domenica 3 aprile 2016

Franco Astengo: Il lavoro come valore e come capitale sociale

IL LAVORO COME VALORE E CAPITALE SOCIALE di Franco Astengo “Ha fatto più Marchionne per l’Italia che certi sindacalisti”: questa frase pronunciata oggi da Matteo Renzi alla cosiddetta scuola di partito del PD non può essere lasciata sotto silenzio e merita un commento perché costituisce la testimonianza di una vera e propria collocazione di fronte (un tempo si sarebbe detto “dall’altra parte della barricata”) già evidente da tempo ma che molti si rifiutano di riconoscere. Questa frase contiene tre elementi da sottolineare: il primo riguarda l’ennesimo attacco ai corpi intermedi, in questo caso il sindacato, usando termini classici del populismo; certo che l’operato di determinati sindacalisti è da censurare e che il sindacato nel suo insieme, almeno in Italia, ha smarrito il senso complessivo della lotta di classe ma l’obiettivo di Renzi è ben altro, è quello di confondere artatamente questo dato esprimendo, invece, l’esaltazione di un meccanismo di vera e propria delega al padrone della rappresentanza stessa del lavoro. Attenzione del lavoro in quanto tale, non del mondo del lavoro. Il secondo elemento riguarda ancora una volta la vena populistico – nazionalista che pervade il modello comunicativo del Presidente del Consiglio e Segretario del PD e che appare permeare una parte maggioritaria di quel partito: un nazionalismo di lega molto bassa, “fare per l’Italia” quasi un accento dannunziano invece della necessità di affrontare il senso collettivo dello stare assieme nell’operare in funzione del lavoro come leva di un modello di sviluppo. Si tratta di un tema di fondo che non può essere affrontato in questa sede con compiutezza ma soltanto accennato ma che si lega, pericolosamente, proprio al punto della delega al padrone, addirittura in senso nazionalista, del tema proprio del lavoro. Terzo punto quello dell’esaltazione appunto di chi (personalizzando per di più) fa dell’intensificazione dello sfruttamento l’ideologia per il rovesciamento della condizione di classe: proprio la lotta di classe portata avanti dall’alto, com’è avvenuto nel corso di questi anni imponendo un pauroso arretramento nell’insieme delle dinamiche sociali. Renzi nega, come da sempre, l’idea stessa del lavoro come valore e come capitale sociale dichiarando l’impossibilità di un riscatto che serva per operare nuovi livelli di dignità collettiva nella convivenza sociale. Una frase di stampo esclusivamente reazionario che indica con chiarezza una collocazione prima di tutto ideale che politica. Stare dalla parte dei padroni: un tassello fondamentale nella costruzione di un regime personalistico e autoritario, ben sorretto dai potentati economici. Si potrà ancora disvelare appieno il grande inganno nel quale è avviluppata la vicenda italiana di questo scorcio di secolo?

12 commenti:

claudio ha detto...




caro Astengo, esiste anche un curioso fenomeno che si chiama concorrenza internazionale: o ti adegui a quel che succede nel mondo, o fondi un’associazione di piagnoni che chiede assistenza. Il sindacato per prima cosa deve coordinarsi con quelli degli altri paesi, perchè il capitale lo ha già fatto da decenni Per quel che ne so ci sta provando solo la Cisl, mentre non mi risulta che la tonitruante FIOM abbia mai provato a fare una riunione tra tutte le fabbriche di proprietà FIAT in Europa. In Italia la FIAT produce solo il 5% del suoi fatturato mondiale auto.

giovanni ha detto...

Caro Claudio,
a proposito di piagnoni, esiste anche un fenomeno che si chiama aiuti di stato. Quanti ne ha presi la Fiat? E cosa ne ha fatto? Domanda cui credo nessuno sia in grado di dare una risposta precisa. E ho detto tutto.
Buona domenica
G

laura ha detto...

Non entro nel merito delle questioni da voi dibattute, poiché non possiedo le vostre competenze.
Come docente, però, vedo nelle affermazioni del Presidente del Consiglio, rivolte a un'assemblea di giovani lì per "imparare", la stessa volontà di tirare su una classe dirigente (vergine di memoria storica) che, dopo qualche weekend di allegre scampagnate romane, interiorizzeranno non dei saperi ma slogan dannunziani (!) analoghi a quello testé citato. Ho qualche giovane amico che sta frequentando e sono allibita dalla totale mancanza di senso critico che emerge da queste adunate di catechismo preconciliare (lo schema è: faccio la domanda e ti do la risposta, tu impara a memoria entrambe).
Ancora più inquietante se lo confronto con i nuovi meccanismi di immissione in ruolo dei docenti (pas, regole del concorso, ecc.): identici. Slogan sulla scuola che non sanno nulla di scuola, e che stanno facendo sprofondare il passaggio di conoscenze all'ultimo posto degli obiettivi di un "insegnamento" che invece deve valutare solo le "competenze": il tutto supportato da fantomatici studi di sedicenti psicologi dell'apprendimento, e ovviamente epigrammi di don Milani che, per chi ha qualche memoria storica (e sempre su questo torniamo), stravolgono completamente il suo insegnamento. Tralascio un giudizio sulla qualità dei corsi, basandomi solo su ciò che mi raccontano colleghi smarriti e allegri neofiti.
Bene. Questa è la scuola e questa è la classe dirigente con cui dovremo fare i conti. Inutile piangere su ciò che è stato. Attrezziamoci e contrastiamoli. Anche con i loro stessi mezzi. Per ora non vedo altra via d'uscita.
Scusatemi per la lungaggine, buona domenica.
Laura Ciampa

roberto ha detto...




E' proprio adeguandosi allo stato di cose esistenti e rinunciando a una visione di trasformazione sociale che la sinistra ha lasciato il campo libero al liberismo.
Certo che la risposta dev' essere sovranazionale, ma non certo per adeguarsi...

claudio ha detto...





spiegami come fai la trasformazione sociale dopo che hai aderito al Mercato Comune e, se non li fermiamo, al TTIP. E’ difficilissimo, ma sicuramente impossibile se ci provi solo nell’italietta. Quanto ci manca Willy Brandt.....Fare politica significa praticare il possibile, non è come andare allo stadio sperando che la squadra del tuo caffè batta la Juve (..che le starebbe proprio bene...)

roberto ha detto...






Caro Bellavita,
scusami tanto, ma prima di rispondere avevi letto per intero la mail?
Il problema è enorme, ma se ci accontentiamo sempre di adeguarci e "il possibile" diventa l' unico scopo, allora più che alla Politica pensiamo ad una buona amministrazione.


dario ha detto...

Cari compagni, leggo sempre con interesse le acute analisi di Astengo, purtroppo ho l'impressione che viva in un mondo virtuale in cui esiste ancora la mitica classe operaia, è un concetto che da trentasei anni, dalla marcia dei quarantamila a Torino, è diventato obsoleto, ma non è diventato vecchio a causa dei quarantamila ma perchè il sindacato di allora non seppe capire le profonde trasformazioni produttive indotte dalla robotica e pensò, con un estremo atto di nichilismo, di rovesciare i rapporti di forza che ormai erano nettamente dalla parte del capitalismo produttivo, e questo fu il primo atto della disarticolazione del mondo del lavoro verso un mondo dei lavori (sempre più precari).
Il secondo atto fu la caduta del muro di Berlino che aprì le porte alla globalizzazione delle attività produttive e che annichilì per sempre il potere di interdizione dei corpi intermedi nazionali, il limite che posso vedere oggi, e su questo ha ragione Claudio, è l'incapacità della sinistra di consegnare alla Storia il vecchio modello nazionale per guardare verso un nuovo "internazionalismo", ben consci però che i rapporti economici che esistevano in un mondo chiuso (quello prima del 1989) non esistono più.
Il mondo dei lavori è perdente, ma dentro il capitalismo è perdente (o almeno ha visto ridursi in maniera drastica il suo potere) il capitalismo produttivo, quello che investiva per produrre qualcosa che non fosse solo carta moneta.
Per parafrasare Smith (quello della Ricchezza delle Nazioni che non era un socialista) nel mondo globale ha prevalso la Rendita, ha perso drasticamente il Lavoro ed il Profitto non se la cava tanto bene.
Fraterni saluti
Dario

claudio ha detto...

infatti, per quello ci manca Willy Brandt: certo Renzi e Hollande non sono a quell’altezza. Speriamo che almeno se ne vadano gli inglesi e magari ci restino gli scozzesi. Nonostante tutto, w la Merkel che fa entrare molti più immigrati di quel che i suoi elettori vorrebbero: forse perchè sa che con loro in casa ci si occupa dell’economia dei nuovi lavoratori e non della tutela dei cassintegrati e dei pensionati: scusa la crudeltà, sono pensionato anche io, ma l’economia va avanti se riusciamo a integrare dei giovani lavoratori pronti a tutto. E’ stata la forza degli USA per quasi cento anni

maurizio ha detto...

infatti, per quello ci manca Willy Brandt: certo Renzi e Hollande non sono a quell’altezza. Speriamo che almeno se ne vadano gli inglesi e magari ci restino gli scozzesi. Nonostante tutto, w la Merkel che fa entrare molti più immigrati di quel che i suoi elettori vorrebbero: forse perchè sa che con loro in casa ci si occupa dell’economia dei nuovi lavoratori e non della tutela dei cassintegrati e dei pensionati: scusa la crudeltà, sono pensionato anche io, ma l’economia va avanti se riusciamo a integrare dei giovani lavoratori pronti a tutto. E’ stata la forza degli USA per quasi cento anni

maurizio ha detto...

Che i sindacati abbiano commesso errori anche gravi ed abbiano evidenziato limiti non da poco è evidente a tutti. Quello però che non si comprende bene, almeno leggendo certi interventi, è se questi errori siano stati dovuti ad eccessi di astrattezza e di massimalismo o, al contrario, di moderatismo e subalternità. La vicenda FIAT dell'autunno 1980 ebbe caratteristiche particolari e sicuramente i sindacati, in particolare la FIOM e soprattutto quella torinese, sbagliarono alla grande. Sappiamo però che da un certo punto in poi Lama non era d'accordo con quello che si stava facendo, ma non riuscì a contenere le fughe in avanti di Bertinotti e di Sabbadini - secondo alcuni anche di Garavini - che avevano il supporto del PCI impegnato nel tentativo di dare una spallata tutta e solo politica dopo il fallimento e la fine dell'unità nazionale. Sappiamo come finì: vinse la FIAT e, nella conseguente resa dei conti, Sabbadini fu il capro espiatorio mentre l'ineffabile Bertinotti riuscì a salvarsi. Il PCI di Berlinguer invece perseverò e con lo sciagurato referendum sulla scala mobile si scavò di fatto la fossa con qualche anno di anticipo rispetto al 1989.

maurizio ha detto...

Direi però di non dimenticare quanti anni - e che anni - sono passati da allora e quanti avvenimenti sono intercorsi. Soprattutto proporrei di ricordare le politiche concertative dei primi anni '90 cui aderì un sindacato di cui tutto si può dire tranne che fosse eccessivamente antagonista e conflittuale.
Sarebbe invece più opportuno domandarsi che cosa potevano e dovevano fare i sindacati quando si trovarono ad affrontare un impressionante mutamento delle tecnologie e dei modelli organizzativi (automazione, robotica, informatizzazione, fine della grande fabbrica fordista), dei rapporti internazionali (apertura ad Est, globalizzazione, delocalizzazione produttiva) e delle stesse caratteristiche strutturali del capitalismo (predominio della finanza e delle multinazionali). Sinceramente non lo so, ma non credo che in un mondo in cui il lavoro diventava sempre più automatizzato e precarizzato i sindacati potessero fare più di tanto. Lo dimostra il fatto che la crisi è generale, anche se nel nostro Paese più grave rispetto ad altri.
Una risposta avrebbe invece potuto e dovuto darla la politica, naturalmente quella di sinistra, se non avesse ceduto il campo e l'intelletto alle suggestioni del pensiero unico neo-liberista. Come disse Mario Soares il blairismo fu soltanto il proseguimento della politica thatcheriana con altro nome, Schroeder realizzò i mini jobs e Clinton, oltre ad abrogare il Glass Steagall Act, diede il via libera a tutte le forme possibili di deregolamentazione economica internazionale.
Di noi non credo sia nemmeno il caso di parlare dal momento che la politica autenticamente liberista e privatizzatrice fu concretamente portata avanti dall'Ulivo molto più che dalla destra berlusconiana. E in questo caso la colpa dei sindacati fu l'eccesso di collateralismo nei confronti di un governo considerato amico.
Concludo ritornando all'origine del discorso, che non sono i sindacati ma il servile omaggio di Renzi a Marchionne. Data la mia età mi vengono in mente uomini di destra, che allora si definivano di centro, ma dotati di molta maggiore dignità, cultura, senso della misura e consapevolezza del ruolo della politica e del proprio: penso ad esempio a Cesare Merzagora e a Giovanni Malagodi. Però poi Matteo mi fa tenerezza: i poteri forti lì l'hanno messo ed è giusto che lui li ringrazi e si sdebiti. Anche se gli scricchiolii degli ultimi giorni dovrebbero indurlo ad essere molto cauto: se lui o i suoi ministri commettono errori nell'eseguire il compito quelli non ci mettono molto a farli saltare e a sostituirli. E ritornare nella polvere, dopo essere stati sugli altari, è sempre molto doloroso.


Maurizio Giancola


P.S. In quanto alla redistribuzione della torta direi di non guardare sempre e soltanto al capitalismo finanziario. E' certo che oggi la parte del leone la fanno le grandi banche e i grandi fondi di investimento, ma anche le multinazionali continuano a fare ottimi affari e così pure, tragicamente, l'industria delle armi. Che poi spesso si tratti di un groviglio difficilmente districabile è indubbio, soprattutto negli USA.

maurizio ha detto...

Intervengo per l'ultima volta e poi mi taccio, anche per non abusare della pazienza di chi legge.
Innanzi tutto desidero ringraziare Roberto D'Ambra. Anch'io penso che il "riformismo rivoluzionario" di Riccardo Lombardi sia oggi più che mai attuale, soprattutto alla luce della cosiddetta rivoluzione conservatrice di Thatcher, Reagan ed epigoni, della conseguente profonda involuzione della socialdemocrazia, di cui però non vanno dimenticati o peggio rinnegati i grandi meriti storici, e del baratro in cui la crisi del capitalismo innescata nel 2007-2008 ci ha fatto precipitare. A dire il vero già Olof Palme e Willy Brandt avevano compreso che si doveva andare oltre una socialdemocrazia esclusivamente redistributiva, ma il primo fu misteriosamente assassinato ed il secondo emarginato grazie ad uno scandalo torbido ed ambiguo.
In quanto alla risposta di Dario Allamano francamente la considero una non risposta, ma solo la riproposizione di un mantra già detto e ridetto mille volte. Tralasciando altri aspetti, su cui sono anche parzialmente d'accordo, mi limito a dire che accusare SEL e SI (al momento solo un gruppo parlamentare) di massimalismo mi sembra ormai una vecchia diceria. Sia perché non si sa bene se SEL esista ancora o no (vedere le vicende e le profonde divisioni avvenute a Milano e ancor più a Roma e a Torino) sia perché, dopo la mediocre uscita di scena di Vendola, l'unica personalità di rilievo in quel campo è Fassina. Ora io non sono mai stato tenero con il Fassina politico, ma accusare di massimalismo il Fassina studioso di economia è come rivolgere la medesima accusa a Krugman, Stiglitz e Amartya Sen, cioè a quegli economisti che a fronte della dottrina mercatista restano fedeli alla lezione di Keynes. Che senso ha per chi si definisce ancora socialista?
Comunque anch'io ho le mie testarde convinzioni e le ribadisco: si può studiare finché si vuole ma alla fine quello che conta sono i rapporti di forza. Uno studioso profondo ed acuto come Bruno Trentin venne emarginato perché il centrosinistra preferì sostenere Prodi, allievo di Andreatta, e le sue privatizzazioni contro la demagogia populista di Berlusconi, Bossi e Fini. Che dire di più?
Fraterni saluti a tutti
Maurizio Giancola