UNA VIA INTESTATA A CRAXI
Ho ascoltato l'intervista alla
signora Letizia Moratti a proposito del ricordo toponomastico di Bettino
Craxi e vorrei ricordare una frase di Indro Montanelli: «Un Paese che non ha
il rispetto della storia, che è poi la coscienza e l'orgoglio della propria
identità, non sarà mai né una nazione né uno Stato». Non si può glorificare
uno «statista birichino». Vorrei tuttavia ricordare che non ci sarebbe
niente di nuovo in quanto la toponomastica delle vie e piazze italiane è
doviziosa di nomi di condottieri corrotti e sanguinari, di regnanti scialbi
e compromessi, di politici bassi di profilo e ispiratori di tante malefatte,
di orrendi e feroci dittatori dell'Est e anche dell'Ovest, e di capi raís
del «patriottico» movimento partigiano antifascista che si macchiarono di
cruenti crimini. Qual è il suo pensiero sulla vicenda?
Gaetano Ciocci,
Caro Ciocci,
Bettino Craxi ebbe un ambizioso disegno politico.
Voleva fare del Psi un partito social-democratico europeo. Voleva che i
socialisti si sbarazzassero del loro passato massimalista e diventassero
protagonisti della modernizzazione nazionale. Voleva rinnovare il sistema
politico italiano e rompere l'oligopolio che si era costituito fra la Dc e
il Pci. Voleva che l'Italia fosse europeista, ma anche orgogliosa della sua
tradizione risorgimentale.
Credeva nell'utilità dell'Alleanza atlantica, ma rivendicava all'Italia il
diritto di fare una politica estera corrispondente ai suoi interessi, alle
sue ambizioni e alla sua geografia.
Riconosceva i diritti dello Stato d'Israele, ma aveva capito che la
stabilità del Medio Oriente dipendeva dal riconoscimento delle aspirazioni
palestinesi.
Per ragioni di convenienza politica, ma anche per motivi ideali, non fece
mancare il sostegno dell'Italia ai dissidenti sovietici, a quelli dei Paesi
satelliti e ai militanti dei movimenti democratici dell'America Latina. Ed
ebbe infine il merito d'introdurre nella vita politica uno stile nuovo, meno
ovattato, tortuoso e allusivo di quello a cui ci avevano abituati la
Democrazia cristiana e il Partito comunista italiano. Se l'Italia non
riconoscesse questi meriti e non li discutesse liberamente, censurerebbe una
parte della propria storia.
Ma Craxi fu anche altre cose.
Il discorso alla Camera con cui riconobbe il finanziamento illecito dei
partiti fu coraggioso e mise in evidenza un piaga diffusa della politica
italiana.
Ma fu anche, implicitamente, una confessione. Alcuni procuratori milanesi
trasformarono le loro indagini in una macchina dell'inquisizione e
ricorsero, per ottenere le prove di cui avevano bisogno, a mezzi che
sfioravano pericolosamente la violazione dei diritti civili. I comunisti,
che assistevano plaudenti, avevano vissuto sino a poco prima di
finanziamenti sovietici. Ma le responsabilità politiche di Craxi sono
considerevoli. Il modernizzatore fu anche, paradossalmente, il regista di un
sistema che violava il principio del merito nelle gare d'appalto, premiava
le industrie più spregiudicate, creava clientele politiche ed economiche,
favoriva arricchimenti illeciti e recava danni considerevoli, in ultima
analisi, al bilancio dello Stato.
Non è tutto. Se fosse rimasto in Italia e si fosse difeso di fronte ai
giudici, avrebbe depositato agli atti la sua verità e garantito a se stesso,
probabilmente, un tempo supplementare.
Preferì andare in Tunisia e dare partita vinta ai suoi accusatori.
L'attribuzione del suo nome a una via non mi sembra, in queste circostanze,
una riparazione, ma un regolamento di conti. Non serve a ricollocare Craxi
nella storia d'Italia, un processo che è in corso ormai da qualche tempo.
Serve a ritorcere accuse, mettere in discussione l'operato della
magistratura, dare qualche soddisfazione a chi non ha ancora digerito il
naufragio del Partito socialista. E finisce per dire al Paese che la
corruzione, quando è al servizio della politica, è giustificabile. Sono
cose, queste, di cui l'Italia non ha bisogno.
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