sabato 1 ottobre 2022

Paolo Bagnoli: La seconda Repubblica

"LA SECONDA REPUBBLICA" di Paolo Bagnoli 26-09-2022 - EDITORIALE X CLOSE Dopo che averne parlato a lungo, senza definire bene di cosa veramente si trattasse, alla fine la cosiddetta seconda repubblica è nata con il voto del 25 settembre 2022. La cesura tra la prima repubblica e quanto, a partire dal 1994, ne è conseguito, ha avuto nella cancellazione dei partiti la sua caratterizzazione. Ciò ha prodotto un progressivo cambiamento genetico del nostro sistema, delle basi ideali e normative su cui si fondava, sulle modalità della lotta politica; in definitiva, sulla moralità stessa della Repubblica nel senso di una progressiva degenerazione del modo d’intendere il confronto democratico, gli ambiti normativi che andavano rispettati nonché il senso etico di stare sulla scena pubblica. Il cambio genetico è iniziato con l’avvento di Silvio Berlusconi, istrionesco incantatore dei poteri statuali e di larghe masse sociali. Divenuto dominus della ribalta politica sono seguite le leggi che tornavano utili alla sua persona, il mercato dei parlamentari, le barzellette e il gesto delle corna nei luoghi della politica estera, il riposizionamento posturale della Rai in modo tale da non nuocere a Mediaset, la tragicommedia immorale dei bunga-bunga; insomma, l’abbandono di ogni decoro e, pur persistendo a proclamarsi liberale, si deve a lui l’innesco del senso concreto della destra e dei suoi motivi nel corpo del Paese. L’apertura che fece a Gianfranco Fini ne è quasi una testimonianza simbolica. In un Paese nel quale il senso virtuoso dello Stato è sempre stato assai carente, Berlusconi ha aperto una falla la cui evoluzione, passando per governi tecnici e colpevole passività di chi avrebbe dovuto contrapporvisi, in un susseguirsi destrutturante dello Stato ha condotto al populismo – in Italia addirittura doppio considerati i 5 Stelle e la Lega – al sovranismo che fa un tutt’uno con una marcata diffidenza nei confronti dell’Europa, al nazionalismo e, infine, all’approdo della Destra al governo del Paese. Una vittoria favorita da una legge elettorale che peggio non si sarebbe potuta pensare, chiaramente anticostituzionale, da un’assurda riforma dei numeri parlamentari fatta in spregio alla concezione stessa del Parlamento con la complicità di un Pd che, non avendo altra funzione se non continuare a esistere per garantire la sopravvivenza di una modesto, quando incapace suo ceto dirigente, vede nello stare al governo la propria unica ragione, anzi quasi una vocazione. Tra l’altro non si capisce, ovvero si capisce benissimo, perché quella che doveva essere la contropartita alla riduzione dei parlamentari, vale a dire la riforma della legge elettorale, non sia stata nemmeno presa in considerazione. Va osservato che, se la legge elettorale fosse stata proporzionale – il che ci sembra, tra l’altro, nello spirito costituente della Costituzione, ci sia passato il bisticcio – oggi le cose sarebbero molto diverso. Invece, se non si fosse trattato di un mero atto di sottomissione ai 5 Stelle che cambiavano di spalla al fucile, quel gesto avrebbe potuto essere considerato come un passaggio sacrificale destinato a salvaguardare e migliorare la sostanza democratica del sistema italiano. Se nel Pd vi è una resipiscenza di serietà, considerato come sono andate le cose esso, che in quindici anni ha cambiato ben nove segretari, dovrebbe prendere atto. Per venire al nocciolo della questione poiché sul Pd tutto, o quasi è stato detto, bisogna aggiungere che l’operazione del partito frutto di due partiti è fallita da ogni punto di vista e, quindi, logica vorrebbe che esso si sciogliesse; le varie componenti riprendessero la loro strada e forse ciò potrebbe essere l’avvio per cominciare a riflettere seriamente sul concetto di sinistra e sulla rinascita – necessaria – del socialismo in Italia improntato alla cultura politica del “socialismo nella libertà” quale fulcro centrale di un campo davvero largo di forze di classe e libertaristiche per allargare gli spazi democratici e porre le basi per un’ incisivo processo riformatore. Non essendo una forza di sinistra la sconfitta cocente del Pd non è la sconfitta della “sinistra” perché questa non c’è e sarebbe una forzatura ridurla alla testimonianza di Fratoianni e Bonelli oppure alla sopravvivenza dimezzata dei 5Stelle i quali, tutto sommato , sia detto per inciso, hanno retto meglio rispetto alle previsioni costituendosi in un partito anche esso personale ,quello di Giuseppe Conte, archiviando definitivamente, così sembra, Beppe Grillo e dintorni. Inizia, quindi, la seconda repubblica. Sarà certamente populista, ma non avremo un nuovo populismo. La politica italiana ha fatto un salto all’indietro, s’intende, ma questa volta a Palazzo Chigi avremo una destra vera; anzi, saremo l’unico Paese in Europa ad avere un governo partorito dalla più pura genealogia di destra, discendente diretta dal regime sconfitto dalla seconda guerra mondiale visto che nessun governo di destra in Europa ha antenati fascisti. E’ un frutto, sicuramente, del progressivo sfarinamento dello spirito costituzionale, delle ragioni della Repubblica e del senso delle basi storiche sulle quali si fonda la nostra democrazia avviatasi ad essere anch’essa illiberale. Non sembra aver avuto impatto alcuno sull’elettorato italiano il legame tra Fratelli d’Italia e il fascismo e se lo si è ritenuto praticamente irrilevante ciò significa che si ritiene altrettanto irrilevante l’antifascismo – quello concepito senza trattino – quale dato politico fondamentale della nostra democrazia repubblicana. In tale processo si registra un vuoto di pensiero, culturale e politico al contempo e, considerata la mobilità dell’elettorato, anche civile. Anche questo è un frutto vincente del populismo che ha messo in ridicolo la democrazia e i suoi istituti, considerando il Parlamento alla stregua di una “scatoletta di tonno”, quello di prima la riduzione dei componenti come troppo costoso e ipertrofico. Con la vittoria della destra, di questa destra, nasce davvero la seconda repubblica perché si instaura un clima nuovo in quanto sembra finito il rapporto tra la cultura antifascista quale fondamento della Repubblica; la cultura fondatrice sarà travolta, la Costituzione che ne è espressione sarà modificata e considerato che la semina populista si fonda sulla identificazione tra il leader e il popolo cambiando con ciò tutte le derivazioni istituzionali e gli equilibri che ne conseguono che sono oltremodo delicati, chiamati a conformarsi alla nuova struttura istituzionale si modificherà lo stato di diritto tramite – il tentativo ci sarà – di fare dell’Italia una Repubblica presidenziale. Sarà il segno della “democrazia illiberale” di cui dicevamo prima. La conquista del potere porterà a un vero e proprio cambio di sistema; vi sarà un’Italia alternativa che risolverà in senso autoritativo la mancanza di politica e di soggetti, quali i partiti, aventi il “mandato politico”. In fondo è il frutto del vuoto cui non si mise, irresponsabilmente, mano dopo la grande crisi della fine anni ‘90 La leader dei Fratelli d’Italia del rapporto con il fascismo non ha mai voluto parlare; ha sempre sorvolato sulla memoria di un Paese verso un regime liberticida che ha portato morte, vergogna, guerra. Per FdI tutto ciò è superato, ma nessuno di loro, a nessun livello, ha mai spiegato come sia avvenuto il superamento insistendo sul dato pragmatico di essere giudicati dal fatti. E allora rimaniamo ai fatti, di oggi. Essi ci dicono che la Meloni è dalla parte di Orban contro le decisioni censorie dell’Unione; che è dalla parte del governo reazionario polacco; che tifa addirittura – buon sangue non mente – per i postfranchisti spagnoli di Vox e che non è mancata agli incontri dei repubblicani americani che applaudivano Donald Trump. E’ un presente che spaventa l’Europa perché i comportamenti di simpatia della leader verso le situazioni sopracitate vanno contro i principi di democrazia liberale cui si ispira l’Unione, contro l’allargamento dei diritti e della solidarietà tra i popoli che nella stagione acuta del Covid sembrava avesse trovato una sua concreta legittimità a livello continentale seguita poi dall’atteggiamento nei confronti della guerra russo-ucraina. I suoi compari sono Matteo Salvini – uscito assai, ma assai malconcio dalle elezioni – e Silvio Berlusconi per i quali l’amicizia con Putin va al di là della parole di convenienza dettate dalla contingenza. Per la coalizione guidata dalla Meloni la prova del governo non sarà facile; la sua natura porterà a una governabilità traballante. La narrazione dei governi dal 1944 a oggi ci dice anche come deficiti una cultura pubblica pro stabilità e il fluttuare del voto popolare lo conferma. Meloni ha detto che “per l’Europa è finita la pacchia”. In tanti si chiedono cosa vuol dire “la pacchia” dal momento che, almeno da un punto di vista del finanziamento ricevuto dall’Italia per la Next Generetion Ue, esso rappresenta la parte più grossa rispetto a quanto ricevuto da altri Paesi. Si tratta di ben duecento miliardi di euro che la richiesta di revisione dei progetti, più volte avanzata dalla destra, rischia di rimettere in discussione. E ancora: il distaccare l’Italia dall’Unione sulla questione degli immigrati verso i quali si ripropone il “blocco navale” – ma lo sa la Meloni che, con tale espressione, si definisce un atto di guerra? – limitando il tutto a un accordo “ a livello europeo” per registrare i profughi nei paesi in cui transitano. Forse la “pacchia” risiede proprio in queste ultime cose sulle quali anche Salvini brama di mettere di nuovo le mani. Nasce la seconda repubblica e cambia il clima politico-culturale dell’Italia investita da un gelido vento di destra. L’ambito dei diritti sarà tra i primi ad essere colpito. Quello delle donne di disporre del proprio corpo sicuramente figurerà tra i primi ; già avviene in alcune regioni italiane che i consultori siano libero terreno di azione da parte dei movimenti pro-vita, che si affermi la convinzione che i feti di poche settimane siano seppelliti senza il consenso dei genitori, che si continui a ostacolare l’inserimento degli immigrati poiché essi in Italia non vedono riconosciuto nemmeno il diritto alla cittadinanza a chi vi nasce e va scuola spesso discriminati da regolamenti comunali vergognosi e fuori norma come quello in atto in un comune della provincia di Teramo che nega ai bambini figli di immigrati i diritti di tutti gli altri. E poi, i diritti della comunità Lgbtq che può abbandonare la speranza di avere in questa legislatura una legge che la salvaguardi dalla violenza e dall’odio come pure coloro che aspettavano una legge sul suicidio assistito fortemente avversata da tutta la destra. Non è stata quindi, quella del 25 settembre, una elezione qualunque. L’Italia diviene l’unico Stato membro nonché fondatore dell’Europa governato da un partito che ha nel proprio simbolo la fiamma del fascismo. Umberto Eco parlava di “fascismo eterno” e forse torna calzante la definizione gobettiana del fascismo come “autobiografia della nazione”. Pensiamo: il 28 ottobre saranno cento anni della marcia su Roma, che dirà Giorgia Meloni? E il 25 aprile dell’anno prossimo? Sarà la festa dalla Liberazione del regime da cui ella discende. Non è una curiosità sapere cosa dirà, bensì un legittimo interrogativo dal cui scioglimento dipendono e derivano tante importanti questioni per una Repubblica nata dalla Resistenza. Arriva la seconda repubblica, governa la destra. Da sottolineare il distacco dei cittadini dalla cosa pubblica visto che l’astensione è aumentata di ben 9 punti. Un calo del genere tra due elezioni non si era mai verificato in Italia; con il 64% dei votanti siamo uno dei Paesi europei con la più alta stensione dalle urne. Astensione c’è sempre stata, a dire il vero, ma mai così alta ed è significativo che, in questi anni, si registra una crescita dell’astensione dopo la stagione dei governi tecnici. Questa volta, però, abbiamo una novità: che il fenomeno è particolarmente rilevante nel Sud con la conseguenza che il divario, già abbastanza alto tra questa parte e il resto del Paese è divenuto ancor più accentuato. Le ragioni sono molte, sicuramente vi è l’inconsistenza dei soggetti politici, ovvero la mancanza dei partiti che genera la debolezza della politica. Si era pensato che abbassare l’età – da 25 a 18 anni – per poter votare anche per il Senato potesse riavvicinare i giovani all’interesse politico, ma oramai l’avvicinamento alla politica non avviene più come una volta nelle sezioni, nei circoli, nei gruppi organizzati, ma solo via social media i quali non sono e non possono essere sostitutivi dei partiti. La lezione che se ne ricava è facile. Interessare e riavvicinare alla politica è una fatica inutile se non c’è la politica; il problema non si può risolvere con norme amministrative anche perché non esiste nessuna soluzione tecnica che risolve i problemi politici. Occorrono partiti veri, credibili, con capacità di cultura, di ideologia e di organizzazione i quali, in maniera oltremodo seria, mettano le mani nonché la testa nella grande questione della disaffezione alla politica e dell’educazione alla democrazia. Il dato dell’astensione ce lo dice con chiarezza, ma se così non sarà il fenomeno si incrementerà. Di partiti veri, però, non se ne vede nemmeno l’ ombra in lontananza. Chi si pone il problema di ripensare la democrazia italiana è paradossalmente la destra pronipote politica del fascismo con la proposta della trasformazione da Repubblica parlamentare a repubblica presidenziale. Essa ha, nonostante tutto, un’identità e una sua idealità. Sì è proprio seconda repubblica. Infine, poiché crediamo ai maestri vogliamo chiudere con Piero Gobetti riportando un suo giudizio dell’ottobre 1924: “Sempre bisogna che le nazioni trovino l’ora dell’esame di coscienza, che sappiano misurare la loro sensibilità morale a costo di aprire crisi dolorose e totali. Né ci si attribuisca preoccupazione di astratti moralisti: in verità tutta la politica è possibile soltanto a patto che sappia trovare nei momenti solenni le sue origini di rigorismo e di rivoluzione morale.” Per le forze della democrazia italiana l’ora dell’esame di coscienza è scoccata. Se non ora, quando?

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