lunedì 5 gennaio 2009

Antonio Lettieri: La Palestina, l'Europa e una crisi preparata

Dal sito www.eguaglianzaeliberta.it

La Palestina, l'Europa e una crisi preparata
Secondo fonti di stampa il ministro della Difesa israeliano Barak ha usato il periodo di tregua per pianificare l'operazione. Un'iniziativa forte dell'Ue potrebbe aiutare ad impedire che prenda sempre più piede il radicalismo islamico
Antonio Lettieri



Quante altre centinaia di morti e migliaia di feriti dovremo contare prima che il governo israeliano annunci di accettare una tregua? Ma anche allora dovremo chiederci qual è l’origine del massacro? Per una grande parte della stampa la risposta è ovvia. Hamas ha rotto la tregua, e ora ne paga le conseguenze. La domanda dovrebbe essere: perché Hamas ha rifiutato di rinnovare (non rotto) la tregua? La risposta per il governo italiano è sempre la stessa: Hamas è un’organizzazione terrorista. Dimenticando che Hamas controlla Gaza sulla base di un mandato popolare, in seguito a regolari elezioni democratiche che gli americani avevano imposto. Ma il punto non è questo.



A giugno, Hamas aveva stabilito col governo israeliano una tregua di fatto. Cosa è successo fra giugno e dicembre? Israele ha accerchiato Gaza, sigillandone le porte d’ingresso, bloccando i rifornimenti, mettendo in una condizione di intollerabile sofferenza un milione e mezzo di palestinesi. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno assistito a questa violenza nei confronti di una popolazione inerme senza batter ciglio. Quando, a dicembre, Hamas ha dichiarato di non essere disponibile a rinnovare la tregua sulle stesse basi, in altri termini senza una garanzia di riapertura delle frontiere e di sopravvivenza del popolo di Gaza, e ha ripreso il lancio dei razzi contro gli insediamenti israeliani del sud del paese, si è scatenata la reazione israeliana.



Ma si è trattato di una crisi tutt’altro che estemporanea. Il ministro della difesa, Ehud Barak – ha scritto l’Economist - aveva pianificato l’operazione da mesi, molto prima della scadenza della tregua del 19 dicembre. Secondo il corrispondente per il Medio Oriente, Gian Micalessin del Giornale della famiglia Berlusconi - Ehud Barack ha fatto dei sei mesi di tregua “il prezioso intervallo in cui tessere il grande inganno. Sotto la sua guida i servizi di sicurezza disegnano una mappa di tutte le infrastrutture militari di Hamas identificando arsenali, caserme, campi d'addestramento, nascondigli usati dai leader, tracciati dei tunnel sotterranei, bunker e postazioni di lancio per missili”. Poi, il 18 dicembre Barack annuncia il piano di attacco aereo a Olmert, convinto di disporre delle “informazioni necessarie per decapitare Hamas”.

Non sappiamo se l’obiettivo sarà raggiunto – ed è, non ostante la brutalità dell’attacco, improbabile - ma Barack, che è il capo del Partito laburista candidato alla direzione del governo nelle prossime elezioni di febbraio, ha già realizzato un suo personale successo. Nei sondaggi pre-elettorali, - informa Haaretz, autorevole giornale israeliano - il consenso alla sua candidatura è aumentato di quasi 20 punti passando dal 34 a al 53 per cento, con un clamoroso sorpasso nei confronti di Tzipi Livni, candidata di Kadima, il partito di Olmert, e di Netanyhau, il falco del Likud.

Scrive il Financial Times nel suo editoriale del 29 dicembre: “La ferocia dell’attacco di Israele alla sovrappopolata striscia di Gaza è in parte spiegata dall’imminenza del voto…Ma cercare di schiacciare Hamas dal cielo è controproducente (self-defeating) per altri aspetti. Esaspera ulteriormente i sentimenti degli arabi e del mondo islamico contro Israele e i suoi alleati americani, rafforzando il richiamo del radicalismo islamico”. Ed è proprio su questo punto che la larga maggioranza della stampa italiana è muta.

Il politologo americano Samuel Huntington, recentemente scomparso, divenne famoso negli anni Novanta per la sua teoria sull’inevitabile scontro delle civiltà. Prima l’11 settembre, poi l’invasione dell’Iraq sembrarono, in modo diverso, dargli ragione. Ma si tratta di conflitti inevitabili? Se guardiamo ai grandi paesi arabi, come innanzitutto l’Egitto e l’Arabia Saudita, per non parlare dei piccoli petro-stati del Golfo, constatiamo che non hanno alcuna voglia di entrare in conflitto con l’Occidente. Sono paesi che vivono all’ombra della protezione americana. Le loro classi dirigenti sono fatte di burocrazie che difendono lo statu quo e di un mondo degli affari, più o meno esteso, che aspira a entrare sempre più profondamente nei meccanismi della globalizzazione. Per loro Hamas, Gaza, più in generale i palestinesi, sono un dente fastidioso che non si riesce né a curare, né a estirpare. La teoria di Huntington si rivela astrattamente ideologica. Dal Maghreb alla penisola arabica non ci sono regimi arabi effettivamente pericolosi e bellicosi nei confronti dell’Occidente.

Ma, da un altro punto di vista, la profezia del politologo americano presenta un’oscura verità. Dappertutto crescono le radici di una ribellione latente, di una fuga nell’identitarismo islamista, nel rifiuto di tutto ciò che si presenta come modernizzazione, intesa come subalternità all’Occidente. Per le masse arabe, e più in generale islamiche, la Palestina è il simbolo della prevaricazione, dell’uso illimitato della potenza militare, del disprezzo per un popolo oppresso. Hamas e Hezbollah sono il simbolo della resistenza. Quando leggiamo, con più o meno aperta soddisfazione di alcuni editorialisti nostrani, che il mondo arabo è diviso e impotente e che, prima o dopo, il governo israeliano avrà ragione dei terroristi di Hamas, non dobbiamo dimenticare che questa divisione, che è innanzitutto interna a ciascun paese, è il problema non la soluzione.L’impotenza dei regimi moderati nei confronti del conflitto israelo-palastinese, mentre si rafforzano al loro interno le radici del radicalismo islamico, non aiuta a consolidare il rapporto fra le due sponde del Mediterraneo.Da questo punto di vista, l’iniziativa di Sarkozy che cerca di coinvolgere l’Egitto di Mubarak – co-presidente con Sarkozy dell’Unione mediterranea – può rappresentare un primo passo importante.

Di fonte alla tempesta che si abbatte sulla Palestina, sarebbe, d’altra parte, irresponsabile e, probabilmente, illusorio attendere un intervento messianico del nuovo presidente americano. Barack Obama, oltre ad affrontare la grave crisi economica interna, dovrà misurarsi con un inevitabile riposizionamento della politica estera. Dopo lo sganciamento dall’Iraq, il baricentro della politica estera americana nel Medio Oriente si sposterà verso l’Afghanistan e il Pakistan. Se, d’altra parte, Obama manterrà l’impegno assunto nella campagna elettorale per un diverso approccio di tipo negoziale con l’Iran, Israele avrà a sua volta bisogno di un nuovo quadro strategico per venire a capo della questione palestinese. In altri termini, se lo scacchiere arabo-mediterraneo sarà per gli Stati Uniti importante ma non cruciale, il ruolo dell’Europa , senza più l’alibi della delega agli Stati Uniti, risulterà in senso positivo o negativo, determinante per il futuro del Vicino Oriente..

Ma sappiamo anche che l’Unione europea è divisa. Credo che bisognerebbe smetterla di piangere sulle divisioni e entrare nel merito delle alternative politiche. La repubblica ceca che ha in questo momento lo scettro dell’Unione, insieme con altri paesi dell’Est europeo, ha posizioni filo-americane di tipo oltranzista. Dall’altra parte, Sarkozy e – molto importante, trattandosi si una svolta della politica britannica –Gordon Brown sono schierati per una linea di mediazione attiva. Un dibattito aperto nell'Unione europea dovrebbe essere considerato fisiologico per arrivare a una decisione comune o, se si rivelasse impossibile, all’assunzione di responsabilità distinte. La cosa peggiore è l’unità nella finzione.

Nella riunione di fine anno sotto la presidenza francese si potevano intravedere le linee di un’iniziativa immediata (la tregua) intrecciate con una iniziativa di pace a più lungo termine. Il primo passo sarebbe un contingente di truppe del tipo inviato in Libano che controlla la frontiera di Gaza, mentre Hamas è impegnata a porre fine al lancio di razzi verso le città israeliane e Israele toglie il blocco commerciale che asfissia la popolazione di Gaza. Si potrebbe trattare di un parentesi in un conflitto destinato a non avere mai fine o potrebbe essere l’avvio di un effettivo processo di pace. Un processo nel quale risulterebbe decisiva l’iniziativa europea in due direzioni complementari: una posizione unitaria dei paesi arabi moderati con l’inclusione della Siria, punto sul quale è già impegnata la Francia, a garanzia di Israele; una mediazione tra le due fazioni palestinesi che potrebbe sfociare in una nuova leadership unitaria in grado di presentarsi come un negoziatore affidabile in un nuovo negoziato con il governo di Israele che uscirà dalle prossime elezioni.
Un dibattito politico esplicito all’interno dell’Unione europea renderebbe chiare le posizioni e le alternative, togliendo il velo all’ignavia e alle furbizie. Il dibattito politico italiano se ne avvantaggerebbe sicuramente. E la sinistra italiana potrebbe sfidare senza reticenze il governo Berlusconi nascosto dietro la pavida inconsistenza del suo ministro degli esteri.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

Credo che nella sua lucida analisi Antonio Lettieri (la cui lettura ci ha suggerito Corrado Nicolino, www.eguaglianzaeliberta.it) metta soprattutto in luce questo dato di fatto, che in un mondo in cui a tutti sta a cuore essere dalla parte “giusta della barricata”, dovrebbe indurre ad una riflessione davvero approfondita e non superficiale, capace comunque di andare oltre anche le più rassicuranti “verità”.



Nota Lettieri che:



“Dappertutto crescono le radici di una ribellione latente, di una fuga nell’identitarismo islamista, nel rifiuto di tutto ciò che si presenta come modernizzazione, intesa come subalternità all’Occidente. Per le masse arabe, e più in generale islamiche, la Palestina è il simbolo della prevaricazione, dell’uso illimitato della potenza militare, del disprezzo per un popolo oppresso. Hamas e Hezbollah sono il simbolo della resistenza.”



Posto che Hamas e Hezbollah se ne stanno in cima alla parte sbagliata della barricata, e incarnano il diavolo, il male, che giustificano qualsiasi esorcista, compreso il “fosforo”, penso che dall’alto delle nostre giuste barricate dovremmo essere molto più attenti per chi combatte per cause sbagliate.



Una su tutte: quando ad essere sbagliata, arriva ad essere la causa della propria sopravvivenza, si combatte strenuamente per essa e la causa allora può essere la più sbagliata di tutte, ma ben difficilmente ciò spinge a ripudiarla, anzi, la causa, anche la più sbagliata apparirà agli interessati, come la più “giusta”.



In proposito, l’esempio più tragico che la storia recente ci ha consegnato, ha un nome:



“Prominenzen”.



E prominenti si chiamavano……




“….i funzionari del campo, a partire dal direttore-Häftling (Lagerältester) ai Kapos, ai cuochi, agli infermieri, alle guardie notturne, fino agli scopini delle baracche e agli Scheissminister e Bademeister (sovraintendenti alle latrine e alle docce). Più specialmente interessano qui i prominenti ebrei, poiché mentre gli altri venivano investiti degli incarichi automaticamente, al loro ingresso in campo, in virtù della loro supremazia naturale, gli ebrei dovevano intrigare e lottare duramente per ottenerli.


I prominenti ebrei costituiscono un triste e notevole fenomeno umano. In loro convergono le sofferenze presenti, passate e ataviche, e la tradizione e l’educazione di ostilità verso lo straniero, per farne mostri di asocialità e di insensibilità.


Essi sono il tipico prodotto della struttura del Lager tedesco: si offra ad alcuni individui in stato di schiavitù una posizione privilegiata, un certo agio e una buona probabilità di sopravvivere, esigendone in cambio il tradimento della naturale solidarietà coi loro compagni, e certamente vi sarà chi accetterà. Costui sarà sottratto alla legge comune, e diverrà intangibile; sarà perciò tanto più odioso e odiato, quanto maggior potere gli sarà stato concesso. Quando gli venga affidato il comando di un manipolo di sventurati, con diritto di vita o di morte su di essi, sarà crudele e tirannico, perché capirà che se non lo fosse abbastanza, un altro giudicato più idoneo, subentrerebbe al suo posto.”


Così ci racconta Primo Levi in – Se questo è un uomo-


Or bene, andando incontro alla riprovazione di quanti ritengono che certi paragoni non si possano fare, ugualmente mi chiedo: pur comprendendo bene che sia più gradevole e moderato, distinguerci fra buoni e cattivi, interisti e milanisti, americanisti e antiamericani: crediamo davvero, fatte le debite “riduzioni-proporzioni”, che “nuovi-prominenti” di tutte le etnie e nazionalità non siano spinti, dalla tipica struttura del “mondo mercantile”, che abbiamo costruito, a confondere la propria sopravvivenza, con la sola giusta causa, per la quale valga la pena di vivere?, siamo sicuri, che “nuovi prominenti” non siano ancora fra noi?


Vittorio Melandri



P.S.

In questa giornata semifestiva, mi è capitato di guardare un documentario passato su RAI Tre intorno alle 18,00 nell’ambito della trasmissione Geo&Geo, forse nessun funzionario lo ha visionato prima, e per questo è passato.

Si raccontava della produzione di canna da zucchero nella Repubblica Dominicana (in cui un gruppo di lontane origini italiane i Vicini – di recente in affari anche con Parmalat- la fa da padrone), e si intervistavano alcuni “esseri umani” che la tagliano.



Ne tagliano due tonnellate al giorno, sono haitiani, e alcuni degli intervistati fanno quel lavoro da quarant’anni, non fanno altro. Schiavi peggio degli schiavi, e le loro espressioni inebetite non avevano nulla di differente dalla espressione dei “sommersi” emersi da Auschwitz.



O meglio una differenza c’è, se calcoliamo la Shoah coincidere con tutta la vita al potere del Nazismo, questo va dal 1933 al 1945, 12 anni, quei “sommersi” proposti per TV alla vigilia di questa nostra epifania, sono tali da 40 (quaranta) anni.



Il prete che da due anni offre loro un tetto decente, ricordava cosa gli diceva un vescovo brasiliano: quando do da mangiare ai poveri mi chiamano santo, quando chiedo perché sono poveri mi dicono comunista.

Anonimo ha detto...

Premesso che leggo con grande interesse gli interventi di Meandri, che spesso offrono notevoli spunti di riflessione, stavolta resto invece molto perplesso.

Spero di non aver capito bene, ma l’ipotesi sarebbe che Hamas e Hezbollah combatterebbero per la sopravvivenza del popolo palestinese?

Oppure, in subordine, Hamas e Hezbollah crederebbero (in buonafede) di combattere per la sopravvivenza del popolo palestinese?

Se l’ipotesi è la prima (ma non credo), sarebbe veramente assurda. Confutarla sarebbe facile sul piano storico, ma non breve e comunque, ripeto, non credo sia ciò che intende Vittorio Melandri.

Se l’ipotesi è la seconda, ammesso e non concesso che Hamas e Hezbollah siano in buona fede, significherebbe forse che dobbiamo assumere atteggiamenti giustificatori verso tutti coloro che sono in buonafede?

Moltissimi nazionalsocialisti tedeschi, negli anni venti e trenta, credevano in buonafede di combattere per la sopravvivenza del proprio popolo (ed hanno contribuito ad eleggere il proprio capo nel ’33) e i famigerati “ragazzi di Salò” credevano, spesso in buona fede, di combattere per una causa “vitale”.

Ma allora, tutta la nostra (sacrosanta) foga contro la cosiddetta “memoria condivisa” che fine farebbe?

Ma come? Quando si parla di Hitler o di Salò ogni ombra di giustificazionismo o di “condivisione della memoria” è (giustamente) cassata, mentre per Hamas ed Hezbollah varrebbe il contrario?



Che significa, veramente essere “molto più attenti per chi combatte per cause sbagliate” ?

Non basta essere disponibili a dialogare e negoziare (se la disponibilità è reciproca)????



Credo che l’atteggiamento verso le “barricate sbagliate” debba essere sempre lo stesso.

Ciò non deve portarci ad evitare analisi approfondite, diagnosi, studio per la ricerca delle difficili vie più umane e più “moderate” che portino ad una pace stabile, critica verso gli errori dei nostri “amici”.

Significa solo che una barricata sbagliata resta comunque sbagliata.

Mantenere fermo questo concetto aiuta a trovare soluzioni politiche sensate.

Mi scuso se ho capito male.



Quanto a “sopravvivenza” io mi colloco fra coloro (e mi rendo conto che sono pochissimi) che ritengono ancora del tutto possibile, ancorché non molto probabile, la distruzione dello Stato di Israele o comunque un nuovo sterminio antisemita di grandi proporzioni.
Se anche fosse impossibile nelle condizioni odierne, di certo vi è qualcuno, nel mondo, che sta seriamente lavorando a questo scopo.

Se anche uno scenario del genere fosse oggi impossibile, cerchiamo di lavorare perché rimanga tale.



Stefano Bazzoli

Anonimo ha detto...

Nel raccogliere gli spunti che Stefano Bazzoli ci offre, e credendo che rispondere usando la mailing, sia rimanere nell’ambito di quanto ci ha indicato Giovanni, in quanto credo che il tema sia di interesse per tutti, per parte mia mi sento in obbligo di precisare innanzi tutto che……



Per me è facile schierarmi “dietro” la barricata che considero mia, e che non è la barricata delle popolazioni islamiche, poiché sono intriso di cultura laica e occidentale, mi sento in debito nei confronti dell'intelligenza di matrice ebraica (se posso usare questa espressione) di più cose di quante riesca a capire, e mi sento in colpa nei confronti degli esseri umani di religione ebraica (essendo questo il solo elemento distintivo che consente di parlare al plurale di “ebrei”) delle persecuzioni che subiscono dalla mia genia occidentale e cattolica da secoli e secoli; dopo di che, credo di non dovermi così sentire farisaicamente in pace con la mia coscienza, ma credo di dovermi sentire anche in armonia con quel tanto di intelligenza di cui dispongo.



Oggi questa mi suggerisce che il Governo di Israele, il popolo di Israele, per quel che ne posso sapere nella sua maggioranza, e gli “ebrei” (sempre intesi nell’accezione di cui sopra) ancora sparsi per il mondo, anziché fare il meglio che possono, per cercare di venire a capo del drammatico problema in cui sono immersi anche per colpa nostra, si stanno ancora di più cacciando nelle pesti, e penso che dopo che mi fossi ben schierato ciecamente con loro, non farei altro che praticare una professione di ipocrisia, comoda, calda e rassicurante, che non mi procurerebbe nemmeno il fastidio di sostenere un contraddittorio con chi la pensa, legittimamente, diversamente da me.



Sono consapevole che posso fare ben poco, ma correrei il rischio di fare ancora meno.



Il punto dal quale è a mio parere impossibile prescindere, a costo di apparire più che banale, è che il popolo palestinese esiste, ed esiste da secoli lì dove si trova; e che esiste il popolo israelita, che da sessant’anni è tornato ad insediarsi nelle terre dove i suoi avi avevano edificato un precedente Stato di Israele.



Il dimissionario Governo Olmert, così come Hamas ed Hezbollah sono espressioni ultime di quei popoli.



Hamas e Hezbollah, in quanto organizzazioni cosiddette terroristiche, possiamo anche considerarli “nei da estirpare” per usare una espressione che dalle nostre parti ha conosciuto parecchio fortuna, nel senso che prima e dopo l’Olivetti, nel nostro paese di “nei” ne sono stati estirpati parecchi, anche di quelli che per loro natura benigna dovevano essere lasciati dove erano, ma quello a cui penso quando mi sono riferito alla sopravvivenza, e per esporre il qual concetto mi sono ricordato delle parole di Primo Levi, che me lo avevano suggerito da subito, non è la sopravvivenza di Hamas o di Hezbollah ma proprio quella del popolo palestinese e quella del popolo israelita, perché il rischio e qualcosa più del rischio, è che in entrambi i popoli ……



“convergano le sofferenze presenti, passate e ataviche, e la tradizione e l’educazione di ostilità verso lo straniero”….. sino a…. “farne mostri di asocialità e di insensibilità”….. aizzati gli uni contro gli altri da interessi che passano sopra le loro teste.



Un amico, quasi ricalcando le stesse parole di Bazzoli, mi ha scritto che “se gli ebrei non si difendono con ingiusta ferocia finiscono a mare”.



Personalmente mi convinco sempre più che in tale visione della realtà resta vero che la ferocia è ingiusta più volte ……. Perché, ancora banalmente, la ferocia è sempre ingiusta ……. perchè se è OBBLIGATA è ancora più INEFFICACE, perché chiama puntualmente altra ferocia allontanando sempre più qualsiasi soluzione e si potrebbe continuare..... a mio avviso poi resta miope credere che a buttare in mare gli ebrei potrebbero essere Hamas ed Hezbollah.



Molto più della forza di quanti nel mondo starebbero lavorando per un nuovo sterminio antisemita di grandi proporzioni, (intanto che non dimentichiamolo, continua lo sterminio diuturno dei “più deboli” senza distinzione di genere di età e di etnia, ad opera dei “più forti”) trovo sia pericolosa in merito, la vigliaccheria di chi, il mondo occidentale in primis, con il mondo islamico fa ammuina sul petrolio, e scatena guerre sempre per il petrolio, con la stessa indifferenza.



Parlo di quel mondo islamico che circonda Israele da millenni, cosa assolutamente irrisolvibile (salvo aspettare la deriva dei continenti), e che è con Israele secolarmente e “RELIGIOSAMENTE” in guerra....... quel mondo islamico con cui per secoli e secoli, il mondo occidentale ha lasciato che i “deicidi” se la cavassero da soli, sino a quando nel deserto non è spuntato fuori il petrolio.



L’occidente ha la coda sporca sia con gli israeliti di oggi, sia con gli ebrei di sempre e sia con i suoi nemici, e continua ad averla sporca, perchè con i suoi nemici commercia di tutto dalle armi al petrolio, e da Israele si aspetta che faccia il cane da guardia sul terreno, in cambio di un osso, quel terreno che è tanto suo quanto dei palestinesi.



Fra venti giorni saremo ancora a celebrare il giorno della memoria, ebbene fare della Shoah l’unico parametro di riferimento per spiegare la barbarie della persecuzione cui sono stati sottoposti gli ebrei, lo trovo in contrasto persino con la benedetta iniziativa dell’istituzione dello stesso giorno della memoria.



Il 27 gennaio di ogni anno, ricordare cosa è stato il nazismo e la Shoah, deve servire a ricordarne ad un tempo l’unicità, ma anche le sue radici, e queste non sono assolutamente state estirpate dalla umanità, nella primavera estate del 1945.



Non può accadere che il giorno della memoria si risolva paradossalmente con l’essere il giorno in cui, con quattro pater ave gloria, ci si monda la coscienza, o peggio, non può essere il giorno della rimozione, in cui, una volta che ci siamo detti dalla parte degli ebrei, ci dimentichiamo di essere dalla parte degli esseri umani.



Vittorio Melandri

Anonimo ha detto...

Bentornato Lettieri rappresentante della terza componente della CGIL di mia memoria da non confondersi con Rifondazione comunista.

Sergio Tremolada

Anonimo ha detto...

Mi pare che l'articolo di Lettieri sia animato da un pregiudizio anti-israeliano di fondo. Con Hamas Lettieri applica un procedimento logico simile a quello che Berlusconi usa per autoassolversi da conflitti d'interessi e processi vari: saranno terroristi, ma controllano Gaza sulla base di elezioni democratiche. Si dimenticano anche le lezioni della storia su come feroci dittature sono state portate al potere dal voto popolare. In sostanza, il mandato popolare ha "purificato" Hamas e lo rende interlocutore credibile di trattative di pace, come sostiene D'Alema.
E' strano che questi ragionamenti non si estendano anche alla "democrazia vivente", a quella che esiste nelle istituzioni di uno Stato, nello specifico nella striscia di Gaza dopo la vittoria elettorale di Hamas. E' semplicemente successo che Hamas ha annientato Fatah, il partito più moderato, ricorrendo all'eliminazione fisica degli oppositori; ha applicato la sharìa con le ovvie conseguenze sulla separazione tra Stato e religione e sui diritti delle donne. Su questi aspetti i critici di Israele tacciono.
Lettieri, poi, confonde le acque: le accuse di terrorismo non sono rivolte contro il popolo palestinese, ma contro il regime che ne controlla una parte. Secondo lui., la responsabilità della rottura della tregua è di Israele che ha sigillato gli ingressi a Gaza e bloccato i rifornimenti. Non ho seguito nel dettaglio gli sviluppi della crisi, ma mi pare ci fosse un problema di contrabbando d'armi (anche dei famosi razzi) e, anche in questi ultimi giorni, ho visto in TV camion con scritte in lingua ebraica che portavano viveri a Gaza. Quello che è successo dopo rientra nelle facoltà di uno Stato sovrano che reagisce per legittima difesa ad atti di violenza contro il proprio territorio ed i propri cittadini. Obbedendo anche al requisito della proporzionalità: se Israele avesse optato per mezzi uguali e contrari, avrebbe dovuto lanciare salve dei propri razzi (tecnologicamente più avanzati) in un territorio sovrappopolato, causando molte più vittime rispetto all'attuale operazione di polizia con mezzi militari, come l'hanno definita Bettiza e Lucio Caracciolo.
Per ultimo, Lettieri evoca l'attuarsi della teoria di Huntington. Lo scontro tra le civiltà sarebbe animato dalla ribellione delle masse arabe ed islamiche in ogni parte del globo,
che vedono in Hamas il simbolo della resistenza all'uso della forza e al disprezzo di un popolo oppresso. Pur essendoci un risveglio islamista - anche da noi con l'inquietante episodio della preghiera seguita dai falò delle bandiere nelle piazze antistanti le cattedrali -le cose non sono ancora a questo punto e si dovrebbero non delegittimare, ma rafforzare le forze che in quel mondo sono disponibili al dialogo, come in Palestina Fatah di Abu Mazen.
Nicolino Corrado

Anonimo ha detto...

Un pregiudizio “anti-ebraico” che in molti casi si somma e/o si sovrappone ad un pregiudizio “anti-israeliano” da quando esiste lo Stato di Israele, esiste nel mondo occidentale da secoli.



Personalmente trovo la cosa oscena, ma non penso più ad una oscenità per così dire “naturale”, perché al contrario penso che almeno dal secondo dopoguerra, si sia dinnanzi ad una oscenità coltivata con cura, una cura capace di far impallidire i “famosi” Protocolli dei savi di Sion, sostituiti da tempo con una informazione di volta in volta deformante ogni possibile realtà, capace di seminare nell’immenso campo dell’ignoranza che calpestiamo tutti, ogni tipo di pianta che si ritenga utile, per cui c’è sempre chi può facilmente poi raccogliere quello che serve al momento.



E antisemiti nell’animo si possono paludare con i panni dei difensori di Israele, semplicemente mettendosi una kippà in testa, e figli dell’antifascismo più militante, possono essere dipinti come fossero “kapò”, ogni volta che si schierano (magari con molti se e qualche ma) dalla parte araba.



E forse, a pensarci bene, è più paradigmatico di quanto si pensi, l’uso che del termine fece il “grande comunicatore” che ci governa.



Da ultimo si legge (ma è solo una delle tantissime “perle che si danno in pasto ai porci”) che Illan Pappe, figlio di ebrei tedeschi sfuggiti al nazismo, sarebbe un losco figuro antiebraico, in quanto sostenitore di critiche financo feroci, formulate nei confronti delle scelte del suo governo e del suo popolo.



Sarò forse un inguaribile ingenuo, e nel caso a mia attenuante posso solo invocare la mia insignificanza (salvo dover scontare l’aggravante che per quanto insignificante, basto ad ingolfare la mailinglist del Circolo), ma credo che il modo peggiore di affrontare un pregiudizio, sia quello di contrapporgliene un altro.



Ad un pregiudizio anti-israeliano per rimanere al termine usato da Nicolino Corrado, un pregiudizio pro-israeliano, capace solo di alimentarli tutti, e non aiutare (noi possiamo solo avere l’ambizione di mettere in campo un “aiutino”) a risolvere mai niente.



Senza avere la pretesa di approfondire, basta citare i casi dei talebani fatti crescere in funzione antisovietica, e poi ribaltati nell’incarnazione di tutti i mali che affliggono il libero occidente, senza che il ribaltamento abbia sollevato in modo diffuso il ben che minimo dubbio; oppure basta citare proprio il caso di Hamas, che alla sua nascita era benvisto in occidente come anti Fatah, ed oggi invece, come ricorda sempre Nicolino Corrado, della democratica e moderata Fatah rappresenta guarda caso il carnefice che si vorrebbe giustiziare.



Credo che diamo il peggio di noi stessi quando, pretendendo di schierarci senza se e senza ma dalla parte giusta della barricata, intanto che su milioni di esseri umani piovono bombe, noi ci lamentiamo perché ci piovono in casella troppe mail, e nemmeno proviamo a chiamare con il nome giusto la nostra incapacità (per altro umanissima una volta riconosciuta) di andare d’accordo con noi stessi.



Chiamato a schierarmi, riesco a schierarmi con il popolo di Israele e con il popolo di Palestina, e contro i loro governi e i governi dell’occidente più oscenamente vigliacchi che io ricordi.



Vittorio Melandri

Stefano B. ha detto...

I governi dell’occidente più oscenamente vigliacchi che io ricordi - per usare le parole di Melandri - (esclusi governi del nazifascismo e dei loro alleati o similari, naturalmente)sono quelli inglese e francese (in ordine nettamente decrescente di vergogna) della seconda metà degli anni '40.
I governi (neo?)colonialisti, cioè, che hanno la più pesante responsabilità nella genesi del conflitto israelo-palestinese.
Sono i governi, demiurghi allora dei fenomeni politico-militari dell'area mediorientale, che hanno manovrato/favorito l'aggressione al neonato stato d'Israele da parte dei loro stati quasi-fantoccio (non dimentichiamoci che i Paesi arabi allora non erano affatto realmente indipendenti e che il nazionalismo arabo è diventato potente solo con Nasser, qualche anno dopo) per arroccarsi in un'ultima, disperata, vergognosa difesa del proprio residuo di potere (neo?)coloniale.
Vergognosa, perché da essa è scaturita la guerra del '48, che ha negato agli Israeliani la sicurezza e al popolo palestinese la creazione di un proprio Stato indipendente.
Il biennio '47-48 è forse stato un momento (almeno in potenza) "magico" (speriamo non irripetibile), in cui credo che le maggioranze di quei due disgraziati popoli avrebbero forse potuto costruire subito (come deciso dalle Nazioni Unite nel '47) i famosi due stati, che oggi tutti desideriamo.
Prima che la grande semina di odio, tipica di ogni guerra, desse i suoi terribili frutti.
Ma sarebbero stati i primi due stati veramente indipendenti (anti-coloniali) e questa fu la "sfortuna" (scusate il termine volutamente antistoricista) di quei due popoli.
Certo, dal 1948 molte cose sono cambiate.
Ad esempio, il nazionalismo pan-arabo prima e islamista-fondamentalista poi hanno dato il cambio agli anglo-francesi nello sventolare la vergogna delle tragiche condizioni in cui i palestinesi erano lasciati sopravvivere, come se non fosse una vergogna tutta (o quasi tutta)loro.
Sì, i governi inglese, e in parte francese, di quei lontani anni avevano il potere e l'hanno usato contro l'umanità e contro la civiltà.
Al loro confronto molte vergogne dei tanto vituperati yankee impallidiscono.
Ecco i governi dell'occidente più oscenamente vigliacchi che io ricordi.

Stefano Bazzoli