IL RUOLO DELLA SINISTRA la Repubblica
martedì, 13 gennaio 2009
di Joaquín Navarro-Valls
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Oggi la retorica del disordine è divenuta realmente una nuova forma di totalitarismo. Abbiamo tutti davanti agli occhi l’immagine di una realtà sociale non più uniforme e omogenea, come si presentava fino a qualche tempo fa, ma contornata da un insieme variegato di aspetti, tendenze e interessi individuali in conflitto.
È la vittoria di un principio anarchico non voluto, ma desiderato inconsciamente e con perseveranza da tutti per lungo tempo. Basta riflettere sul fatto che l’emancipazione è stata una delle spinte dominanti dei movimenti rivoluzionari del XIX secolo, per riconoscere come una vittoria finale della sinistra quella cui assistiamo in questo primo squarcio di millennio. Benedetto Croce ha parlato profeticamente, quasi un secolo fa, dell’Europa come di un continente lacerato dalla lotta tra libertà e autorità. Attualmente è facile intravedere, anche da questo lato, la vittoria schiacciante degli ideali della sinistra su tutti gli altri.
Nel panorama contemporaneo il mondo, e non solo l’Europa, è rapidamente mutato. Anzi, si dovrebbe dire che l’eccezionalità del passato è finita per sempre. Senza grandi rimpianti, a dire il vero. La società odierna ha i pregi e i difetti opposti rispetto alla precedente: manca d’ordine, laddove ce n’era fin troppo, e ha troppa imprevedibilità, laddove non ce n’era quasi per niente. Anche per questo, è urgente ripensare la categoria politica realmente al centro di tutto il complesso sviluppo storico che stiamo vivendo, ossia l’idea di sinistra.
La prima osservazione da fare al riguardo è il riconoscimento che la visione del mondo progressista indubbiamente esce vincente dal Novecento. Se mettiamo da parte la sconfitta della dittatura sovietica, infatti, il modo di vivere è molto più di sinistra adesso di quanto avrebbe potuto sperare un rivoluzionario della fine dell’Ottocento: vi sono libertà, diritti, prerogative economiche diffuse, un tempo inimmaginabili, e, sia pure forse più formalmente che altro, non esistono discriminazioni celebrate pubblicamente e imposte dallo Stato, almeno in Occidente. Se ciò non ci soddisfa molto è perché riteniamo che tutto questo sia il volto ambiguo della modernità, e non un lascito positivo della sinistra.
Se il disegno si è avverato, tuttavia, è perché l’attuale politica internazionale, nonché la stessa diarchia destra e sinistra, appartiene a quanto per natura è espressione del progresso e delle riforme sociali. Per definire la sinistra si deve partire da qui, ovvero dal fatto considerevole che conservatori e riformisti sono oggi due movimenti figli di un’unica ideologia moderna, i quali si contrappongono internamente, si fronteggiano disperatamente, e positivamente salvaguardano insieme la democrazia da nuove e vecchie fughe totalitarie, siano esse di natura reazionaria o rivoluzionaria.
Malgrado l’appartenenza reciproca al medesimo presupposto individualistico, permane però un duplice modo d’intendere la libertà. Una cosa è constatare l’agire dei singoli senza riuscire a coniugarlo in alcun modo con una prospettiva comune; e altra cosa è pensare l´agire di tutti come un processo mosso e diretto verso un fine comune. È questa la vera grande discriminante che può separare oggi la politica di sinistra delle altre opzioni.
Se, infatti, l’unico criterio che può guidare l’azione individuale è soltanto la combinazione degli interessi esistenti, il compito della politica non può essere altro da quello di amalgamare la molteplicità delle azioni individuali all’interno di una mera gestione pragmatica delle motivazioni. E questa è la vera convinzione che ispira la nuova destra, praticamente dappertutto, ossia il pragmatismo e l’utilitarismo libertario.
Se, al contrario, la combinazione degli interessi individuali deve trovare un fine, uno scopo comune e generale, allora il ruolo della politica non resta soltanto quello di indirizzare al meglio i fattori stimolanti, ma diventa quello di introdurre e imprimere una forma perfetta e complessiva alle azioni e agli interessi degli individui. In questa direzione, appare evidente il marchio volontarista della sinistra, nonché la sua disposizione essenzialmente etica e la sua distanza di ogni forma di utilitarismo.
Rimane, perciò, molto importante ribadire con forza il portato etico della sinistra rispetto al pragmatismo della destra - nonché il comune orizzonte liberale delle due scelte - , distinguendolo da ogni forma surrettizia di perbenismo. Da tempo ormai è riemersa una discussione sulla celebre “questione morale”, un’impostazione della sinistra italiana i cui effetti sarebbero stati proprio la tendenza giustizialista. In realtà, invece, l’ispirazione etica della sinistra dovrebbe essere ben altra dall’infausto rigorismo. Il punto è che l’esistenza della sinistra oggi, specialmente nei paesi emergenti, s’identifica regolarmente con la consapevolezza della comune espansione individuale delle libertà, oltre che con l’attuazione di un’idea universale di umanità che deve crescere all’interno delle diverse società, mediante il contributo necessario, coraggioso e diretto dell’azione politica. Tommaso d´Aquino aveva intuito benissimo questo fattore originale della politica, tanto che all’inizio del De regimine principum aveva osservato che il bene comune, vero fine dell’azione di governo, nasce non dal libero gioco degli interessi individuali, ma dall’esistenza tangibile di un’autorità comune. La sua definizione non si discosta quasi per niente - e per questo l’ho menzionato qui - dalla descrizione che Hegel fa della società civile e dello Stato nei Lineamenti di filosofia del diritto. Quello che possiamo ricavare, in definitiva, da questa inusitata convergenza d’interpretazioni è che fin quando la sinistra rincorrerà vecchi miti utopistici, esistenti solo nella mente dei loro teorizzatori, il potere rimarrà in mano al pragmatismo e all’utilitarismo della destra; mentre se riuscirà a scoprire l’autentico motivo volontaristico ed etico dei suoi ideali, non potrà non imporsi di nuovo come risorsa dinamica e positiva per i cittadini.
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