sabato 3 gennaio 2009

Vittorio Melandri: divagazione sul quarto potere

In una mia precedente avevo già citato un passo della lettera “del Cdr agli azionisti del «Corriere della Sera»”, apparsa il 31 gennaio 2008; oggi ve la propongo di seguito per intero, in coda a questa mia “divagazione”, “divagazione” che è suggerita dalla lettura dell’inserto che al sabato accompagna la Repubblica, con il titolo “Almanacco dei libri”.



Nel servizio di apertura di Antonio Monda si parla del “nuovo” romanzo di Margaret Atwood, a cui è dedicata una intervista che occupa tutta la prima pagina dell’inserto. Questo ne è l’incipit:



“Il nuovo romanzo di Margaret Atwood, intitolato L’altra Grace prende spunto da un fatto di cronaca nera avvenuto in Canada nel 1843. (….) Il romanzo, uscito in Italia per Ponte alle Grazie con traduzione di Margherita Giacobino, è ambientato sedici anni dopo gli eventi, (…..)Sin dall´incipit, nel quale è descritta la struggente brevità della vita delle peonie, risulta evidente che la Atwood considera Grace una vittima, se non addirittura un´eroina, e che utilizza questa causa celebre per analizzare i contrasti sociali, culturali e sessuali di un´epoca che ha molti riferimenti ai nostri tempi.”



Credendo di avere le traveggole, mi sono avvicinato alla mia libreria, ho preso in mano il volume di Margaret Atwood “L’altra Grace”, Baldini&Castoldi editore, e apertolo sino alla pagina del titolo ho letto, “Traduzione dall’americano di Margherita Giacobino – Fotocomposizione: Datacompos – Varese Titolo originale: «Alias Grace» © 1996 by O.W. Toad, Ltd. © 1997 Baldini&Castaldi s.r.l. Milano ISBN 88-8089-270-3”



Rispetto al nostro dialogare, questa come ho titolato, è una “divagazione”, e mi rendo conto che rimanendo al merito della “divagazione” stessa, si può trovare ben altro per continuare a divagare, ma credo che, se non prestiamo attenzione alla deriva che va prendendo nel nostro paese “il quarto potere”, anche alla luce delle trasformazioni tecnologiche che devono ancora riverberare gran parte dei loro effetti, forse anche le nostre più illuminate analisi, e le nostre più capaci azioni, saranno destinate ad una ben misera fine.



Io provo a dirlo.



vittorio m.



Lettera del Cdr agli azionisti del «Corriere della Sera»

Il CdR del Corriere
Paola Pica, Elisabetta Soglio, Claudio Colombo, Pietro Lanzara
31 dicembre 2008

Come azionisti del patto di sindacato, che controlla il 63,5 per cento di Rcs MediaGroup, avete deliberato in Consiglio di amministrazione, il 16 dicembre, di dismettere il piano industriale triennale che avevate approvato nel 2007 e di rinviarne alla seconda metà del 2009 la revisione o «rimodulazione». Lo avete deciso nella convinzione che il piano sia ormai superato, a causa della grave crisi economica internazionale, e nella speranza che il quadro del mercato sia più stabile e rassicurante nel medio periodo.

Tuttavia, la crisi dell’Azienda non è dovuta soltanto all’erompere, negli ultimi mesi, di una congiuntura sfavorevole e di una recessione sferzante, che hanno fatto cadere verticalmente la raccolta pubblicitaria. L’azzardo di acquisizioni rivelatesi per il momento disastrose, come quelle effettuate in Spagna proprio alla vigilia del crollo del mercato dei quotidiani (meno 42 per cento in nove mesi), ha già portato l'indebitamento del gruppo a sfiorare il valore dell'intero patrimonio. La Rcs sconta ogni giorno l'inadeguatezza di un azionariato che non ha saputo disegnare una prospettiva affidabile per il futuro e che non ha avuto il coraggio di guardare avanti pianificando un «new deal» editoriale basato su investimenti, anche e soprattutto quelli tecnologici, adeguati ai tempi nuovi. Adesso annunciate l'intenzione di «puntare su un notevole sviluppo della multimedialità», ma l’Azienda ha latitato per anni e accumulato gravi ritardi.

Forse anche voi, come gli altri editori, attendete che un annunciato, miope contratto nazionale di lavoro azzeri ogni possibilità di trattativa e di programmazione condivisa. Mentre, al contrario, è evidente che nessuna forma di multimedialità potrà essere introdotta nella nostra testata senza passare attraverso il confronto e l’accordo con la Redazione. Avete deciso di sostenere il management in «una forte azione di contenimento ad ogni livello dei costi e di recupero di efficienza». Ci saremmo aspettati una rigorosa e saggia strategia diretta a tagliare gli sprechi di gestione e di amministrazione così come gli sperperi della produzione e della diffusione mirata ad alzare il numero dei lettori, a migliorare il livello di prodotti collaterali scelti e imposti dal marketing in una crescente disaffezione del pubblico, a bloccare i giri di valzer di dirigenti che entrano ed escono giusto in tempo per raccogliere superliquidazioni d'oro. Invece di salvaguardare l’autorevolezza del Corriere, minata tra l'altro dal preoccupante asservimento del giornale al marketing e ad una pubblicità sempre più invasiva degli spazi, della titolazione, degli articoli; invece di rilanciare i ricavi editoriali, erosi dal calo delle copie vendute, il piano di risparmi prospettato da Azienda e Direzione rischia proprio di penalizzare la qualità e la completezza del servizio ai lettori riducendo gli spazi dell'informazione.

I redattori del Corriere della Sera, riuniti in assemblea, hanno comunque confermato la disponibilità a fare la propria parte con un surplus di impegno e con senso di responsabilità, per il bene del giornale, accettando temporaneamente gli interventi che incidono più direttamente sulla loro attività. In quanto azionisti, avete anche auspicato «un contesto di maggiore sensibilità istituzionale per il settore dell'editoria ». Una formula elegante per sollecitare più ampie provvidenze a carico della collettività e nuovi aiuti pubblici, da aggiungere ai fondi dei quali già beneficiate. È vero, fra voi azionisti di Rcs non c'è nessun editore puro, che abbia nei giornali e nei media il proprio «core business ».

Siete banchieri, imprenditori, finanzieri e capitani d'azienda che hanno altrove i propri principali interessi. Non ci meraviglia, perciò, che bussiate al governo e ai partiti per farvi aprire le casse dello Stato, ma ci preoccupa e ci inquieta perché questo non vi renderà più liberi ma semmai più obbedienti. In una fase confusa e delicata, la Redazione continua ad avere chiaro che il Corriere della Sera non è uno strumento nelle mani degli azionisti e vi ricorda ancora una volta che la missione di un giornale è di assicurare un'informazione libera, pluralista e, sempre e ovunque, indipendente.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Ci sta certamente la "divagazione" su "Quarto Potere" ...
però non siamo noi dei circoli Rosselli e Calogero-Capitini a dover
fare da paladini ai Redattori del Corriere. Possiamo al più essere
solidali.
Invece mi pare da sollecitare il coordinamento dei circoli socialisti
di NOI per attrezzarsi a organizzare una pagina di giornale che
potrebbe essere chiamato in ossequio alla nostra tradizione
"liberalsocialisti". Da prima come coordinamento e fino a farla
diventare una cooperativa di giornalisti-pubblicisti-articolisti.
Se pensate che per la fondazione de il Lavoro e dell'Avanti si è
proceduto con contributi volontari di lavoratori e non con le
"palanche" di banchieri e altri affaristi, in tempi ancora più crudi
dei nostri, non si vede perché non si possa fare anche oggi.
Personalmente ho recentemente contribuito al sostegno de
Il Manifesto, lo farei ancora più volentieri per un nostro giornale.
Buon dialogo a tutti.
Luigi Fasce

Anonimo ha detto...

il mistero del Manifesto, che da quando è nato chiede sottoscrizioni, che da
quando è nato è orgogliosamnte e radicalmente antisocialista, anzi,
antirifomista. Che da quando c'è "il riformista" praticamente non lo cita
più nessuno.Non è che, a parte la linea politica, che non ho mai condiviso
neppure negli anni lunghi in cui sono stato abbonato, sia solo molto mal
amministrato?

Anonimo ha detto...

Cari amici rosselliani,
mi sento tirato in ballo dalle vostre divagazioni sul Quarto Potere... e non solo perché gestisco l'omonimo sito sindacale (www.quartopotere.org) che tenta di dare notizie, segnalazioni e informazioni di servizio ai colleghi giornalisti.
Dico subito che sul 'Manifesto' sono d'accordo con Claudio Bellavita e segnalo, peraltro, che da anni i suoi giornalisti sono ANCHE assistiti in vario modo dall'Inpgi (istituto di previdenza dei giornalisti, privatizzato, cioè pagato non con i soldi pubblici ma con i contributi versati dai e per conto dei giornalisti).
Quanto all'incredibile infortunio della 'Repubblica' segnalato da Vittorio Melandri non è certo il primo (né sarà l'ultimo, temo) caso di cattivo giornalismo: in questo specifico si tratta delle pagine culturali ma spesso si leggono, anche su giornali importanti, stupidaggini galattiche sia in economia che negli esteri, per esempio... il problema è che sono sempre più scarsi i controlli, si usa molto internet (dove si trova di tutto, senza controllo) come fonte, insomma la qualità spesso latita nel giornalismo italiano.
Non vado oltre, ed evito di parlare a questo proposito della stampa internazionale perché non sono abbastanza preparato al riguardo: dico solo che il grido d'allarme lanciato dal comitato di redazione dl 'Corriere della Sera' non può e non deve rimanere isolato. Cerco di spiegarmi: non si tratta di dare solidarietà ai colleghi del Corriere (che peraltro non la cercano, sono in sostanza impegnati in un braccio di ferro con la loro azienda per avere un pagamento in più per gli articoli su www.corriere.it e faccio loro i migliori auguri, ma certo i problemi della categoria sono ben altri...) ma di riflettere sul fatto che in Italia, in sostanza, NON CI SONO EDITORI SENZA INTERESSI DIVERSI DALL'EDITORIA.
E in questo senso il gruppo Rizzoli Corriere della Sera è l'emblema perfetto degli azionisti non-editori, ma se guardate verso i gruppi Espresso Repubblica o Fininvest Mediaset Mondadori trovate invece la prevalenza di manager che cercano solo di tagliare i costi per compiacere i loro soci (e quelli di maggioranza hanno un evidente interesse diverso, non solo editoriale...) quindi a mio avviso il problema di fondo, anche nei maggiori gruppi editoriali, è che ALLE AZIENDE INTERESSA BEN POCO LA QUALITA' DEL PRODOTTO GIORNALISTICO e purtroppo noi giornalisti siamo spesso a nostra volta assai poco capaci di difendere il nostro lavoro...
Rifondare testate cartacee come l'Avanti! o il Lavoro nel Terzo Millennio temo sia molto, molto difficile... Magari sarebbe più facile tentare di utilizzare la Rete per creare un nuovo circuito d'informazione e di cultura riformista!!!! Ma forse questo è solo un sogno, ditemi voi: si potrebbe rendere razionale, ed economicamente sostenibile, una simila utopia?
Intanto buon 2009 a tutti, e fraterni saluti
Edmondo Rho