domenica 15 marzo 2020

Paolo Bagnoli: Nel ventennale della scomparsa di Craxi

Nel ventennale della scomparsa di Craxi 5 Marzo 2020 pubblicato da Il Ponte Bettino Craxidi Paolo Bagnoli Il ventesimo anniversario della morte di Bettino Craxi, scomparso ad Hammamet il 19 gennaio 2000, ha riempito non solo per alcuni giorni le pagine dei giornali e gli schermi televisivi, ma ha visto una considerevole produzione letteraria e anche un film. Per giorni pertanto di Craxi si è parlato molto. Era scontato che così fosse, ma, a ben vedere, agli atti non rimane alcun giudizio politico di fondo. È prevalso il personaggio: soprattutto si è parlato dei suoi ultimi mesi di vita, ma non si può dire che si siano fatti i conti con ciò che egli ha rappresentato per le sorti del socialismo italiano che con lui è praticamente scomparso. Non si è affrontato ciò che ha rappresentato e prodotto l’esperienza craxiana, ma oggettivare la stagione di Craxi è assolutamente necessario per rimuovere un immenso macigno che ha reso praticamente impossibile rimettere in discussione le possibilità di ripresa – meglio sarebbe dire di rinascita – di un soggetto socialista cui si lega, necessariamente, la sinistra, sia quella di origine classista sia quella di matrice laica. Va detto inoltre che la questione socialista si intreccia in Italia con il problema della democrazia che, fallimento dopo fallimento di soggetti politici e di alleanze, vaga sbandata sotto gli urti forti del populismo, in un clima sociale caratterizzato da razzismi, rigurgiti fascisti, disgregazione di corpi dello Stato, disprezzo del parlamento, marginalità della Costituzione, nonché da una crisi sociale acuta, dovuta alla mancata crescita e all’aumento della povertà. Insomma, una situazione segnata dallo sfarinamento della Repubblica e dello Stato di diritto. La vicenda Craxi ha rappresentato il tourning point della cosiddetta Prima repubblica. Dopo, nulla è stato più come prima, poiché con Craxi – fu egli stesso a denunciarlo nel suo ultimo discorso in parlamento – questione politica e questione giudiziaria si intrecciano. La prima cade sotto l’incalzare della seconda, forte e martellante, avendo la magistratura assunto un vero e proprio ruolo politico nella sua autorappresentazione di riserva morale della Repubblica. Naturalmente si trattava di un’autorappresentazione che, con il caso Palamara, che ha messo in crisi il Csm, sembra essersi notevolmente sgonfiata, anche se la questione propria del Csm è rimasta aperta. Che il sistema politico si finanziasse con la malversazione del denaro pubblico era cosa nota: questo era il problema politico che andava tenuto diviso dal problema giudiziario. Da qui la questione morale di cui, soprattutto dopo il 1989, ci fu una sottovalutazione, dato il peso che questa aveva assunto. Naturalmente i giudici avevano l’obbligo di perseguire i reati e chi li compiva, restando negli ambiti propri della giurisdizione e non assumendo comportamenti impropri. La prima questione, quella politica, doveva essere affrontata dalla classe politica che, invece, si rese latitante, segnando la sua subalternità alla magistratura. Craxi disse quanto era noto a tutti: rimase solo e divenne il simbolo del male morale che aveva colpito la politica italiana. Alla guida del Psi Craxi era venuto via via accentuando un proprio profilo carismatico che, a ben vedere, andò a suo danno e a danno di una struttura di partito debole sul piano organizzativo. Ciò favorì la nascita di tanti potentati locali che perseguivano il rafforzamento di un potere personale, con le conseguenze cui abbiamo assistito. Mario Chiesa, definito da Craxi un «mariuolo», altro non era che un esempio di tale degenerazione. E la ricerca di risorse per le correnti, sia a livello centrale che periferico, provocò una specie di bulimia. Il sistema era malato e la gestione dei finanziamenti, che da sempre era data per scontata, nel corso degli anni ottanta subì una torsione personalistica che andava di pari passo con l’idea che Craxi aveva del rapporto tra il partito e il governo. Per dirla in breve, il naufragio del partito e del suo leader non fu un qualcosa di inconsapevole, ma quasi la logica conseguenza di un meccanismo consolidato. Nella “craxeide” di libri e di articoli, cui abbiamo accennato, sorprendentemente il Psi è assente, dando per scontato che, essendo praticamente Craxi il Psi, era naturale che, caduto lui, cadesse anche il partito. Questo è il punto da cui partire per fare i conti con Craxi, ossia con le ragioni per cui sotto la sua leadership il Psi divenne amorfo e non riuscì a vivere quale entità autonoma, tanto che, al momento dello schianto, quando oramai era chiaro a tutti che si andava verso il baratro, non ci fu nessuno del gruppo dirigente che cercasse di salvare il partito. E questo perché forse il partito si era “schiantato” ancor prima di Craxi. Fatto si è che oggi appare praticamente scontata la riduzione di un secolo di vita del partito ai diciassette anni nei quali Craxi è stato un dominus sempre più incontrastato. Ora, se a partire dal Congresso di Torino del 1978 – quello dell’autonomia e dell’alternativa – il partito, nella sua quasi totalità, si era sempre più “craxizzato”, ciò può voler dire una cosa sola: che si era via via abbandonata la sua missione storica, cioè quella di una forza che lotta per ideali che ne giustificano il nome; che si dovevano allargare gli spazi di libertà e di democrazia e inserire elementi di socialismo nel sistema per una positiva evoluzione della giustizia sociale; che l’interesse collettivo dovesse prevalere sui particolarismi, contro ogni sfruttamento dovuto all’egoismo del profitto o della rendita. Se questo è il parametro proprio di ogni soggetto socialista, va detto che Craxi non lo seguì. Se il partito fosse stato su questo binario, non ne avrebbe condiviso la sorte e, per quanto nelle riflessioni fatte su di lui si sia per lo più esaltato un percorso di vita politica teso a dimostrarne la coerenza, alla fine, ciò che conta è il saldo finale che ci dice due cose. La prima, che il Psi non c’è più; la seconda, che non si può più dire, come una volta, che “socialista” equivale a “galantuomo”. Aggiungiamo che oramai il termine “socialista” è per lo più bandito dal dibattito pubblico perché continua, nel parlare comune, a essere adoprato con valenza spregiativa. Questo è il saldo finale caricato dal fatto che, nel pieno rispetto degli aspetti umani, l’essersi rifugiato Craxi in Tunisia non è giustificabile da nessun punto di vista. Il lascito, in ultima analisi, è quello di un’ipoteca negativa assai pesante e lunga a durare, che renderà molto difficile poter riparlare di socialismo. Nel saldo c’è la cancellazione dalla politica, dalla storia e dalla democrazia italiana di una forza che tanto ha dato e molto ha significato. Tralasciamo ogni considerazione sul senso dell’autonomismo perseguito da Craxi. L’uomo è stato ritenuto un po’ da tutti il delfino di Pietro Nenni, ma questi su di lui dà nei Diari giudizi molto cauti. Come ha ricordato Ugo Intini, fu sotto la segreteria del Psi milanese di Guido Mazzali che Craxi crebbe politicamente e, a nostro avviso, l’autonomismo nenniano fu assai diverso dal suo, così come la politique d’abord, di nenniana memoria, fu altra cosa dal suo comportamento politico e dalla sua “maestria tattica”. Nella politique d’abord di Nenni sta, infatti, un intento strategico: cogliere l’obiettivo principale, senza curarsi di nient’altro se non di centrare l’obiettivo medesimo. Poiché i declini politici si preparano in anticipo, a quando possiamo far risalire l’inizio del declino del Psi? Vediamo: Craxi conquista, grazie all’alleanza con la sinistra lombardiana, la segreteria nel 1978 sulla linea del progetto socialista per l’alternativa. Tale progetto è abbandonato tre anni dopo, nel 1981 – anno della vittoria delle sinistre in Francia con Mitterrand e dell’avvio della presidenza Reagan negli Usa – al congresso di Palermo in cui si abbandona la linea dell’alternativa a favore dell’alternanza e della governabilità: un congresso che segna l’accentuazione leaderistica di Craxi. È da qui che si origina l’involuzione del Psi. Secondo Rino Formica, l’errore politico fu quello di scegliere Scalfaro e Amato, mentre per Claudio Martelli l’errore decisivo fu l’essersi legato dal 1987 alla Dc. Dal 1983 al 1987 Craxi è alla guida del governo, ma questo periodo andrebbe analizzato a parte. È il Congresso di Palermo che segna l’inizio del declino poiché la nuova linea marca l’abbandono di ogni esigenza ideologica e di ogni strategia, portando il Psi, guidato da un leader padrone del partito, a chiudersi nel gioco dei partiti e a puntare sia sull’“alternanza” nella guida del governo sia sulla “governabilità”, facendosi forte del potere di interdizione. Tuttavia Craxi – cosa sorprendente per un uomo che da sempre aveva avuto attenzione alla politica internazionale – non si rese conto che dopo il crollo del Muro di Berlino e dopo il trattato di Maastricht il mondo aveva cambiato paradigma e non era più governato dai partiti politici. E il Psi – da sempre carente di un’organizzazione solida e di una forte strutturazione e reso ancor più fragile dalla decisione di puntare tutto sulla personalità del proprio leader – ebbe un crollo veloce che, a ben vedere, non era proprio imprevedibile. I motivi della crisi strutturale del Psi, i fattori della sua involuzione politica, cioè gli effetti della leadership craxiana, vengono denunciati da Tristano Codignola su «Il Ponte» (Una protesta una proposta, dicembre 1981), a motivazione del dissenso di fondo che lo portano alla rottura con il partito. Codignola denuncia lo stato del partito, individuando nella «condizione della democrazia interna, da un lato» e nella «questione morale dall’altro» i due fattori degenerativi del Psi. Sono i dati negativi che imputa a Craxi e al partito, con un’opposizione interna di comodo perché quella reale ha subito uno «strangolamento». Giudizi duri sulla condizione reale del partito che, secondo Riccardo Lombardi, ha subito una «mutazione genetica». E Codignola condivide il giudizio, lanciando l’iniziativa per un’alternativa di sinistra con la ricostruzione di un polo identitario socialista. Nella mancanza di democrazia interna Codignola identifica un rischio che si proietta, nell’idea craxiana della Grande Riforma, su tutta la democrazia italiana, già gravata da un ulteriore squilibrio per lo «spostamento del Psi nell’area moderata, in omaggio al principio della governabilità». Codignola non poteva prevedere quello che sarebbe accaduto al Psi, ma la prevista «mutazione genetica» non poteva non comportare la perdita degli ideali caratterizzanti il socialismo con le conseguenti derive dissolutorie del partito. Egli è stato il primo socialista a fare i conti con il fenomeno Craxi e, a considerare quello che si è pubblicato nel ventesimo della sua scomparsa, è rimasto anche l’unico. Codignola era mosso dalla preoccupazione per il futuro del socialismo italiano, al di là delle forme organizzative o delle sigle che questo potesse assumere. Una preoccupazione culturale prima ancora che politica, non presente sulla scena, al di là di rarissime eccezioni. E tuttavia fare i conti con il craxismo è fondamentale per una rinascita della sinistra. Il Psi non può rinascere, ma il socialismo italiano non deve morire. Socialismo, ha scritto Carlo Rosselli, è «la filosofia della libertà». Dal ventennale della scomparsa di Craxi invero non ci aspettavamo grandi cose e dubitavamo che si desse vita a un ripensamento critico. Speravamo tuttavia che si affermasse che non tutta la storia del Psi è finita con Craxi e, soprattutto, che, rispetto alla sua vicenda, il socialismo è altra cosa.

23 commenti:

luigi ha detto...



Mamma mia ... oggi tutta robaimpegnativa.
Ora mi tocca il dialogo con il compagno Bagnoli.
Da storico mi pare che storicizzi assai ottimamente la parabola
politica e peggio ideologica del pragmatismo craxiano.
Anche l'alto riferimento al Manifesto Proudhon è stato utilizzato
biecamente in maniera strumentale ... a moh di clava contro i
comunisti ... certo trinariciuti.
Dunque mero esercizio del potere personale che ha caratterizzato il
circuito pretoriano craxiano ... furbi arrivisti che in nome del
socialismo arraffavano posti e financo a pretendere la legalità delle
tangenti, personalmente toccato con mano quando ero semplice
consigliere (per quota corrente achilliana del 5%) nel comitato di
gestione usl xxv di Genova (unica senza ospedale) eppure un craxiano
arrogante ebbe la sfrontatezza di proporla. Venne bacchettato
duramente assieme al sottoscritto e presidente buonanima Boleto
vecchio PCI.
Ecco la politica del PSI con Craxi fu l'apoteose dell'arroganza del
potere da parte di tacche e mezze tacche che però avevano conquistato
con i voti ai congressi il potere nel partito. Con manuale Cencelli
alla mano tra correnti prima di Craxi ... io col 5% corrente Achilli
sono entrato nel comitato di gestione USL XXI Valbisagno.
Dopo con Craxi nessun Manuale Cencelli ma tra vari clan ex correnti
tutti oramai craxiani. Per me nessun problema sotto il profilo
personale con mio gratificante lavoro di psicologo nelle USL.
Ma il contesto era deprimente tutto quello indicato da Bagnoli.

Governabilità grande riforma ... mito di Mitterand ... ma fuori tempo
massimo.
Come qui sapete sono cultore e partigiano della Costituzione.
Ma lo sono diventato dopo lo scioglimento del PSI per necessità di
ripensare cosa mai diavolo fosse successo dopo il 1989.
Mentre nel periodo anni 60-70 alla Costituzione si faceva
riferimento, noto a tutti qui le riforme di struttura, no riformismo,
secondo Costituzione di Riccardo Lombardi la nazionalizzazione
dell'ENEL e perchè no lo statuto dei lavoratori e riforma sanitaria,
ebbene tutti rimandi alla attuazione della Costituzione, con Craxi
inizia il controriformismo costituzionale, separazione della sanità
dal sociale, governabilità comunque sia, divorzio banca d'Italia da
Tesoro "liti tra comari" tra Formica e Andratta/Ciampi. La firma del
trattato di Maastricht.
Craxi, il blairismo italiano in atto.
La Costituzione è svanita dall'orizzonte già con Craxi e pure
dissolta con la liquidazione dell'IRI tanto di imprese pubbliche
tanto di banche pubbliche in allora il 74% delle banche in Italia.
Ora anche qui nella pur pregevole storicizzazione dell'eclissi del
socialismo in Italia e nell' Europa neoliberista per cancrena
blairiana la parola Costituzione non l'ho rintracciata.
Il partito socialista in italia sono propenso a credere che non
rinascerà ma può rinascere quanto di socialismo c'è rimasto nella
Costituzione italiana ... liberalsocialista di cui all'art.3 e
marxista nella prima parte titolo terzo rapporti economici (da art.35
a 47).
Ben oltre il keynesismo ben oltre il riformismo, che è socialista o
non è (Tamburrrano) ... attuare la Costituzione ... la via - di mezzo
- italiana al socialismo.
Un dialogante saluto.
Luigi Fasce - Genova
www.circolocalogerocapitini.it

maurizio ha detto...

Chi mi conosce sa che non sono un apologeta acritico di Craxi cui anch'io imputo non pochi difetti ed errori. A cominciare dalla personalizzazione del partito, per cui Craxi e il PSI ad un certo punto divennero sinonimi, con il suo inevitabile corollario: una gestione sostanzialmente autoritaria del partito che determinò l'allontanamento di dirigenti di grande spessore e qualità, da Codignola a Giolitti, da De Martino a Mancini. Inoltre fu un grave errore non aver ceduto ad altri (ma a chi?) la segreteria del partito quando divenne Presidente del Consiglio dei Ministri come lo fu aver lasciato briglia sciolta a tanti ras locali in cambio della loro fedeltà. Questo causò fenomeni spesso deteriori, ma nessuno mi venga a dire che il PSI non era inquinato dal punto di vista affaristico e clientelare già prima della sua segreteria. Il fatto è che Craxi aveva una sua strategia, giusta o sbagliata che fosse, ma che lo strumento per realizzarla era assai debole e soprattutto a suo parere poco affidabile.

maurizio ha detto...

Infatti Craxi non aveva una grande considerazione del suo partito ed era consapevole di essere un segretario eletto quasi per caso e che per molti doveva essere di transizione. Alla fine del 1979 la sinistra del partito cercò di metterlo in minoranza, ma Craxi respinse l'offensiva perché De Michelis passò dalla sua parte. Va ricordato che il 20 dicembre di quell'anno, in un Comitato Centrale molto teso e difficile, Nenni confermò la sua piena fiducia al segretario e, andando a casa prima della conclusione perché molto anziano stanco e malato, gli disse di non esitare a chiamarlo se il suo voto fosse risultato determinante. Fu il suo ultimo atto politico (come sappiamo morì poco dopo) e nell'occasione il vecchio massimalista si schierò con Craxi.
Ho voluto ricordare questa vicenda, che sicuramente aumentò la diffidenza del leader socialista e lo indusse a successive decisioni spesso discutibili, perché, al netto dei difetti che ho prima ricordato, non mi piacciono le critiche troppo facili, spesso astratte e non sempre veritiere. Il precedente intervento di Luigi Fasce ne è un esempio quando accusa Craxi di scelte che furono di altri come il divorzio fra Tesoro e Banca d'Italia, cui si oppose duramente Rino Formica. Ma Formica ed il PSI furono lasciati soli dagli altri partiti della maggioranza, cui la cosa andava bene, ed il PCI non disse mezza parola. Del resto Andreatta era fra i leader di una sinistra DC che non era più quella di Donat-Cattin e che era gradita al PCI e su Ciampi sarebbe ora di lasciar perdere la retorica per parlare della sostanza liberista dei suoi comportamenti. Posso sbagliarmi, ma non credo che Baffi si sarebbe adeguato in modo simile. Comunque il tutto avvenne quando Presidente del Consiglio era Spadolini e, cosa gravissima, senza alcun dibattito parlamentare. Inoltre Craxi fu sempre rispettoso della Costituzione e delle istituzioni dello Stato. Parlò forse con troppa vaghezza di una Grande Riforma mai ben definita, ma il suo riferimento era la Francia e il suo modello Mitterand. In ogni caso non avrebbe mai commesso forzature come fecero altri in seguito. Anche su Maastricht e sulla moneta unica pare avesse molti dubbi, ma le pressioni erano fortissime ed anche gran parte del PSI, guidata da Amato e Martelli, condivideva ormai quella scelta.
In poche parole ho cercato di dire che tante critiche si possono muovere a Craxi, ma che è assurdo e sbagliato accusarlo di moderatismo affermando che sia stato il precursore di Blair. Craxi in realtà fu sempre un convinto socialdemocratico europeo e un fautore dell'economia mista. Era antiliberista e disse con chiarezza che un moderno socialismo liberale, come quello che auspicava, nulla aveva a che fare con il capitalismo senza regole e limiti. Inoltre è noto che aiutò finanziariamente le opposizioni democratiche dei Paesi dell'Europa dell'Est, dell'America Latina ed anche l'OLP perché stava in Occidente ma non da servitore degli USA. Ed era per due popoli e due stati in Medio Oriente, seriamente e non come slogan.
Da Hammamet Craxi ha detto cose vere e giuste sull'Europa e questo aiuta a capire il perché di tanto accanimento contro di lui e contro il PSI. Che si dissolse molto in fretta - è vero - ma non diversamente dalla DC, dal PRI, dal PLI e dal poco che restava del PSDI. In ogni caso il pessimo Paese in cui viviamo dal biennio '92-'94 non è opera di Craxi ma dei suoi nemici, a cominciare dagli ex comunisti. Se poi qualcuno tira in ballo Berlusconi, con cui Craxi fu sicuramente troppo generoso, è facile rispondere che senza quelle vicende il Cavaliere di Arcore avrebbe continuato ad occuparsi di televisioni e di ragazze allegre e solo di quelle.
Maurizio Giancola

franco ha detto...

Anche per un comunista all'epoca rimasto per molto tempo fuori dal PCI molte delle osservazioni di Giancola appaiono condivisibili. Su di un punto, in particolare, ci sarebbe ancora adesso da riflettere: la fretta con la quale fu sciolto il sistema dei partiti che avevano retto la fase della ricostruzione, del boom economico e della "modernità" susseguitesi in Italia nel dopo guerra. Sono tre le cause che sono attribuite allo svilupparsi di questo fatto: la caduta del muro, Tangentopoli e Maastricht. Il nodo vero, almeno a mio avviso, riguarda lo scioglimento del PCI che rappresentava, ancora più della DC , l'architrave del sistema fondato - a suo tempo - sulla logica dei blocchi. Lo scioglimento del PCI avvenuto come ben sappiamo al di fuori da una scelta di adesione alla socialdemocrazia ma semplicemente in nome della "necessità di sblocco del sistema politico" (avendo all'interno spinte confuse ed eclettiche: dal post - comunismo di D'Alema al kennedysmo di Veltroni) alterò irrimediabilmente il mercato dell'offerta politica provocando l'affollarsi dei propugnatori del bipolarismo, dell'alternanza e del maggioritario. Con tanti voti a disposizione si verificò una vera e propria frantumazione del sistema politico accentuando gli elementi già presenti di personalizzazione e di conseguente destrutturazione dell'intero sistema pensando alla modifica del sistema elettorale quale vero e proprio punto di rottura. Un equivoco di grandissima portata pari a quello riguardante il tipo di Unione Europea che si stava costruendo sulla base dei Maastricht (cui si aggiunse la frenesia dell'allargamento a Est considerata sede di un allargamento indiscriminato nella logica dei consumi). Il PSI, nel periodo della segreteria di Craxi, ebbe il torto di accentuare la logica del sistema verso la governabilità, favorendo alla fine un processo che poi si sarebbe trovato a contrastare riducendosi in una sorta di "fortezza del potere" (tralascio la valutazione su Tangentopoli, cui il PSI avrebbe potuto porre rimedio affrontando, dieci anni prima, con coraggio il "caso Teardo" già diverso da quello "Zampini - Biffi Gentili" ma su questo forse sono eccessivamente ottimista : la macchina era già in moto e forse lanciata in maniera irresistibile). In ogni caso il punto mi sembra proprio questo dello scioglimento del sistema dei partiti. Ovviamente un punto irrecuperabile per via del mutato rapporto tra struttura e sovrastruttura con il peso della tecnologia sulle scelte politiche ormai giunto a livelli tali da produrre contraddizioni non analizzate e delle quali non si riesce a leggere le necessità di rappresentanza. Ciò nonostante le esigenze "storiche" di ricostruzione a sinistra nel senso di lotta allo sfruttamento, di uguaglianza, solidarietà sociale ci stanno tutte e lo si può ben evincere verificando ciò che sta accadendo in questi giorni vissuti in maniera del tutto inedita anche da noi che abbiamo vissuto la coda della guerra mondiale. Grazie per l'attenzione Franco Astengo

Luciano ha detto...

Ancora una volta sono totalmente d’accordo con Maurizio Giancola.

Aggiungo solo due cose sull’articolo di Paolo Bagnoli:

1) “a quando possiamo far risalire l’inizio del declino del Psi?” si chiede Paolo. La risposta per me è obbligata (almeno per ciò che riguarda il periodo repubblicano): il declino del Psi risale al frontismo del 1946-1956. Fu quella scelta catastrofica a fare del Psi una forza minore, subalterna, deviante rispetto a tutti gli altri partiti del socialismo democratico dell’Occidente, confusa ideologicamente. Craxi, pur con tutti i suoi limiti, non si capisce se non lo si colloca dentro il disegno titanico di rimediare a quell’antica maledizione. Con lui il Psi tenta di emanciparsi dalla minorità, esce dalla subalternità, si allinea con la socialdemocrazia europea, ritrova la propria identità ideologica autonoma. Se non ci fosse stata l’abdicazione del 1946-1956 al ruolo di socialdemocrazia italiana, l’ambiziosa e frenetica e certo anche rude opera di “rimessa in carreggiata” svolta da Craxi non sarebbe stata necessaria. Poi è vero che dopo la caduta del Muro di fine 1989 Craxi non capisce più nulla e questo rischia di far perdere di vista ai posteri il significato di tutta la sua strategia ante 1989, ma a mio modesto avviso è un grave errore non storicizzare l’opera di Bettino nelle condizioni date fino a quel momento.

2) È certamente corretto insistere, come fa Paolo, nel ricordare che la storia del socialismo italiano non si riduce a Craxi. Però dobbiamo essere consapevoli di un dato, che a me pare oggettivo. Il recupero del valore della storia del socialismo italiano è inscindibile dal superamento della damnatio memoriae di Craxi. Piaccia o non piaccia, che si sia (stati) craxiani o anticraxiani, se accettiamo la vulgata per cui Craxi avrebbe rappresentato un buco nero, la riduzione del Psi a banda criminale, a veicolo di infezione del sistema democratico, a compagnia di ventura per lo stravolgimento costituzionale, per l’imposizione dell’egemonia liberista, per l’avvento del berlusconismo … allora non ce n’è per nessuno. Se noi per primi non reagiamo a queste ignobili falsità, se non rifiutiamo questa storia scritta dai vincitori, se non denunciamo queste caricature infami, non illudiamoci di recuperare la dignità del socialismo italiano. Dopo 26 anni dalla morte del Psi e 20 dalla morte di Craxi che quella sia un’illusione dovrebbe essere chiaro a tutti.

Un fraterno saluto.

Luciano

Giovanni ha detto...

Caro Luciano,
in amicizia e con la stima e l’affetto che ti porto:
1) tu sconti un pregiudizio negativo nei confronti del Psi dovuto anche alla tua storia personale di socialdemocratico entrato nel Psi nel 1984. Permettimi di dirti che, con tutte le sue ombre i suoi difetti, il Psi ha avuto una storia importante anche prima di Craxi. Se Craxi non è stato un buco nero e la sua vicenda va storicizzata, ciò vale per tutta la storia del Psi
2) Gli errori di Craxi sono cominciati ben prima del 1989. Direi perlomeno dal 1981. Di questo sono convinto come militante e come storico, confortato da testimonianze lucide di chi non può essere certo sospettato di anticraxismo come Rino Formica nell’importante libro Il crollo, pubblicato dalla Fondazione Socialismo. Qui sotto il link. In particolare da leggere le pagine 468 e seguenti.
Un caro saluto
Giovanni

https://www.fondazionesocialismo.it/wp-content/uploads/2015/10/Craxi.Crollo.parte1_.stampa.pdf

giovanni ha detto...

Caro Luciano,

sicuramente, come tu scrivi, “erano consolidate (già prima di Craxi) una prassi consociativa ed una occupazione sempre più pervasiva dei partiti nella pubblica amministrazione e nella vita economica” (la lettera-testamento di Brodolini è un atto di accusa molto forte in questo senso). Tu vedi un legame con la scelta antifrontista e antisocialdemocratica del PSI. Quella frontista termina però nel 1956. E non mi pare che il partito in cui tu militavi, fondato da chi nel 1947 fece quella scelta socialdemocratica, fosse esente da tali vizi, anzi. Inoltre, essi sicuramente si accentuarono con l’unificazione, per come fu condotta. Il problema è che con la gestione personalistica del partito da parte di Craxi quei vizi, al di là delle roboanti parole d’ordine (l’autoriforma del partito: chi l’ha mai vista?) non diminuirono, ma si incistarono ulteriormente. Le pagine di Formica (che temo tu non abbia letto) sono dedicate proprio a questo, e non a singole scelte di politica internazionale.

Ti devo poi correggere su un punto, per questione personale: la minoranza lombardiana non acconsentì alla nomina di Bobo a segretario cittadino. Anzi, fu proprio il sottoscritto a chiedere il voto segreto nel direttivo cittadino (con gran scalpore dei più zelanti tra i craxiani, tra i quali non c’eri certamente tu: a questo eravamo arrivati...). Poi, nel segreto dell’urna, benignamente concessa dallo stesso Bobo, ci astenemmo o annullammo la scheda. Ma tutto ciò poco importa.

Un abbraccio a te ai nostri 250 lettori (tanti siamo: pochi, ma con uno zero in più e buoni).

Giovanni

luciano ha detto...

Evidentemente non mi sono spiegato. Il legame tra i vari handicap che ho descritto e la scelta frontista è di tipo sistemico.

Poiché allora i socialisti, tra Stalin e la socialdemocrazia, scelsero Stalin, tutta la storia successiva della democrazia italiana ne venne condizionata perché se la sinistra è a egemonia comunista non puoi avere alternanza. E senza alternanza alla lunga si produce quel catoblepismo (grazie Barca), quella simbiosi tra controllati e controllori, tra sfera politica e sfera amministrativa … che riproducendosi nei decenni ha dato luogo all’esito del sistema generalizzato delle tangenti.

Il Psdi era più corrotto del Psi, ma questo non c’entra col mio ragionamento. Le virtù ideologiche non corrispondono necessariamente alle virtù morali (vi sono stati criminali sanguinari nazisti e stalinisti che non avrebbero mai rubato un centesimo: meglio se rubavano !).

Ma le virtù ideologiche, in questo caso, avrebbero potuto regalare all’Italia una sinistra normale, e dunque una democrazia normale, e dunque un tasso fisiologico e non patologico di corruzione. Insomma, tutto si tiene ma non nel senso che evidentemente le mie parole ti hanno fatto pensare.

Abbracci a distanza regolamentare.

Luciano

Giovanni ha detto...

Caro Luciano,
immaginavo che questo fosse il senso del tuo pensiero. Ma il problema sta proprio lì: Craxi (non a caso in alleanza con la sinistra lombardiana) partì per sbloccare il sistema. Ma nel 1981 (certo, per la persistenza del fattore K e per la svolta internazionale: abbandono da parte di Mitterrand del programma comune, vittoria di Reagan e della Thatcher) abbandona, con il congresso di Palermo, quel progetto e si converte alla “governabilità” e, con il congresso di Verona, a un’immagine sempre più leaderistica del partito (al passo coi tempi, forse,ma causa non ultima della degenerazione e della corruzione a livello locale: fate quel che volete, purché non mi rompiate i coglioni...). Questo è il senso della chiara critica di Formica, che condivido, e, sostanzialmente, il motivo della sua sconfitta (che è politica prima che giudiziaria, vorrei che non lo si dimenticasse). So già che mi replicherai: ma Craxi non ha mai abbracciato le politiche liberistiche. Vero: ma, anche qui, lo faceva in parte per convinzione e in parte per convenienza. Il decreto sul sistema televisivo (e altri episodi minori, come la Sme) sono lì che parlano (purtroppo).
Un abbraccio
Giovanni

Edmondo ha detto...

Cari compagni,
questo nostro dibattito è davvero interessante, e ve lo dice l’unico (forse) dei 25 lettori citati da Luciano che si trova attualmente in un Paese governato dai socialisti!


Sono anch’io completamente d’accordo con Giancola (il cui intervento è da incorniciare, una volta corretto il refuso di Mitterrand che si scrive con due R) e lo ringrazio in particolare per aver ricordato il Comitato Centrale in cui De Michelis passò, insieme ai suoi amici, con Craxi: fu la vera svolta che consentì (per i successivi 13 anni) al Segretario di diventare dominus assoluto di un Partito che, peraltro, non amava, come già ricordato da altri...


Ringrazio ancora Giancola per avere datato con precisione alla vigilia di Natale 1979 quella (a mio avviso) storica riunione del Comitato Centrale PSI, e il riferimento a Nenni (morto poi il 1 gennaio 1980) toglie ogni dubbio: pochi giorni dopo, nel gennaio 1980, si tenne a Siena il Congresso Fgsi e io, che all’epoca ero nella sinistra lombardiana, entrai nella Direzione nazionale della giovanile. Beh ricordo in quella Siena, gelida e innevata, l’intervento - come sempre entusiasmante - di Riccardo Lombardi: chissà perché, ero convinto che il Congresso Fgsi si fosse svolto pochi giorni prima dello ‘storico’ Comitato Centrale PSI, invece fu il mese dopo e i giochi ormai erano fatti, a distanza di 40 anni la memoria può avere qualche falla, vero?


Fraterni saluti e grazie per la lettura


Edmondo Rho

luigi ha detto...

Caro compagno Giovanni Scirocco, ho preso sul serio il tuo invito e
ho letto per intero INTERVISTA A RINO FORMICA (da 465 a 485).
Uno sforzo non da poco per vedermi confermato che abbiamo vissuto
molti anni della nostra vita nel PSI ai margini di una lotta
fratricida per la conquista del l potere meramente personale
(l'ultimo che regge ancora oggi è Amato sempre in attesa da ottenere
ad ogni costo della conquista più ambita, di essere eletto capo dello
Stato) e non è da meno la paralle lastoria dei compagni del PCI
affetti più che di marxismo di generico complesso di superiorità e
brama di potere. Un esempio per tutti Napolitano che il diavolo se lo
porti all'inferno.
Ora siamo qui tra di noi pochi a beccarci come i polli di Renzo
affetti solo da narcisismo intellettuale (potere vero nisba), qui si
confrontano le posizioni craxiani contro craxiani e si continua a
perdere di vista il che fare ? quello che serve oggi.
Io insisto che un approdo in vista c'è: l'attuazione della
Costituzione, che pur all'interno delle lotte per il potere personale
prima del golpe neoliberista anni 90 - era condotta forzata - con
modello economico misto a trazione potere pubblico - seppure con
spartizione di posti e probende per i partiti dei governi nazionale,
ma anche dei governi locali.
Dopo il 1989 sappiamo chi distribuisce i rimasugli di posti e
probende è la cupola neoliberista che ha assoldato le forze
politiche al governo non solo dell'Italia ma dell'intera Ue.
Eppure dopo oramai più del ventennio di dittatura neoliberista
foriera di gravissima disuguaglianza sociale e distruzione
ambientale, si potrebbero cercare concentrare gli sforzi verso un
unico scopo quello di fare nascere in Italia un soggetto politico
ispirato alla Costituzione italiana. (vedasi mio libro Politiche
costituzionali per le ìriforme" Biblion edizioni - Milano 2018)
Luigi Fasce - Genova
www.circolocalogerocapitini.it

emilio ha detto...



Anch'io - e per una volta ancora sono d'accordo - con la sintesi di Luciano.
Forse non abbiamo riflettuto abbastanza sui libri recenti di Fabio Martini, Claudio Martelli, Marcello Sorgi, che ognuno ovviamente alla propria maniera apportano elementi utili al superamento documentato e critico,della Vulgata Nera su B.C.
Fraternamente,
Emilio

maurizio ha detto...

Il sostanziale idem sentire fra me e Luciano si è confermato ancora una volta e naturalmente questo per me è molto gratificante. Però non significa che si condivida proprio tutto fino in fondo e infatti ricordo che, recentemente e sempre a proposito di Craxi, esprimemmo giudizi diversi sul tentativo di avviare una trattativa nei terribili giorni del sequestro di Moro (Luciano nettamente contrario, io favorevole anche se molto scettico sulla possibilità di una soluzione accettabile). Però mi trovo d'accordo anche con Giovanni e non credo di essere in contraddizione. Se vogliamo continuare ad usare la metafora del buco nero anche per me il buco nero nella storia del PSI (allora PSIUP) in epoca repubblicana fu la sciagurata scelta frontista fatta da Nenni e Morandi con la conseguente subalternità al PCI durata fino alla metà degli anni '50.

maurizio ha detto...

Va però detto che nel partito uscito dalla guerra e dalla Resistenza erano presenti tante e tali differenze da rendere pressoché impossibile una politica unitaria. Così purtroppo avvenne e possiamo solo dire - ma la storia non si fa con i se - che un partito socialista solido ed omogeneo avrebbe dato ben altro contributo alla storia del Paese. A mio giudizio Saragat aveva ragione, ma nel giro di pochi anni da Palazzo Barberini alla subalternità: del PSI nei confronti del PCI si aggiunse quella del PSDI nei confronti della DC, come ben si vide con la vicenda della legge truffa. Fu in quest'occasione che dal PSDI uscirono intellettuali e dirigenti di grande valore e credo sia iniziata allora l'involuzione moderata e clientelare del partito.

maurizio ha detto...

Luciano non sarà d'accordo, ma qui parlo del partito e di molti quadri periferici, non di Saragat che, da Pralognan in poi, portò avanti con Nenni e altri la linea dell'apertura a sinistra e della possibile riunificazione. Tutti conosciamo la storia di quegli anni: il centro-sinistra si fece e, pur con i limiti intervenuti dopo la torbida estate del '64, rappresentò una grande stagione riformista. Per questo il giudizio positivo sul PSI non può certo iniziare nel '76, ma copre tutto il periodo che va dal congresso di Venezia del '57 in poi. La riunificazione fallita rappresentò invece un secondo buco nero. In realtà molti in entrambi i partiti erano diffidenti o addirittura contrari ed il tentativo non decollò mai pienamente. Ancora adesso non so dire se la ridivisione del luglio del '69 sia stata un colossale errore o la semplice presa d'atto che ormai la distanza era incolmabile. Forse un po' entrambe le cose, ma è certo che dopo di allora i socialdemocratici virarono decisamente su posizioni ultra-moderate. Il giudizio sul PSI è più complesso e credo che la segreteria di Mancini sia stata positiva perché aveva una netta impronta autonomista e riformista anche se con alcune opacità periferiche, mentre quella di De Martino fu non dico subalterna nei confronti del PCI, ma troppo passiva ed attendista. Qui siamo tornati all'inizio del discorso, con le elezioni del '76, il rischio reale non dico di scomparsa ma certo di irrilevanza, il Midas e la segreteria di Bettino Craxi. Che per me fu estremamente positiva nei primi anni mentre dopo il 1981 (qui sono d'accordo con Giovanni) si evidenziarono i difetti di cui ho parlato in precedenza. Ma ci sono due cose di cui resto profondamente convinto. La prima è che con il PCI di Berlinguer, arretrato, integralista e profondamente antisocialista almeno nella sua componente maggioritaria, l'alternativa di sinistra non era assolutamente praticabile (parafrasando con qualche variante il generale Sherman si potrebbe dire che per molti comunisti l'unico socialista buono era il socialista subalterno e sottomesso). La seconda è che Craxi fu un ottimo Presidente del Consiglio (l'ultimo che abbiamo avuto), ma un pessimo segretario del PSI perché lo concepiva solo come lo strumento per attuare la sua politica (però lo stesso aveva fatto ai suoi tempi Ugo La Malfa con il piccolo PRI). In ogni caso nel bene e nel male appartiene a pieno titolo alla storia del socialismo italiano e di lui si deve discutere in termini politici e solo politici come si fa con gli altri leader del PSI. Inoltre non è necessario essere complottisti per capire che in Mani Pulite non furono presenti soltanto eccessi della magistratura nel colpire la corruzione diffusa, ma che i fini erano ben altri. Infatti il risultato fu che, distrutta gran parte della classe politica della Prima Repubblica, venne privatizzato tutto il privatizzabile e il nostro ruolo nella UE e non solo divenne sostanzialmente retorico e servile. Se poi penso al blairismo e all'involuzione di gran parte del socialismo europeo dagli anni '90 in poi devo dire che Craxi merita, almeno sui temi di fondo, una rivalutazione che faccia giustizia di tante interessate demonizzazioni.
Maurizio Giancola
P.S. Forse eccedo nello scrivere, ma in questi giorni tristi e bui la cosa mi aiuta parecchio.

Maurizio ha detto...

Ringrazio Edmondo Rho per quello che ha detto del mio primo intervento anche se ha sicuramente esagerato proponendo addirittura di incorniciarlo. Non merito tanto e non lo dico certo per falsa modestia (però mi dispiace non aver scritto Mitterrand come si deve). E ringrazio anche Antonio Autuori, un compagno che mi è particolarmente caro per ragioni a lui ben note. Ho parlato del CC del 20 dicembre 1979 sia per ricordare che Nenni sostenne Craxi fino all'ultimo sia perché in quell'occasione si dissolse la maggioranza del Midas, che aveva eletto Craxi e lo aveva sostenuto fino ad allora, e si divise anche la sinistra del partito per il cambiamento di campo di De Michelis e dei suoi seguaci. Poco tempo prima Giusi La Ganga mi aveva detto chiaramente che ormai si fronteggiavano due schieramenti: quello che faceva capo a Craxi che, muovendo da un giudizio del tutto negativo sul PCI, puntava all'alternanza all'interno del pentapartito e la sinistra, che invece voleva ritornare ai governi di unità nazionale come passaggio in vista dell'alternativa, ritenuta al momento impossibile dai craxiani. Questa divergenza di linee politiche fu all'origine dello scontro avvenuto nel CC. Craxi lo vinse e tutto il resto venne di conseguenza.
Dopo i tanti interventi che hanno dato vita a questa bella discussione pongo una domanda: a che serve tutto ciò? Ne abbiamo già parlato non so quante volte e in fondo questa non è che la coda dell'altra, fatta a gennaio per il ventennale della scomparsa del leader socialista. Vi accorgete che sostanzialmente ciascuno di noi ripete sempre le stesse cose? Non lo dico certo in senso negativo perché ciascuno ha la sua storia, i suoi ricordi, le sue idee e via dicendo. Per cui possiamo farne cento di questi dibattiti e saremo sempre fermi al punto iniziale. Anche se affermassimo tutti che Craxi è stato la rovina del socialismo italiano (cosa per me assolutamente non vera) che cosa ne deriverebbe di positivo? Il PSI storico si è sciolto nell'autunno del '94 e Craxi è morto vent'anni fa. Che è successo da allora? Moltissime cose negative per il Paese e nulla di positivo per il socialismo italiano, che resta diviso, litigioso e del tutto irrilevante (ma chi sono i socialisti in Italia?). Nel frattempo anche quello europeo ha conosciuto una crisi gravissima, ma qualche elemento positivo c'è e non tutte le speranze sono perdute. Non so se si riprenderà, spesso ne dubito ma mi auguro che non sia così. L'unica certezza che ho è che se ci sarà una rinascita socialista questa avverrà in altri Paesi, non nel nostro.
Craxi ad Hammamet nel '97 disse che o si modificavano in fretta i trattati europei o l'Europa sarebbe stata nel migliore dei casi un limbo e nel peggiore un inferno. Abbiamo avuto il limbo e, dopo la crisi del 2008, forse non l'inferno ma quasi (l'inferno lo ha avuto la Grecia). Ora è arrivato il Covid-19 e ha rivelato impietosamente che l'UE è solo una corporazione di banchieri e null'altro. Forse sarebbe il caso di parlare di questo.
Maurizio Giancola

Giovanni ha detto...

Caro Maurizio,
hai sicuramente ragione. Però non dimenticare che l’Italia (fortunato Paese....) ha vissuto il tentativo (riuscito e che ancora continua...) unico al mondo nel secondo dopoguerra di portare la tradizione e la storia del socialismo nell’alveo della destra. I motivi li conosciamo. Io credo quindi che sia opportuno riconoscere che Craxi fa parte, a pieno titolo, della storia del socialismo italiano, ma anche non dimenticare i suoi, numerosi e gravi, errori politici che hanno agevolato questa operazione (e che, lui vivente, non mi pare abbia mai sconfessato esplicitamente). Quindi ha pure ragione Luciano a difendere il sistema dei partiti come forma di democrazia. Mi pare più difficile (anche se ne comprendo il significato simbolico) difenderlo nel nome di Craxi, non tanto per motivi etici, ma proprio per ragioni politiche.
Un caro saluto
Giovanni

maurizio ha detto...

Caro Giovanni,
hai ragione anche tu perché, nonostante i tanti errori dei socialisti di altri Paesi, nessuno di loro si è mai alleato con forze reazionarie e fasciste. Però in nessun altro Paese è successo quello che è successo in Italia fra il '92 e il '94 e mi limito a ricordare due nomi: Gabriele Cagliari e Sergio Moroni. Molti aspetti del PSI di Craxi non piacevano nemmeno a me e mi sembra di averne parlato in modo chiaro, ma poi è sopravvenuta una criminalizzazione tanto ipocrita quanto feroce. Proprio per questo credo che si debba essere equilibrati (non neutrali) ed evitare giudizi sommari.
Un caro saluto anche a te
Maurizio

luciano ha detto...

Caro Giovanni, sai che non ho mica capito la tua osservazione sul sistema dei partiti ?

Mi pare sia un dato oggettivo che il fuoco si concentrò su Craxi perché era in quella stagione il simbolo ed anche l’architrave del sistema dei partiti.

Infatti, eliminando lui riuscirono nel disegno di scardinare quel sistema.

Quindi non è che io voglia rivalutare quel sistema “nel nome di Craxi”, ma voglio smascherare quell’operazione che non mirava a correggere gli enormi vizi del sistema e dello stesso Craxi (che come giustamente dici non fece nulla per superarli ed anzi ci mise del suo per aggravarli), bensì ad abbattere il primato della politica avvalendosi di quei vizi (fino ad allora tollerati ed anzi sfruttati con reciproco vantaggio dai poteri forti).

Secondo me continui a far prevalere la visione soggettiva dell’avversario della tua gioventù sulla visione oggettiva del valore di spartiacque storico che la figura di Craxi ha assunto.

Craxi è la metafora della prima repubblica, incarna una politica legata a identità ideologiche e sovraordinata rispetto ai poteri economici.

Questo non significa che si debba cedere alle agiografie.

Significa che se accetti di espungere Craxi dalla tua storia cedendo alla vulgata demonizzante, ti stai illudendo di salvare il salvabile. In realtà non salvi proprio nulla, anzi.

Non mando questo pensierino alla m.l. perché temo che abbiamo stancato …

Un abbraccio.

Luciano



Giovanni ha detto...


Caro Luciano,

come ho scritto, comprendo bene il tuo atteggiamento.

Però secondo me anche tu ti illudi (bada bene che queste cose le scrivo tra noi 25...).

Purtroppo è vero che Craxi è la metafora della prima Repubblica, nel bene, ma anche nel male (tu stesso riconosci che “come giustamente dici non fece nulla per superarli ed anzi ci mise del suo per aggravarli”).

Proprio per questo, il mio modesto suggerimento (e il senso del mio post) è che forse, dopo 25 anni di inutili tentativi, si dovrebbe pensare, noi per primi, a cambiare metafora. Magari, come fa Macaluso nel Manifesto di oggi, parlando dell’istituzione del SSN (e degli attacchi che ad esso si sono portati, proprio dopo la fine della Prima Repubblica...)

Un abbraccio

G

PS Il tuo post lo manderei, con la mia risposta, proprio come ulteriore chiarimento. Dobbiamo pure passare il tempo...

paolo ha detto...

Mi pare che queste due mail sintetizzino le molte utili osservazioni delle precedenti. Devo dire che se come storico sono per valutare Craxi come una legittima fase del socialismo europeo, al contempo penso si debba dire che è stata una fase calante (sempre come nel resto del socialismo europeo). Però va aggiunto che nessun partito come il Psi fu e rimase meramente coalizionale, e che moltissimi dei difetti indubbi del Psi (in genere ma in modo crescente negli anni ottanta) dipendono da questo. Il problema è che negli anni ottanta l’orizzonte coalizionale è divenuto invalicabile da cui una degenerazione aggiuntiva. Non è una “questione morale”, ma proprio un limite di cultura politica. Vero che nessun altro aveva il bipolarismo imperfetto Pci-Dc a costringerci (davvero solo questo?) alla coalizione sempre e comunque ... ma ... valutare i limiti forti di cultura politica che ne sono discesi deve fare parte del mio lavoro di storico.
Come ex militante (mi sono iscritto a 14 anni) invece devo dire che sono diventato a-craxiano, come da sapido libretto di Alberto Benzoni risalente proprio alla prima metà degli anni 1990.
Devo dire che concordo con Giovanni rispetto al dover trovare altre metafore che Craxi nel difendere il primato della politica.
Ciò perché il nostro specifico primato della politica, certo è un valore ed è vero quanto dice Luciano che è per abbatterlo che non si accolse l’idea di cambiare il sistema senza spianarlo. Su questo io mi rifiuto di accettare giudizi dai soloni ulivisti, post ulivisti e da Travaglio e simili che valgono ancora meno.
Ma rimane vero che il nostro primato della politica (di tutti in modo diverso, anche del Pci) fu di rango inferiore rispetto a quello di altri socialismi europei. Non santifico nessuno sia chiaro ... ma dalle modalità dell’esercizio della politica discende la qualità del suo primato. Nel nostro caso (primato della politica per esempio identificato con l’essere necessariamente al governo, senza poter-sapere divenire un movimento ampio come le socialdemocrazie vere) è evidente che questo più che tutti si identifica con il periodo di Craxi. Sebbene avesse continuità chiarissime con il prima sarebbe assurdo negarlo ed è implicito in quanto dico ... dovrebbe essere una ovvietà.
Ecco qui il mio contributo molto semplificato ... un saluto socialista a tutti


Pb

alberto ha detto...

Ho seguito con interesse e curiosità tutto il dibattito attorno al Psi ed in particolare attorno alla figura, controversa, di Craxi. L’ho seguita perché è una storia che conoscevo poco dall’interno avendo io militato per decenni nel PCI-Pds-DS. E qui mi sono fermato. A mia discolpa posso dire che all’interno del PCI sono sempre stato , e combattuto, nella convinzione che esso potesse diventare , alla luce del sole, e non con il trasformismo della linea emiliana, un forte partito socialista come nella migliore tradizione centroeuropea. Ma per farlo bisognava semplicemente dire, apertamente in un “manifesto politico -come fece la SPD- e non in interviste più o meno ufficiali di “membri autorevoli” del partito, che “ la democrazia reale ( non quella rappresentata da parlamenti fittizi) era incompatibile con il socialismo sovietico” .Ora leggo che Astengo in preparazione del convegno su Matteotti e Gramsci scrive che Ho seguito con interesse e curiosità tutto il dibattito attorno al Psi ed in particolare attorno alla figura, controversa, di Craxi. L’ho seguita perché è una storia che conoscevo poco dall’interno avendo io militato per decenni nel PCI-Pds-DS. E qui mi sono fermato. A mia discolpa posso dire che all’interno del PCI sono sempre stato , e combattuto, nella convinzione che esso potesse diventare , alla luce del sole, e non con il trasformismo della linea emiliana, un forte partito socialista come nella migliore tradizione centroeuropea. Ma per farlo bisognava semplicemente dire, apertamente in un “manifesto politico -come fece la SPD- e non in interviste più o meno ufficiali di “membri autorevoli” del partito, che “ la democrazia reale ( non quella rappresentata da parlamenti fittizi) era incompatibile con il socialismo sovietico” .Ora leggo che Astengo in una NOTA PER IL “SEMINARIO GRAMSCI – MATTEOTTI” scrive che :

1) Sono da considerarsi superate quelle divisioni storiche in particolare tra comunisti e socialisti che per lungo tempo sono state giudicate come fondamentalmente divisive;

2) A sinistra il tema deve essere quello della “ricostruzione” e non di un semplice “rinnovamento”.

Delle due l’una:o quanto sino ad ora scritto dai compagni, sino ad ora, nella polemica su Craxi, Berlinguer ecc. – ossia di fatto su PSI e PCI – non aveva motivo di essere, oppure, come io credo e vado da tempo ripetendo, a sinistra il tema non è, come scrive Astengo, quello della “ricostruzione” ma quello della “costruzione” di un nuovo pensiero socialista in Italia così come fecero nel 1959 i socialdemocratici tedeschi ( seguiti poi da tanti altri) i quali, nel Manifesto politico approvato nel loro Congresso, con pressoché totale consenso, non fecero abiure sul loro passato non citarono padri più nobili, padri meno nobili e reprobi, ricominciando cosi a dividersi e porre “distinguo”, ma parlarono solo di contenuti chiudendo definitivamente, in tre parole, con l’ambivalenza verso il “Socialismo sovietico” considerandolo incompatibile con la Democrazia. E proseguirono poi tracciando un alto disegno politico culturale su come volevano diventasse la società, chiedendo ai propri concittadini, se condividevano questo progetto, di paese e di società mondiale, di aiutarli, partecipando direttamente e con il voto, a costruirla. Così come dovrebbe fare un Partito che ha un sogno, prima che dei leader, e che si rivolge ai propri concittadini per condividerlo prima e costruirlo poi insieme.

La scommessa allora, se pure con il tempo dovuto, riuscì e cambiò profondamente in senso “sociale e liberale” quel volto dell’Europa, realizzando quel modello di società che nonostante tutti i tentativi, del comunismo e del peggiore liberismo, ancora riesce a resistere. Ma per quanto ancora?

A mio parere più che ragionare, o litigare sui leader passati, occorre disegnare un progetto politico culturale coerente con i valori della storia del socialismo europeo in grado di far apparire desiderabile ai più il futuro della nostra società.

Grazie per l’attenzione.

antonio ha detto...

Maurizio Giancola non perde occasione di leggermi nel pensiero.
Io ho, ovviamente e vivendo a Milano, ricordi personali di un Craxi più leader rionale che statista, circondato da una banda
di faziosi ominicchi che definivo "i comunisti del PSI". Ricordo un Craxi, ancora vicesegretario Psi, tornare da Roma dove aveva evidentemente annusato fumi di compromesso storico, piombare in federazione e fare suo il documento antidemocristiano della sinistra socialista contro il quale i suoi scherani.facevano le barricate; il tutto in 30 secondi e senza che i suoi focosi satelliti facessero una piega..Ricordo un Craxi presidente del consiglio, che sa poco o niente di economia, ma che si fa spiegare da chi
sa, come fermare l'inflazione e far cessare la stagnazione decennale, e lo fa. Mal gliene incolse, perchè da quel momento pensò di essere infallibile.Ricordo gli anni 80, quando cercavo di spiegare ai compagni della sezione che la conduzione di Craxi avrebbe distrutto il Psi e ogni volta le mura della sezione tremavano sotto gli improperi dei soliti noti; ma ho nostalgia del fatto che la maggioranza dei compagni non abbia mai permesso che venissi zittito.


Antonio Autuori