-Un notabile che corrompe, che intrallazza, che ruba…Lei a chi penserebbe?
-Nel paese?
-Forse nel paese, forse nella zona, forse nella provincia.
-Lei mi pone un problema difficile-disse il parroco di S.Anna- Perché se ci limitiamo al paese, anche i bambini che devono ancora nascere possono rispondere alla domanda…Ma se ci allarghiamo alla zona, alla provincia, viene la confusione, la vertigine…
(Leonardo Sciascia, A ciascuno il suo)
E’ sempre stato uno strano socialismo, quello italiano. Un socialismo che ha annoverato, tra i suoi esponenti, gente come Matteotti e Mussolini , Riccardo Lombardi e i tangentari di Mani Pulite non si può definire, infatti, meno che “strano”. Strano perché ha coltivato nel suo seno, cercandovi una impossibile convivenza, una felice sintesi che nessuno sarebbe mai riuscito a trovare, le derive autoritarie e le vocazioni democratiche, le tentazioni della bassa politica e gli alti ideali di laicità, libertà e giustizia sociale.
Si è sempre mossa dentro questi traballanti binari la storia del movimento socialista italiano e i tempi nuovi (nuovi?) della seconda repubblica ne hanno accentuato, se non addirittura codificato, il carattere ibrido di partito aperto a molte, troppe variabili.
E così capita che davanti alle (giuste, a parere di chi scrive) obiezioni alla celebrazione del decennale della morte di Craxi, si alzino indignate, all’unisono, le voci dei socialisti di destra e di sinistra, dei Cicchitto e dei Nencini
Già il fatto che ci siano socialisti che continuino a ritenersi tali e che, pur tuttavia, rappresentano una colonna portante della coalizione di centro-destra e del governo di Silvio Berlusconi, dovrebbe essere una contraddizione in termini che solo in Italia non si ritiene necessario far adeguatamente risaltare, tanto da averla fatta ormai diventare un’anomalia tranquillamente accettata da tutti, sodali, avversari e opinione pubblica. Anzi, un’anomalia che, nell’immaginario collettivo, non è più tale, perchè considerata quasi il tratto distintivo di tutto il socialismo nostrano.
E’ forse questo il danno maggiore che il craxismo ha fatto alla storia e alla dignità del socialismo italiano e sol per questo- diciamo così- “danno d’immagine” la memoria di Bettino Craxi non merita, al di là dell’umana pietà, alcuna riabilitazione postuma.
A deporre negativamente c’è poi tant’altro, lo sappiamo bene così come bene lo sanno anche gli epigoni del leader milanese: c’è il partito delle feste in discoteca, dei congressi pacchiani e faraonici, delle rielezioni “bulgare” del Capo, della repressione squadristica di quel po’ di dissenso interno che tentava di sopravvivere dentro le sezioni, dell’occupazione predatoria di tutti gli spazi della pubblica amministrazione, degli arricchimenti facili (“il convento è povero, ma i frati sono ricchi”) e di una gestione del potere declinata secondo i canoni del peggior malaffare democristiano (ma con una voracità e una mancanza di stile sconosciute persino ai notabili della Balena Bianca).
Tutto questo era già noto ben prima di Tangentopoli , eppure pare che i socialisti di Craxi si siano trasformati nel lupo cattivo solo a cavallo tra gli anni ottanta e i novanta.
Come se prima fossero la confraternita del Sacro Cuore, dediti soltanto alle opere pie.
Invece gli appetiti smodati del craxismo si rivelarono quasi subito, come quasi subito si vide che la nomenclatura di boiardi salita al potere con lui proveniva o dal nulla o da aree ideologiche del tutto estranee alla tradizione della casa socialista.
Ma gli estimatori, interessati o meno, dell’esule (rectius: latitante) di Hammamet su tutto questo preferiscono sempre glissare elegantemente. Si soffermano, invece, sulle capacità profetiche di Craxi di prevedere e disegnare per l’Italia quel programma di riforme istituzionali che dopo di lui è diventato il leit-motiv di tutta la politica italiana, di destra e di sinistra, con la Carta fondamentale tirata per la giacchetta da entrambe le parti in contesa, ciascuna con la ricetta magica per renderla più avvenente, più giovanile, più appetibile. Una corsa alla chirurgia estetica a cui chi conosce bene la qualità e l’attualità della nostra Costituzione non ha mai sentito il bisogno di partecipare, salvo per quei pochi ritocchi (come quello che dovrebbe decretare la fine del bicameralismo perfetto) ritenuti oramai indispensabili anche da una nutrita percentuale di cittadini del tutto digiuna di nozioni di diritto costituzionale.
In questo delirio “riformista”, i fautori del ricorso al bisturi dell’art. 138 , malgrado la diversità di vedute sulla portata e sui contenuti delle “riforme”, su una cosa hanno sempre concordato, ossia nel considerare Bettino Craxi padre fondatore di questa moderna scienza pubblicistica che finora ci ha regalato perle di sovrumana eccellenza come la sciagurata “riforma” (il virgolettato è qui d’obbligo più che altrove) del titolo V della Costituzione, vaso di Pandora scoperchiato il quale attualmente il problema della corruzione, degli sprechi e dei costi della politica è diventato, da problema per pochi intimi appartenenti ai vertici della piramide istituzionale, il problema del consiglio comunale di Roccacannuccia.
Tra l'altro i “riformisti” dell’uno e dell’altro schieramento dimenticano sempre di precisare, quando innalzano odi a Craxi e al suo riformismo, che quello craxiano alla fine ballò una sola estate, ossia nel congresso di Palermo del 1981, dove un Craxi ancora ispirato da Lombardi (col quale, in seguito, le distanze divennero ovviamente siderali, così come con Pertini, che sempre lo detestò cordialmente) presentò un piano di ammodernamento dell’Italia che raccolse il plauso persino di un comunista trinariciuto come l’esimio prof. Asor Rosa (La repubblica immaginaria)
E dopo? Dopo fu solo un vuoto blaterare di riforme che, per il loro potenziale impatto eversivo (e non innovativo) sul tessuto connettivo istituzionale, fanno singolarmente il paio con le “riforme” minacciate da tempo dal signore di Arcore e dai suoi scherani: asservimento della magistratura all’esecutivo, presidenzialismo e leaderismo spinti, impunità della politica e dei suoi esponenti, Parlamento ridotto a mero notaio di decisioni altrui e via di seguito. Se è comprensibile,dunque, che Silvio Berlusconi guardi a Craxi come al nume tutelare del suo concetto ad personam dello Stato, meno comprensibile è che anche una parte importante della sinistra (ogni riferimento a Massimo D’Alema è puramente casuale) sia oggi schierata sul fronte degli orfani di Bettino.
Questo, lo ribadiamo, a tacer di tutto il resto, dei nani come delle ballerine, degli assessori con le mazzette in tasca come della messe plebiscitaria di voti raccolta nei quartieri di Palermo a più alta densità mafiosa, delle arroganze e delle protervie bettiniane come di quelle dell’ultimo dei suoi armigeri, virgulto di una razza padrona che nel decennio 1980-1990 pretese di fare e disfare il bello e il cattivo tempo in ogni settore della vita pubblica nazionale, dal Parlamento al consiglio d’amministrazione del più inutile ente parastatale.
E’ tutto questo che dovremmo celebrare? O dovremmo celebrare il Craxi “socialista” che, per essere coerente con le sue idee, taglia la scala mobile ai lavoratori dipendenti, rovesciando sulla parte debole del Paese i costi di un assalto continuo alle casse dello Stato a cui si potè mettere un freno soltanto nel 1993?
A nessuno, infine, viene in mente che, anche a voler concordare sulla statura politica di Craxi e sulle sue visioni di lungo periodo, nessun riformismo avrebbe potuto davvero attecchire e cambiare in meglio l’andazzo bizantino dell’Italia senza quelle robuste fondamenta etiche che l’esule (rectius:latitante) di Hammamet non solo non ha mai sentito il bisogno di invocare ma di cui, in più di una occasione, si è fatto pubblicamente beffe, irridendo e dileggiando coloro i quali, al contrario, le ritenevano conditio sine qua non per aspirare a migliorare le cose e le persone di questo sconcertante e smemorato Paese.
f.to un socialista
DA HTTP://ILROMPISCATOLE.ILCANNOCCHIALE.IT
F.TO UN SOCIALISTA
2 commenti:
Siamo sempre ai puri più puri.
Questo signore ha letto poco di Scascia e limita al capro espiatorio tutto il male del mondo. Speriamo nella redenzione che elimini il peccato originale.
Per intanto io di Sciascia inviterei a leggere il "Candido".
Certo che fa comodo a tutti parlar male di Craxi: si sta così bene senza socialisti. E soprattutto: non ruba ne commette sopprusi più nessuno.
Complimenti.
Francesco nessuna faziosità' solo verità' i governi craxi e quelli precedenti - di centro sinistra con forte influenza del nostro- hanno portato a quei risultati sul debito. Dati oggettivi nessuna forzatura. Serve solo per fare chiarezza e smetterla con questa voglia di forzare la realtà' evitando di dare a Craxi meriti che non ha e riconoscerli anche altre responsabilità' che ha. Solo le sue non tutte quelle del mondo. Occhio che proprio uno dei grandi difetti di quel periodo era accusare chi non la pensava come i capi di tutto - compreso di essere faziosi- senza associare alle accuse elementi probatori e mettendo in bocca agli accusati frasi e concetti non loro. Per chiarire non ho letto alcun post che attribuisce al solo craxi la responsabilità', ho letto affermazioni che riportano al periodo craxismo - primo ministro e influenza- responsabilità' sulla sua esplosione. Sono dati oggettivi tutto qui.
Posta un commento