martedì 6 gennaio 2009

Andrea Romano: le "Speranze" di Paolo Rossi, piccolo manifesto riformista

andrearomano
Oggi 6 gennaio 2009, 1 ora fa

Le Speranze di Paolo Rossi, piccolo manifesto riformista
Oggi 6 gennaio 2009, 1 ora fa
I libri più preziosi, sostengono i sapienti ma anche coloro che ne sanno quanto basta, sono quelli che riescono a parlare a tutti pur essendo scritti da autori di forte competenza specifica. Ed è un libro piccolo e prezioso quello che Paolo Rossi ha voluto titolare “Speranze”, perché le parole di uno dei più celebri storici della scienza arrivano facilmente a quanti cercano la vera ragione del loro sentirsi riformisti. Sarà infatti capitato a molti lettori di questo quotidiano, com’è capitato anche a chi scrive, di domandarsi se fosse poi vero quel che ogni tanto si sente in giro. “Che mestizia questo riformismo, che triste mancanza di prospettive. Vuoi mettere il fascino dell’utopia, le promesse del cambiamento radicale!”. Ecco: è proprio questo il nodo che Rossi prende di petto, in quello che è di fatto un libro classicamente politico. Perché la sua è una riflessione che muove dalla critica al conformismo apocalittico, che oggi pervade tanta parte del nostro discorso pubblico, per delineare le ragioni per cui uno sguardo riformista al mondo è molto più ricco di speranza di qualunque formula radicale. Una speranza ragionevole, come la definisce Rossi con Francesco Bacone, ma proprio per questo più attrezzata del massimalismo a guidarci nel futuro sopravvivendo alle imperfezioni della realtà “con una sopportabile dose di angoscia”. Che è poi il piccolo, eroico obiettivo di chiunque non si sia rifugiato nel riformismo solo per stanchezza d’animo.

Un libro politico e molto italiano, che non nasconde gli obiettivi nostrani di un’irresistibile fenomenologia polemica. “Nei momenti di sconforto mi viene da pensare che non avesse poi tutti i torti McLuhan quando scriveva che l’indignazione morale è la strategia adatta per rivestire di dignità un imbecille”, dichiara l’autore in apertura. Chi siano le vittime di tanta corrosione è presto detto. Innanzitutto gli “esibizionisti dell’Apocalisse”, tra cui gli Asor Rosa alla perenne ricerca di una via d’uscita dall’Occidente (“Ma per andare dove?”, chiosava Bobbio) che per Rossi è essenzialmente “il trionfo di tutto il Male o il trionfo di tutto il Bene”, o i Citati che in Bin Laden hanno visto “un genio della politica come oggi nessuno al mondo”. Più in generale i molti opinionisti afflitti da “largamente studiate tendenze masochistiche”, armati di uno “spirito critico che si rivolta contro se stesso e tende a divorarsi in una sorta di autocannibalismo”, cittadini riluttanti di “un’Europa che si crede (e si vanta) all’origine di tutti i mali che affliggono il genere umano ed esibisce la sua malvagità come altri le proprie decorazioni”. È la trama comune alle molte narrazioni millenaristiche della realtà in cui oggi siamo avvolti, il cui impianto è secondo Rossi identico alle grandi narrazioni che profetizzavano un futuro armonicamente risolto e che di recente si sono ribaltate nel loro apocalittico contrario.

Ad entrambi, ai profeti di un tempo e ai più diffusi “sciamani della catastrofe travestiti da filosofi”, Paolo Rossi ricorda il Montale de La Storia ( che “non si snoda come una catena di anelli ininterrotta ... non procede né recede, si sposta di binario e la sua direzione non è nell’orario”) ma soprattutto la sostanza del metodo scientifico. Dunque “l’inutilità della celebre notte in cui tutte le vacche sono nere”, perché “la civiltà alla quale apparteniamo non è né un’unità indifferenziata né una totalità omogenea e in essa si sono svolte e si svolgono alienazioni e lotte per la libertà, cedimenti morali e combattimenti per la verità, conformismi e ribellioni”. E dinanzi ad uno scenario tanto mosso e lontano dall’essere predeterminabile, l’unica bussola è la convinzione di procedere in condizioni di indeterminazione. Sicuri che “la ragione è fatta per esplorare soltanto limitati pezzi di mondo e che non esistono telescopi per guardare nel futuro”. Ma comunque convinti di poter camminare. E camminando talvolta progredire, passo dopo passo, come abbiamo fatto fin qui. Nelle condizioni della vita materiale come nell’integrazione sovranazionale, nella moltiplicazione dei paesi democratici come nella consapevolezza sempre più diffusa dei diritti umani.

Esempi concreti di un percorso che smentisce “il sogno di un grande, univoco, sensato racconto che attinga alla verità delle origini e che sia, insieme, profetico”. Soprattutto, esempi di una speranza ragionevole perché possibile. Realistica piuttosto che moderata, proiettata verso il futuro piuttosto che sepolta dall’autocommiserazione del catastrofismo, ispirata solo dall’immanenza delle condizioni nelle quali si trovano a vivere le nostre diverse civiltà. Insomma, una laica speranza di sinistra come quelle che la sinistra ha saputo alimentare nei suoi momenti migliori. Perché in fin dei conti, ricorda Rossi con un’ultima provocazione, era stato niente altro che Marx a sostenere che “indignarsi invece di capire era poco elegante, era roba da socialisti umanitari o da moralisti astratti o da anime belle”.


Paolo Rossi, “Speranze”, Il Mulino, pp.146, € 9,00

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