venerdì 29 aprile 2022

Giuliano Amato su UE e Nato

Il Venerdì «Ok l’Unione europea a Est, ma non la Nato»: qualche decennio di Ostpolitik spiegato da Amato editorialista di Gianluca Mercuri Giuliano Amato è uno dei molti leader europei — praticamente tutti — che avevano creduto nella possibilità di dialogare con Putin. Non erano tutti pazzi: partivano dalla necessità di dialogare anzitutto con la Russia, un dialogo stabilito in epoca sovietica e che dunque sembrava comprensibilmente assurdo non coltivare in epoca post-sovietica. Era una Russia reduce dal decennio selvaggio dei ‘90, ma (apparentemente) non ancora in preda al putinismo assassino. Non c’era stata ancora la strage di Beslan, Anna Politkovskaja era ancora viva e i suoi libri non avevano avuto il risalto necessario in Occidente, Emmanuel Carrère non aveva ancora spiegato tutto in Limonov. Più di vent’anni dopo, l’allora presidente del Consiglio — oggi presidente della Corte costituzionale, memoria storica di due Repubbliche attraversate con una sagacia sbrigativamente scambiata per cinismo, il Talleyrand del craxismo ma in realtà coscienza critica di ogni possibile riformismo di sinistra, papabile ogni sette anni al Quirinale e sempre rimasto il più autorevole dei cardinali — non si capacita di come l’uomo che doveva traghettare il più grande Paese del mondo nel terzo millennio l’abbia affossato nelle tragedie e nelle illusioni del secondo: «Oggi vedo questo Putin irriconoscibile, gonfio, che dice delle cose deliranti e compie azioni terribili. Mi ricordo quando nel giugno del 2000 il neopresidente della Federazione russa mi venne a trovare a Palazzo Chigi: era giovane e parlava degli interessi comuni che avremmo dovuto valorizzare per organizzarci insieme. Ecco, quell’opportunità è andata perduta. Lui ora sta sbagliando tutto e trovo intollerabile qualsiasi tentativo di giustificazione. Ma io avverto il peso di un fallimento europeo e dell’intero Occidente». Appuntiamoci questi tre concetti che fanno da pilastri all’intervista di Amato al Venerdì: Putin «sta sbagliando tutto, «qualsiasi tentativo di giustificazione è intollerabile». E però: c’è «un fallimento europeo e dell’intero Occidente». Vale la pena parlarne, mentre Putin invade, bombarda e uccide? Con queste premesse sì, con questa chiarezza certo. Amato fa una distinzione netta: è stato giusto allargare a Est l’Unione europea, è stato sbagliato allargare a Est la Nato, allargarla così tanto, «fino ai confini». Lo spiega così: «L’Ue non poteva lasciare fuori Paesi che facevano parte della storia dell’Europa. Come si fa a escludere la Polonia? Le ballate di Chopin sono un nostro patrimonio. In Lettonia è stato scritto Il Gattopardo». Al tempo stesso, «alla metà degli anni Duemila non era più pensabile un rapporto tra la Nato e la Russia modellato sul rapporto tra la Nato e l’Unione Sovietica. Una volta terminata la guerra fredda, era necessario identificare gli interessi comuni tra europei e russi. E visto che loro erano alla ricerca di una collocazione, bisognava creare un sistema di sicurezza edi difesa comune fondato sugli interessi vitali di europei, russi e americani». Cosa lo impedì? «Diffidenze di ordine politico, sia in Europa che in America. E diffidenze militari nell’organizzare la difesa in modo diverso dall’assetto lungamente sperimentato. Quindi l’errore non fu ampliare i margini dell’Unione fino alla Russia come fece Romano Prodi. Al contrario, l’errore fu essere rimasti chiusi in noi stessi. E aver portato la vecchia Nato ai confini. Fiona Hill, bravissima consigliera di diversi presidenti americani, ha raccontato i suoi colloqui alla Casa Bianca nel 2008 con George W. Bush e con il vicepresidente Cheney. Prima del vertice della Nato a Bucarest cercò di dissuaderli dall’includere nell’alleanza militare Georgia e Ucraina, scatenando l’ira di Cheney ela reazione contrariata di Bush, il quale replicò dicendo che lui amava la “diplomazia vigorosa”. Quanto vigorosa l’avevamo visto qualche anno prima con la sciagurata invasione dell’Iraq. Sappiamo poi come sono andate le cose». Sono andate così: Ucraina e Georgia non sono entrate ma la riluttanza europea non ha compensato le aperture americane, l’effetto-calamita verso Ovest non si è attenuato, in nome dell’Ovest l’Ucraina si è prima spaccata e poi ricompattata, la profezia della necessità di tutelarsi da Putin si è autorealizzata, ma troppo tardi. Non può non colpire che l’analisi di Amato vada in direzione contraria rispetto a quella del leader del centrosinistra ufficiale: il giorno dopo l’invasione, il 25 febbraio, a precisa domanda di Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa — «La Nato si è allargata troppo a Est provocando questa reazione?» — il segretario del Pd Enrico Letta rispose così: «È l’opposto. Quello che è successo dimostra che la Nato doveva far entrare l’Ucraina prima». In quegli stessi giorni, Paolo Mieli e Federico Rampini scrissero sul Corriere editoriali molto fermi contro la tesi «meglio non troppa Nato a Est», il cui caposcuola — in un testacoda divertente che è sempre utile ricordare — è Henry Kissinger. L’ex segretario di Stato Usa, l’«Amerikano» per antonomasia, ha predicato (invano) le stesse cose di Amato: Ucraina nella Nato no ma Ucraina nell’Unione europea sì. Che poi era l’auspicio-previsione che il nostro Franco Venturini espresse nel suo ultimo articolo. Amato cita come paradigmi di questa politica il socialista spagnolo Javier Solana, ai tempi in cui fu Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue; e la Ostpolitik, «ossia una politica di distensione verso Mosca»: tendenze e pratiche dell’eurosocialismo e poi di leader come Prodi e Merkel, fino a Macron. È stato insomma il credo dell’establishment europeo per decenni, e oggi il punto è capire se non ci abbia creduto abbastanza o ci abbia creduto troppo.

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