socialisti francesi, i socialdemocratici tedeschi ed i laburisti inglesi, solo per fare degli esempi (i citati partiti sono in contrapposizione sistematica con i rispettivi partiti liberali, che costituiscono in genere la destra dei relativi schieramenti conservatori), risulta fuorviante e generatore di confusione.

Ma oltre e forse più dei principi proclamati, descrivono la posizione socialista le proposte ed iniziative relative ai problemi che emergono con drammaticità dall’evoluzione sociale. Non si combattono la precarietà del lavoro e la disoccupazione senza una globalizzazione regolata, si debbono porre limiti alle delocalizzazioni in ambito europeo, occorre combattere le cosiddette liberalizzazioni che in altro non consistono se non nell’eliminazione di limiti e controlli essenziali per la tutela del territorio e dell’ambiente, mentre vincoli sempre più capziosi vengono posti all’esercizio dei diritti individuali, con un diluvio di ordinanze regionali e comunali, soprattutto nelle zone a forte influenza leghista. Di siffatte esigenze è emersa l’inderogabilità nei maggiori partiti socialisti europei, mentre da noi ci si bamboleggia ancora con le logiche lib/lab e con nostalgie di momenti non felici della tradizione socialista nostrana. Fatica a farsi strada la coscienza che l’aggressività del capitalismo lasciato senza redini, anche per responsabilità dello stesso movimento socialista europeo, ha determinato lo spostamento nelle mani di pochi di grandi ricchezze, con l’impoverimento non solo della stragrande maggioranza dei lavoratori dipendenti, ma anche di vasti settori del mondo del lavoro autonomo, dell’artigianato e delle stesse libere professioni. E’ in formazione un nuovo blocco sociale maggioritario, che potrà acquisire consapevolezza di sé soltanto se da SEL al PSI e dai settori più legati a valori di sinistra del PD si offrirà un interlocutore politico in grado, per la consistenza e per la determinazione nel tutelarne gli interessi, di offrirsi come espressione politica. Sogno di un vecchio in un mese d’inverno o prospettive di un futuro migliore? Cari saluti. Giovanni Baccalini

sergio ha detto...

Discorsi condivisibili e sostanzialmente positivi; resta da studiare e verificare quale possa essere il "sostituto" del "blocco sociale" di storica memoria per acquisire la maggioranza dei consensi nell'elettorato. Vanno individuati i "ceti sociali" di "riferimento" per costituire tale "blocco sociale"; infine occorre mettere a fuoco un progetto di governo (di società?) che riesca a fare sintesi di interessi vari e, a volte, contradditori.

Ho messo tra virgolette alcuni termini perché mi paiono obsoleti eppure in un qualche modo attuali forse sostituibili da un linguista sociologo.

Francamente non vedo "filosofi" in grado di illuminarci in questa traversata nel deserto che è la risposta alla "modernità" della globalizzazione.

Sergio Tremolada

peppe ha detto...

diciamo che il blocco oggi lo si costruisce sul progetto politico di trasformazione sociale delineato e che comunque riguarda tempi non brevi. Il guaio che in questi anni la sinistra ha abbandonato ogni idea di trasformazione soggiacendo alla contemplazione dell'esistente.

giovanni ha detto...

A me pare di essere stato abbastanza dettagliato nell’indicare i ceti sociali obiettivamente interessati ad allearsi fra loro. Detto in altre parole, reputo che dopo decenni si sono create le condizioni per un…,vogliamo chiamarlo insieme sociale o una coalizione di interessi, accordo fra ceti popolari e parte rilevante dei ceti medi. Naturalmente un evento epocale di tal genere non è prevedibile che si verifichi spontaneamente, ma esige che vi siano forze politiche che se ne facciano carico. Trovo che il documento Teodori -Covatta lasci il tempo che trova e conferma l’inattitudine del PSI odierno a rappresentare istanze e attese di vasti ceti sociali, mentre sono sempre più convinto che dobbiamo trarre insegnamento dalle più recenti prese di posizioni dei maggiori partiti socialisti europei, i quali anche più del PSE hanno mostrato di percepire il nuovo che avanza nella società, traendone altresì beneficio. Quanto poi al profeta che ci possa illuminarci durante la traversata del deserto, non mi pare che sia alle viste. Ciò su cui mi permetto di insistere è che bisogna che ci si sforrzi di capire quel che accade nel profondo della società, perché giudico poco proficuo soffermare l’attenzione su distinzioni ideologiche astratte. Ad esempio, pur essendo sempre stato un riformista gradualista mai sfiorato da suggestioni rivoluzionarie od estremiste, credo che sia giusto che i lavoratori oppongano ogni resistenza alle pretese sempre più aberranti del capitalismo aggressivo dei nostri tempi. Per questo ho apprezzato la lotta della FIOM nel caso FIAT e non l’arrendevolezza degli altri sindacati. Forse ci potrebbe essere utile a chiarirci qualche idea, organizzare un bel convegno sul Rapporto sulla situazione sociale nel 2010 del CENSIS. Cari saluti. Giovanni Baccalini

claudio ha detto...

Noi per ora abbiamo un compito immediato e relativamente semplice: martellare D'Alema e Veltroni, gli eredi degli scissionisti di Livorno, che, essendo sparito il comunismo vogliono far sparire anche l'odiata socialdemocrazia, e vanno in giro a dire che la globalizzazione rende superate le ricette socialdemocratiche, e il nostro compito è dettare le regole per gestire il liberismo.
Forse D'Alema pensa ai suoi successi in bicamerale...
Per fortuna non siamo soli, i socialdemocratici tedeschi e quelli nordici sono ben convinti che il nostro compito è estendere gli istituti del welfare ai paesi che si stanno sviluppando, e le loro fondazioni stanno operando in questo senso.
Se non mettiamo un punto a questa deriva tra un po' sentiremo Veltroni l'amerikano, con i suoi assessori degli enti locali, che propongono di cedere l'INPS, le ASL e le municipalizzate alla finanza di Wall Street. E' tanto trendy, oh yes...

lanfranco ha detto...

il testo di giudice pone questioni di grande rilevanza teorica inoltrandosi nelle diverse letture di marx che sono ancora al centro di grandi discussioni attuali.dubiterei di una lettura o di una opzione che veda il socialismo nella direzione di liberare la società dal dominio dell'economia,perchè penso che il problema è quello di cambiare l'economia e riportarla,o meglio portarla,dalla irrazionalità del mercato e della logica del profitto sotto il governo della razionalità di scelte decise nell'interesse generale.Secondo me la principale linea interpretativa ancora valida è quella della contraddizione fra le forze produttive e i rapporti di produzione,da cui nascono le crisi come quella che stiamo ora vivendo.Parlando di scelte nell'interesse generale ,le intendo sia nel senso della-chiamiamola-giustizia sociale,sia nel senso dello sviluppo equilibrato del mondo globale,sia nel senso di un uso intelligente delle risorse naturali.il problema difficilissimo è quello di come cambiare i meccanismi attuali di sviluppo per renderli funzionali a quelle scelte dopo la grande tragedia politica e economica del socialismo reale.Occorrono regolazione internazionale,leve economiche pubbliche incisive,uso programmato dei meccanismi di mercato e della molla del profitto senza farsene prendere la mano,allargamento anche delle aree di autogestione e di democrazia aziendale(che non sono però il toccasana delle crisi che hanno la loro origine nei megameccanismi a monte).Poi occorre fare leva sul blocco degli interessi e delle forze sociali interessate a questo cambiamento(in questo senso la lotta di classe non è morta,solo che in questa fase la pratica soprattutto il capitale),a cominciare dal lavoro subalterno per arrivare alle partite iva e alle altre figure indicate dall'intervento di baccalini.E,last but not least,la politica,i partiti capaci di alimentare questa visione e di organizzare il campo delle forze che la possono portare avanti.Partiti che oggi non potremmo ,almeno per la tradizione europea,che chiamare socialisti,senza nulla concedere all'uso proprietario e opportunistico di questo termine.Con ciò mi riferisco a quanto già scritto nel saggio introduttivo di giudice anche sulle recenti vicende del socialismo europeo,per non dire dei nostri liberisti di cui parla bellavita.

felice ha detto...

Questa mailing hai il merito di sollevare problemi di grande spessore, cui, però, non si possono dare risposte esaustive nello scambio epistolare. Per esempio è l'irrazionalità che distingue il mercato? No, il mercato da risposte razionali nella sua logica che è quella del profitto, semmai sono le conseguenze di questa logica a creare contradizioni, ma rispetto ad altri valori. Le scelte che rispondono all'interesse generale pongono ugualmente dei problemi su chi ha il potere di stabilire quale sia l'interesse generale, ma soprattutto con quali strumenti si impone questa razionalità: con i piani quinquennali vincolanti? Le scete fatte da un ORGANISMO PUBBLICO CHE DECIDA IN BASE A CLIENTELISMO, CORRUZIONE O SEMPLICEMENTE INTERESSE DEI DECISORI produce decisioni altrettanto "irrazionali" del mercato. Il problema del mercato è poi distinto da quello della proprietà pubblica o privata. Il tragico è che non ci siano luoghi di pubblico dibattito dove di queste cose si discuta.

lanfranco ha detto...

felice una piccola osservazione:quando scoppia una crisi non dà risulati negativi solo rispetto ad altri valori,non manifesta contraddizioni solo rispetto ad altri valori,ma anche intermini di produzione di ricchezza e di profitti.questo è secondo me il nocciolo fondamentale della irrazionalità del sistema capitalisticoe della contraddizione sostenuta da marx fra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione.Di ciò è anche parte fondamentale l'aumento delle diseguaglianze e lo sfruttamento,cmq si voglia interpretare questa parola.D'accordo senz'altro cmq che mercato e proprietà pubblica o privata sono cose distinte,così come sulla difficoltà di un decisore nel nome dell'interesse generale che non sia a sua volta catturato da altri interessi (contro cui dovrebbe essere argine la crescita della democrazia e della partecipazione)e che sappia sviluppare al meglio le forze produttive.Il fatto che si sia fallito una volta non toglie che il capitalismo a queste domande non risponde e dunque si deve continuare a ricercare e a tentare.

peppe ha detto...

diciamo che il tema centrale del socialismo non è tanto liberare la società dall'economia quanto far sì che l'economia sia al servizio della società e non sia fine a se stessa (in questo consiste poi la logica del capitalsimo - la produzione per la produzione e non per i bisogni. E che questo è quello che poi auspicava Marx quanto parla della libertà come emancipazione dalla necessità (una posizione che lo avvicina a Kant e lo allontana da Hegel). E naturalmente per fare questo occorre trasformare profondamente l'economia affinchè si realizzi quanto sopra auspicato. Non c'è dubbio che nella attuale fase di crisi sistemica si aprono concretamente degli scenari alternativi a quelli del modello sociale ed economico liberista dominante - "il cambio di paradigma" di cui parlano molti economisti socialisti e progressisti.