giovedì 21 aprile 2016

Andrea Ermano: Le politiche “disumanitarie” non servono a niente

Dall'Avvenire dei lavoratori EDITORIALE Le politiche “disumanitarie” non servono a niente di Andrea Ermano Negli ultimi tempi anche sulla grande stampa s'è incominciato a discutere delle scelte politiche, ormai incalzanti, che dovranno essere assunte su una base abbastanza ampia di consenso, pena la loro insostenibilità. Ci si è chiesti che cosa dovrebbe fare l'Italia se un'eventuale Brexit innescasse la scissione dell'UE in due velocità, con l'Europa dei ventotto (abbastanza rissosa) da una parte e un nucleo di cooperazione franco-tedesca rafforzata dall'altra parte. Da una siffatta riconfigurazione dell'Europa a due velocità, riconfigurazione che verosimilmente avrà luogo comunque, conseguirebbe un aumento della pressione politica sul nostro Paese affinché esso perimetri con maggior severità le "frontiere esterne" dell'Unione. Senza di che assisteremmo a una chiusura del cordone sanitario ormai predisposto al Brennero, a Ventimiglia e in altre località di confine. Di qui si dipartono alcuni problemi di varia natura. Anzitutto dobbiamo domandarci se una "perimetrazione delle frontiere esterne" possa essere la strada giusta di fronte alle epocali ondate migratorie che vediamo profilarsi all'orizzonte della Storia. A nord delle Alpi non mancano gli opinionisti di rango – primo fra tutti Peter Sloterdijk – che svolgono argomentazioni a favore d'indurimenti “disumanitari” sostenuti da un "quid di crudeltà". Non stupisce perciò che poi gli opinionisti di rango si ritrovino nell'imbarazzante compagnia di loro sedicenti seguaci populisti. Esempio: la Alternative für Deutschland (AfD), il noto movimento di destra emerso dalle recenti elezioni regionali tedesche è capeggiato da Marc Jongen, ex assistente di Sloterdijk. Sicché, mentre nel Mediterraneo annegano i migranti africani a centinaia, i due accademici tedeschi baruffano sul fatto di essere o non essere l'uno allievo e l'altro maestro, con l'allievo populista che tenta l'abbraccio e il maître à penser che tenta un suo flebile divincolarsi, mentre entrambi, tanto il genio quanto lo sciocco, sostengono però la stessa posizione sul punto dirimente e cioè che Grecia e Italia avrebbero il compito di razionalizzare i “respingimenti” cioè, in ultima analisi, gli annegamenti. Peter Sloterdijk A parte il carattere francamente inaccettabile di queste aspettative sul piano morale, la domanda è anche se un eventuale ruolo “disumanitario” assunto dai Paesi meridionali si configurerebbe come compito possibile sul piano dei fatti e se una tale "possibilità di fatto" converrebbe infine in termini politici all'Italia o all'Europa. La povera gente che accorre verso le nostre spiagge ci interpella nel senso di un trattamento umano. Compito di un Paese di antica civiltà non potrebbe essere quindi quello di mettere in atto politiche che contraddirebbero i Diritti generali sanciti alla fine della Seconda guerra mondiale e recepiti in vari accordi internazionali. A quelli che sognano di trarre profitto populista da un tralignamento su questo punto fondamentale basti rispondere che la scelta tra accoglienza e respingimento non sussiste, perché di fatto nei prossimi trent'anni le migrazioni dall'Africa avranno luogo in ogni caso: o in forma pacifica o in forma bellicosa. C'è quindi solo da scegliere tra pace e guerra. Non tra migrazione e non-migrazione. E ci sarà pace se sapremo sviluppare una sufficiente capacità d'integrazione. Altrimenti assisteremo all’escalation: stato di emergenza, d'eccezione, di guerra. Vogliamo davvero andare incontro a un grande conflitto come prezzo da pagare perseguendo un obiettivo irrealizzabile oltreché vergognosamente immorale? <> Poniamo per ipotesi che l'Italia non sia l'Italia – per ben tre volte una grande potenza mondiale sotto il segno del pluralismo delle culture, con la humanitas romana, con l'Umanesimo delle Repubbliche Marinare e con l'universalismo della Chiesa di Roma – poniamo quest'ipotesi assurda, e immaginiamo, dunque, di voler fare qualcosa che non vogliamo fare perché contraddice alla nostra natura migliore nonché alle dure lezioni della storia che sempre sono seguite alle epoche buie dell'imperialismo militare, della decadenza civile e dell'oscurantismo religioso. Di più: poniamo che nei prossimi decenni sia pensabile, sul piano tecnico-militare, buttare letteralmente a mare milioni di persone in cerca di una vita degna del nome. E poniamo – in ipotesi sempre più assurda – che questa immane carneficina non produca alcun effetto né di ostilità del mondo verso di noi né di disgregazione civile interna… Ebbene, sorgerebbe pur sempre la domanda, se a queste condizioni pur ipotetiche, potrebbe davvero in qualche modo convenire all'Italia una politica di respingimenti-annegamenti che ci viene chiesta oggi sulla base di irrazionalismi folli e dal corto respiro. La risposta è no. Il futuro demografico, quindi economico, quindi socio-previdenziale e quindi politico del nostro Paese dipende dalla nostra capacità di realizzare accoglienza e integrazione nei riguardi dei migranti. E quel che – in termini di politiche migratorie – vale per l'Italia, vale per tutta l'Europa, perché ovunque sul nostro continente la denatalità ha raggiunto livelli analoghi al nostro. La popolazione era dapprima cresciuta con il crescere del benessere, fino al punto in cui il progresso materiale si è tradotto nell'evoluzione delle condizioni di vita delle donne. A quel punto abbiamo assistito a una forte decrescita della natalità. Ed è bene così, sul piano globale, perché il nostro obiettivo "in quanto umanità" non può che puntare a una diffusione del benessere che – giunto allo stadio dell'emancipazione femminile – possa riassorbire l'esplosione demografica Novecentesca, a sua volta insostenibile per l’ecosistema Terra. Questo processo di denatalità (e d’invecchiamento della popolazione) ha finora interessato i continenti americano, europeo e in parte asiatico. L'Africa si trova ancora nella fase dell'esplosione demografica, che dovrebbe recedere con l'avanzamento dell'istruzione e della condizione femminile. È dunque di per sé sol che ragionevole predisporsi ad assorbire gli effetti dell'evoluzione demografica africana. Di certo le ragazze europee non sarebbero disponibili ad affrontare, come le nostre nonne o bisnonne, dieci-quindici gravidanze, aborti inclusi, allo scopo di ripristinare il bilancio demografico delle nazioni. Qualunque tentativo di riesumare le politiche mussoliniane ("figli alla Nazione, soldati alla Patria!") si colloca assolutamente fuori dalla realtà e dalla storia. Questo vale per l'Italia, ma anche per l'intero continente. Non è quindi un caso che il governo condotto dalla cancelliera Merker insieme alla SPD abbia avviato in Germania politiche migratorie molto interessanti, nelle quali viene proposto un percorso di diritti e doveri, volto all'integrazione dei migranti nella società e nel mondo del lavoro. È un abbozzo di quel “Servizio civile migranti” (chiamiamolo così) di cui abbiamo talvolta ragionato su queste colonne negli ultimi anni, richiamandoci per altro all'idea di un "Esercito del lavoro" delineata da Ernesto Rossi nel suo saggio Abolire la miseria. Chapeau, dunque, alla Grosse Koalition in quest'ambito. Ma ci vorrebbero due ampliamenti delle politiche migratorie tedesche: da un lato occorrerebbe estendere a livello europeo l'esperimento avviato a Berlino, dall'altro lato occorrerebbe inaugurare, accanto al "Servizio civile migranti", un "Servizio civile giovani". Perché? Perché – se non provvederemo a prosciugare la grande piaga della disoccupazione giovanile, fattore determinante dell’insicurezza generale, la allgemeine Verunsicherung che scuote i ceti medi (e Sloterdijk queste cose le sa meglio di chiunque altro) – risulterà presto impossibile contenere e respingere il populismo. E allora perderemmo la base di consenso necessaria a svolgere politiche ragionevoli e umane e pacifiche anche in ambito migratorio.

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