Il PD e l’Emilia Rossa
Ieri 7 gennaio 2009, 0.29.56 | admin
Lanfranco Turci per “Le Ragioni Del Socialismo”
Emanuele Macaluso ,che ha una certa passione per l’archeologia politica,mi ha chiesto di scrivere un articolo su cosa è oggi l’emilia rossa.Ho provato a fare un giro d’orizzonte fra compagni coi quali nel passato mi capitava di discutere di questo tema.Ho visto la sorpresa di chi si sente interpellato su una questione finita ormai nel dimenticatoio, insieme alle parole e ai concetti con cui discuterne.D’altro lato se uno partisse dall’atto fondativo di questo capitolo della storia emiliana,,il celebre discorso di Togliatti a Reggio Emilia del settembre ‘46 su
,potrebbe misurare la distanza abissale di quell’emilia da quella di oggi sotto tutti gli aspetti.Nel ‘46 Togliatti,mentre è già in corso la catena di violenze e omicidi che verrà poi riassunta col termine di triangolo della morte,viene a Reggio e,con un discorso di forte spessore storico e ideologico, mette il cappello del PCI sul riformismo socialista emiliano di fine ottocento e del primo novecento:il riformismo delle leghe,delle camere del lavoro,delle cooperative e dei municipi rossi.Questo riformismo viene ricollocato dentro lo schema della , con una particolare attenzione a garantire ai ceti medi agricoli e urbani un loro uno spazio di crescita in alleanza con la classe operaia,sotto la guida politica e ideale del PCI. Quel discorso è stato per alcuni decenni il testo base per la formazione dei quadri comunisti emiliani,insieme ovviamente al manuale sulla storia del Partito comunista bolscevico! Due testi appaiati che definiscono i binari dentro cui si è sviluppato per tutto un periodo il riformismo dei comunisti emiliani.Poi ,man mano che è venuto dissolvendosi l’inquadramento nell’ortodossia sovietica, si è liberato il potenziale del pragmatismo riformista e amministrativo,stabilmente impiantato su un rapporto particolare coi ceti medi.L’emilia rossa è stata questa:quella degli enti locali e della regione a guida PCI/PSI,poi anche solo PCI,quella dei servizi sociali d’avanguardia ,della pianificazione urbanistica e delle politiche abitative per i ceti popolari,delle aree artigianali a disposizione dei nascenti distretti industriali.E insieme è stata la potente rete delle organizzazioni di massa:i sindacati,le cooperative,le associazioni di categoria degli artigiani,dei commercianti e dei contadini,le associazioni sportive e ricreative.Una rete che ha strutturato tutta quella grande area della società orientata a sinistra e che ha avuto nel PCI il suo centro di riferimento.Naturalmente questa non è mai stata tutta l’Emilia,neppure quella di sinistra.C’è stato Dossetti e il popolarismo cattolico,c’è stato un PSI da un certo momento autonomista,c’è stata la componente repubblicana romagnola.Ma l’egemonia del PCI è stata per lunghi anni indiscussa.E questa stagione ha prodotto, in una regione di antiche tradizioni civiche , frutti eccezionali in termini di benessere diffuso,di qualità della vita,di dinamismo economico e di coesione sociale.Il processo di cambiamento poi di crisi è stato lungo e tutt’altro che lineare.Basterebbe pensare alla frattura del ‘77che dopo anni di esaltazione del modello emiliano fece parlare di vetrina infranta.La ripresa successiva,che pure realizzò significative performance,dovette fare i conti con la lunga crisi del PCI,dal cul de sac della politica di Berlinguer fino alla chiusura del PCI sancita da Occhetto proprio a Bologna.Ma non ci sono stati solo fattori politici alla base di quello che Ramella(Cuore rosso?Donzelli 2005)definisce lo< scongelamento della subcultura rossa>.Nell’analisi dei fattori di cambiamento delle regioni rosse egli annovera la secolarizzazione delle ideologie,la crisi dei partiti di massa,la fine del collateralismo delle organizzazioni degli interessi e naturalmente anche i cambiamenti della struttura produttiva e di classe,la terziarizzazione e la flessibilizzazione del mercato e del lavoro.Aggiungiamo poi il fenomeno sconvolgente della immigrazione che mette in crisi la sicurezza dei ceti popolari, il cui benessere viene minacciato sia dalla microcriminalità,sia dalla perdita di potere d’acquisto legata all’euro e alla crisi economica,sia dalla concorrenza degli immigrati su tutte le aree del welfare locale, che pure continua a fornire prestazioni di ottimo livello.Tutti questi cambiamenti hanno scomposto la base sociale relativamente semplice su cui si era sviluppato il modello emiliano,hanno aperto nuovi conflitti e hanno dato vita a nuovi atteggiamenti sociali e nuovi stili di vita che il PCI,anche dopo la trasformazione della Bolognina ,non è riuscito a interpretare e a intercettare.Un modo per misurare questi cambiamenti è quello di guardare la trasformazione delle organizzazioni di massa ormai totalmente autonomizzate dai partiti,coi quali trattengono di fatto solo rapporti di interesse.Abbiamo così un sindacato invecchiatola cui base è fortemente concentrata nelle medie imprese meccaniche,nella P.A.e fra i pensionati,mentre stenta a rappresentare i precari,gli strati più deboli del mercato del lavoro e gli immigrati.La cooperazione a sua volta non riesce a riproporre l’afflato sociale delle origini in nessuno dei settori dove pure presenta grandi successi imprenditoriali,dal consumo ,ai servizi ,alle costruzioni.E la vicenda Unipol non ha certo giovato alla sua immagine.Le altre organizzazioni,in particolare quelle degli artigiani e dei commercianti,hanno rimosso la ispirazione politica originale e accentuato i tratti di rappresentanza professionale e di servizio.Ma il cambiamento più vistoso è quello in atto nelle amministrazioni locali.I sindaci eletti direttamente,a spese dei consigli comunali e del decentramento, hanno visto accrescere il loro potere in parallelo all’indebolimento dei partiti e all’allentamento di quei legamenti sociali che innervavano in precedenza la società,legamenti che fungevano da supporto ma anche da controllo delle amministrazioni locali.Aumenta così il municipalismo,mentre si affievolisce il ruolo di coordinamento delle province e della regione ,che svolge un ruolo essenzialmente di erogazione di finanziamenti pubblici. Questa autoreferenzialità rende gli amministratori più esposti alle sollecitazioni degli interessi forti del territorio:cooperative e cordate imprenditoriali multicolori.Non a caso, secondo una ricerca dell’Istituto nazionale di urbanistica, l’Emilia risulta la regione che ha consumato più territorio agricolo negli ultimi dieci anni.In questo quadro si spiega perché siano possibili anche qui fenomeni come quelli di Firenze e sconfitte come quelle di Roma.D’altro lato la città di Parma è persa stabilmente da tempo e il centro sinistra a Piacenza vive da anni in equilibrio instabile .Il contrappunto di questa autoreferenzialità è poi l’esplosione del fenomeno dei comitati di protesta .Un fenomeno degli ultimi anni che si è sviluppato in tutte le province emiliane sui più diversi temi della vita amministrativa:dalla sicurezza ai rifiuti,dagli impianti energetici alla viabilità e alle escavazione di materiali inerti.Testimonianze di vitalità sociale,ma prima ancora di perdita di presa sociale del partito che qui è ancora maggioranza relativa:gli eredi del PCI prima,il PD ora.Se pensiamo che l’Emilia-romagna negli anni ‘80 votò NO al referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti,possiamo ben misurare quanta acqua è passata sotto i ponti.Ecco perché è caduto in disuso l’espressione .Non è addebitabile solo al fatto che il partito di governo di oggi non si definisce più!E tuttavia un’ultima considerazione va fatta proprio a questo proposito.Non credo infatti che si possa considerare produttiva la tabula rasa operata dal PD su questo storia.Una rimozione silenziosa,non dichiarata,in quanto la sua evocazione risulterebbe divisiva dei due tronconi confluiti nel PD.Ma l’abbandono di un’autonarrazione che,per quanto ideologica, rappresenta pur sempre un deposito di valori e una raccolta di preziose esperienze politiche e sociali (abbandono avvenuto anche dal lato del popolarismo cattolico)finisce per impoverire tutto il discorso politico e culturale e non consente neppure di definire gli elementi di continuità e di innovazione nei confronti della fase precedente.Non sarebbe certo facile delineare oggi una nuova fase riformista di questa regione che abbia l’ambizione di misurarsi con quella del primo socialismo municipale o con quell’originale esperimento di riformismo comunista che è stata l’emilia rossa.Ma un obiettivo di tal fatta pare del tutto estraneo all’agenda del PD emiliano che sembra anch’esso vivere in quel in cui vive quello nazionale. Anche per questo una rinnovata discussione sull’emilia rossa può andare oltre l’interesse di una pura riflessione storica.
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