martedì 17 marzo 2020

L'America e il socialismo

Il long read del weekend: viaggiare per la West Coast con Gramsci per capire Sanders e Biden (un magnifico reportage sulle maledizioni della sinistra) (Gianluca Mercuri) «Il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». Se un long reading del Financial Times inizia con una citazione di Antonio Gramsci — la bibbia del capitalismo che rende omaggio all’unico grande pensatore comunista il cui pensiero sia sopravvissuto al comunismo — si capisce subito che sarà un grande articolo. E lo è, anche perché l’autore — Edward Luce, che segue l’America per il giornale inglese — non sbaglia un pezzo. Qui spiega perché Bernie Sanders, anche se sarà sconfitto da Joe Biden nella corsa alla nomination democratica, ha già vinto la battaglia più importante — la modificazione genetica del partito, che si è spostato a sinistra. Il senatore socialista deve solo decidere se usare questa vittoria per Biden (facendolo votare dai suoi con convinzione) o per Trump (facendo la guerra a Biden in un modo che renderà difficile ai suoi sostenerlo). Temi di cui ci siamo occupati nella rassegna di venerdì — sì, ci appassionano molto, infatti qui ci dilunghiamo parecchio, ma ne vale la pena — e che Edward Luce affronta con un magnifico reportage. Una sorta di guida a tutte le sinistre del mondo (moderate e radicali) perché curino i loro difetti. Quelli che le fanno perdere. L’America e il socialismo. Da tempo «socialismo americano» suona come un ossimoro. Ma non è sempre stato così, premette il giornalista. Sapevate che nelle elezioni comunali del 1917 il Partito socialista d’America prese un quarto dei seggi a New York e un terzo a Chicago? Poi non si riprese dall’ondata repressiva scattata dopo la Rivoluzione russa e l’ingresso degli Usa nella Prima guerra mondiale. Se ne riparlò giusto un secolo dopo, con lo scontro tra Bernie e Hillary Clinton, così duro da avvelenare il partito. Un elettore di Sanders su otto finì per votare per Trump, altri per la verde Jill Stein. Sono i voti che fecero perdere Hillary. Il revival tra i giovani. Rispetto ad allora sono cambiate due cose. Gli under 39 che hanno «un’opinione positiva del socialismo» sono quasi il 50 per cento. E Joe Biden sa che non può ignorare l’agenda sandersiana, quindi più tasse a ricchi e «green new deal» stanno entrando nella sua. Il dubbio è se basterà, perché il refrain di Bernie sul «sistema corrotto» tende a dissuadere dal votare altri se non lui. E allora, con Gramsci, bisogna chiedersi se il socialismo americano, ovvero la versione americana della socialdemocrazia europea, sia uno dei «sintomi morbosi» che caratterizzano i passaggi epocali. O se il passaggio epocale sia proprio lui, Sanders, che sta conquistando il Paese al suo verbo. Marin County, California. Per capirlo, Edward Luce è andato in California, terra simbolo di tutte le conquiste e le contraddizioni della sinistra americana e mondiale, dove Sanders le primarie le ha vinte con un vantaggio del 7%. Se la California anticipa le tendenze nazionali, Marin County anticipa quelle californiane. In questa città tra San Francisco e i vigneti della Napa Valley, dove c’è pure il ranch di George Lucas, il reddito medio è di 93 mila dollari, il quinto più alto d’America. Qui invece ha vinto Biden, ma solo perché gli ispanici che sono la spina dorsale della forza lavoro non possono permettersi di risiederci. Se San Francisco è la città con più miliardari e più senzatetto, Marin County è il suo cortile: il prezzo medio delle case è di un milione e 200 mila dollari, e che il comune abbia stanziato solo 6 milioni per l’«edilizia sostenibile» dà l’idea dell’ipocrisia di fondo della sinistra agiata. Il responsabile del programma Leelee Thomas lo denuncia con chiarezza: «Al momento, il nostro sistema è concepito per favorire i ricchi e lasciare le briciole a chi stenta». Il risultato è che un sacco di famiglie vivono in camion piazzati nei parcheggi. Ma il posto simbolo di Marin County è Good Earth Natural Foods, catena di cibo biologico che fa la guerra al gigante Amazon e alla sua Whole Foods con la retorica di Davide e Golia. Sandersiano il proprietario, sandersiani i commessi. Che però la spesa la devono fare altrove, perché il negozio va bene per chi può lasciarci 400 dollari a botta. Inutile far notare al titolare che Henry Ford considerava decisivo, per la tenuta del contratto sociale americano, che i suoi operai potessero comprarsi le macchine che costruivano. Quando i dem mollarono gli operai. Marin County è poco distante dal Golden Gate. Il giornalista attraversa l’altro grande ponte, il Bay Bridge, per andare a Berkeley e incontrare Robert Reich. Lo fa per due motivi: «È un influente sostenitore di Sanders ed è un vecchio amico dei Clinton. Nessun altro al mondo ha entrambe le caratteristiche». Reich, ex fidanzatino di Hillary e compagno di studi di Bill, fu il ministro del Lavoro del presidente dem. Incarnava l’ala sinistra del clintonismo — aveva costruito lui la campagna del ‘92 sulla promessa di aprire ai colletti blu «le autostrade verso il 21° secolo» — ma perse la battaglia con Robert Rubin, il capo dell’ala moderata. Dopo gli slanci iniziali, l’amministrazione tagliò la spesa sociale, deregolarizzò la finanza e aumentò i sussidi all’industria, al punto che Reich coniò con sarcasmo l’espressione «welfare aziendale». Dice oggi: «Capii che ci eravamo trasformati da partito della classe operaia a partito della classa universitaria. Eravamo schiavi di Wall Street». Anche quella fu una mutazione genetica, ma verso destra: scollò i dem da Roosevelt, il cui New Deal aveva creato le protezioni sociali dell’America, e li fece «danzare alla musica di Reagan». I colletti blu cominciarono a usare le loro case come salvadanai, giocandosele in cambio di prestiti. La «Rubinomics», Reich ne è convinto, fu all’origine del disastro dei mutui subprime: «Ogni protezione era saltata, la forza era tutta dalla parte dei datori di lavoro, i meccanismi anti-bancarotta c’erano solo per i ricchi. È così sorprendente che la gente si sia votata ai politici anti establishment?». Il viaggio del giornalista lungo la West Coast prosegue verso Nord. Seattle, Stato di Washington, patria di Microsoft e Amazon. Ma anche patria elettiva di Kshama Sawant, indiana di nascita, marxista per scelta, ingegnera elettronica, consigliera comunale più longeva — dei 140 mila dollari di stipendio se ne tiene solo 40 mila, gli altri li dà a un fondo di sostegno agli scioperi — e artefice del salario minimo a 15 dollari che la città ha adottato nel 2017 e ora è una questione nazionale, tanto che sia Biden sia Sanders vogliono imporlo per legge federale. La sua nuova battaglia si chiama «Amazon tax» perché incredibilmente il gigante di Jeff Bezos — che vale un trilione di dollari — paga zero tasse cittadine e statali e quasi zero a livello nazionale. L’assemblea statale vuole ora una legge preventiva che impedisca future tasse ad Amazon, con cui Sawant vuole finanziare l’edilizia sociale. Il che la porta a questa posizione: fan di Sanders — è lei a introdurre i suoi comizi in zona — e arcinemica dei democratici, «il partito dei miliardari», mentre «i socialisti sono l’opposizione». Chiederle di votare Biden è l’unica cosa che può farla arrabbiare. Vuole portare un milione di persone alla Convenzione democratica di Milwaukee, in luglio, per «convincerla» a nominare Sanders. Altrimenti, spera che Sanders «corra da indipendente», e pazienza se questo vorrebbe dire regalare la vittoria a Trump. California dreaming. L’ultimo incontro di Luce è con un simbolo del sogno californiano, il quattro volte governatore Jerry Brown, oggi 81enne, primo politico americano a citare Gramsci, l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione. Brown ha fatto tutto il percorso classico dall’idealismo al pragmatismo e oggi Sanders non è la sua tazza di tè. Non sa esprimersi su cosa succederà, anche se «i sintomi morbosi» gramsciani, tra virus e fermento politico, ci sono tutti. Più incisiva la testimonianza di Alice Waters, proprietaria del luogo che ospita l’incontro, il ristorante Chez Panisse di Berkeley, dove nacque il movimento «slow food» americano su ispirazione del nostro Carlin Petrini. Un santuario della sinistra fighetta mondiale insomma, ma Waters non è per niente fighetta: «L’America ha due grandi problemi. Il primo è lo svuotamento di senso del lavoro. Tante persone fanno lavori che distruggono l’anima. Il secondo è la solitudine. La vedi dappertutto. Le comunità si sono spezzate». Poi gela il suo vecchio amico Jerry: «Da governatore non avevi promesso esperimenti di edilizia comunale per gli anziani? Stiamo ancora aspettando». Edward Luce conclude il suo incredibile lavoro — che da solo varrebbe un Pulitzer — con due considerazioni. La prima è pro Biden. Sbagliano i sandersiani arrabbiati a pensare che siano state le élite del partito, con trucchi e manovre, a farlo resuscitare: «Sono stati gli elettori afroamericani del Sud, a partire dalla South Carolina». L’establishment non ha scelto Biden, ma si è precipitato a salire sul suo carro. La seconda è pro Sanders. I democratici centristi lo paragonano ossessivamente a McGovern, il radicale che li portò alla disfatta contro Nixon nel 1972. Ma Robert Reich gli ha ricordato il caso del 1968, quando a stra-perdere contro Nixon era stato il vicepresidente Humphrey, un moderato alla Biden. Quello che è incontrovertibile è ciò che il giornalista afferma nella sua conclusione: «Con o senza Sanders, i democratici si muovono costantemente verso sinistra. Anche prima di un eventuale accordo con Sanders per unire il partito, il programma di Biden è notevolmente più di sinistra che nei suoi anni con Obama. Il partito di Clinton e perfino di Obama sta svanendo. Nemmeno Robert Rubin obietta più alla tassa sulla ricchezza. Anche mentre perde, Sanders sta vincendo». Se poi resterà Trump, sarà la vittoria più bella e inutile della storia. La mail dei lettori La canzone dal terrazzo, il saluto da lontano e il male che non viene solo per nuocere Adesso che siete arrivati in fondo a questa rassegna stampa e state per richiudere la finestra, una cosa sul coronavirus ve la vogliamo dire. Non l’abbiamo trovata su un sito o su un giornale, ma nella mail. Ce l’ha scritta un lettore, Roberto Pilato, imprenditore di Conegliano Veneto: «È una sorta di purgatorio. Cresce però un po’ alla volta il senso civico e quello di appartenere a una grande comunità. Saluto il vicino muovendo il braccio, mentre da un terrazzo qualcuno intona una canzone. Altri si uniscono. Non importa se è stonato, è un magnifico coro ed è emozionante ascoltarlo. Si comincia a pensare che non tutto questo male è arrivato per nuocere, scoprendo che la distanza paradossalmente ci riavvicina».

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