giovedì 8 agosto 2013

Giuseppe Aragno: L'anomalia Napolitano

Da Liberazione: 08/08/2013 L’anomalia Napolitano Ridurre l’anomalia italiana al caso Berlusconi e - peggio ancora - illudersi di superarla monitorando le reazioni dei berlusconiani e andare avanti con questo governo significa votare al suicidio la nostra democrazia. Comunque vada, il modo in cui esce di scena un uomo che, piaccia o meno, s’intesta un’età della storia d’Italia, proietterà sul futuro le ombre di un passato con cui fare i conti. Inutile ingannare se stessi, la tempesta non ha precedenti. Si naviga a vista, l’ago della bussola è impazzito e se le stelle segnano la rotta si sa: non c’è mare che non abbia tragedie da raccontare e gli astri che guidarono Colombo oltre l’Oceano mare, fino alle sue Indie americane altre volte avevano spinto al naufragio esperti nocchieri. Questo è in fondo la storia: maestra senza allievi, Cassandra di verità negate, che trovano conferma postuma nel disastro invano previsto e mai evitato. Ora tutto pare chiaro e persino facile: c’è una sentenza e si applichi, ipso facto decada il condannato e le Istituzioni facciano quadrato. Basterà solo questo a difendere la legalità repubblicana? Se un conformismo più dannoso della mancanza di rispetto non fosse la foglia di fico di Istituzioni sempre meno credibili, qualcuno troverebbe l’animo di riconoscerlo: la sacrosanta condanna di Berlusconi giunge quando l’uomo incarna una crisi che ormai lo trascende. Paradossalmente egli non ha tutti i torti a sentirsi tradito e in questo suo indecente «diritto» di recriminare si cela forse l’origine vera dell’ultima e più pericolosa anomalia italiana. Un’anomalia che stavolta riguarda direttamente il capo dello Stato. Tre anni fa, in occasione del decennale della morte di Craxi, condannato in ultima istanza come il leader delle destre, Napolitano gli rese omaggio e scrisse alla moglie parole che oggi pesano come macigni: «Cara Signora, ricorre domani il decimo anniversario della morte di Bettino Craxi, e io desidero innanzitutto esprimere a lei, ai suoi figli, ai suoi famigliari, la mia vicinanza personale in un momento che è per voi di particolare tristezza, nel ricordo di vicende conclusesi tragicamente». Non si può tacerlo, perché ha legami diretti con quanto accade e ha fatto molto male alla salute della repubblica. Allora come oggi, il Parlamento era figlio di una legge decisamente incostituzionale, ma Napolitano si mostrava inconsapevole della gravità della situazione. Mentre manipoli di «nominati» di ogni parte politica bivaccavano nell’aula grigia e sorda di mussoliniana memoria, egli non trovava di meglio che ricordare il pregiudicato Craxi e il suo personale rapporto «franco e leale, nel dissenso e nel consenso» col quello che giungeva a definire «protagonista del confronto nella sinistra italiana ed europea». Per il Capo dello Stato, l’uomo che aveva chiuso nella vergogna i cento, nobili anni di storia del partito di Turati, Nenni e Pertini, aveva dato un «apporto incontestabile ai fini di una visione e di un'azione che possano risultare largamente condivise nel Parlamento e nel paese proiettandosi nel mondo d'oggi, pur tanto mutato rispetto a quello di alcuni decenni fa». E’ a questi precedenti, che fanno appello gli eversori quando perorano la causa del loro pregiudicato. Salvandolo dall’estrema ingiuria, la morte impedì a Gaetano Arfè, grande storico del socialismo, politico tra i più intellettualmente onesti dell’Italia del Novecento e irriducibile nemico di Craxi, di replicare a Napolitano. Oggi, tuttavia – ecco Cassandra e la storia maestra senza allievi – quando il disastro è compiuto, oggi il suo giudizio, espresso nel fuoco di mille battaglie, si proietta fatalmente sul caso Berlusconi e si fa per Napolitano un dito puntato che non si può piegare ricorrendo alla Corte Costituzionale. Dove il Capo dello Stato vedeva il lavoro di uno statista, Arfè coglieva la rozza sostituzione degli ideali dell’antifascismo con una sorta di strumentale «sovraideologia, brandita e utilizzata come strumento di costruzione di un nuovo potere». A Bettino Craxi anche Arfè attribuiva un progetto; si trattava però di «un disegno venato di paranoia, […] perseguito con magistrale destrezza tattica, ma con altrettanto grande miseria morale». Per questo era «affondato nel fango». Perché lo meritava. Se Napolitano indugiava su un dato marginale - «il peso della responsabilità caduto con durezza senza eguali sulla persona di Craxi» – e si spingeva fino a ricordare che per una delle sentenze subite da Craxi «la Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo […] ritenne […] violato il diritto ad un processo equo». Arfè guardava lontano e, senza tirare in ballo Strasburgo e l’equità dei processo, coglieva il nodo irrisolto della vicenda: il nesso di continuità tra craxismo e berlusconismo. Per Arfè il craxismo pervadeva ormai l’intero mondo politico, offriva modelli di comportamenti ai gruppi dirigenti, pericolosi strumenti di lotta politica e nuove tecniche di propaganda e manipolazione del consenso. «Sotto questo aspetto – egli denunciò lucidamente - il craxismo è sopravvissuto a Craxi». Questo rinnovarsi della «sovraideologia» craxiana nell’esperienza berlusconiana e il suo perncioso radicarsi nei gangli della vita pubblica italiana, Napolitano l’ha colpevolmente ignorato fino alla sua discutibile rielezione, avvenuta anche grazie al consenso di Silvio Berlusconi; è stato Napolitano a volere le «larghe intese» con Berlusconi e con i berlusconiani e sempre lui, Napolitano, ha invitato un nuovo Parlamento di nominati a metter mano alla Costituzione. Si può gridare allo scandalo per le posizioni eversive assunte dal partito di Berlusconi e stupirsi per il caso «anomalo» del leader condannato, sta di fatto, però, che è difficile negare a Berlusconi ciò che Napolitano ha ritenuto si dovesse a Craxi: pregiudicato, sì, ma degno di essere lodato. In questo senso, i fatti e la loro estrema crudezza parlano chiaro: l’anomalia italiana non si identifica solo con Berlusconi e meglio sarebbe per tutti se, risolta la pratica dell’arresto e messo il condannato fuori dal Senato, il suo sponsor, ottenuta una legge elettorale, lasciasse quel Quirinale mai occupato due volte dalla stessa persona. Giuseppe Aragno

15 commenti:

felice ha detto...

Se di deve ricostruire la storia delle nostre istituzioni le omissioni son altrettanto iportanti dei fatti ernocitati. Ne indico solo 2: A)chi ha promulgato la legge elettorale, che ha scardinato la forma di governo parlamentare, è stato il Presidente Carlo Azeglio Ciampi; B) Se il porcellum ha devastato la vita politica italiana dal 2006 al 2013il "merito" è della magistratura amminustrativa e ordinaria, che ha trovato ogni pretesto per non rimettere alla Corte Costituzionale la l- 270/2005. Cosa dire del silenzio serbato dalle vestali della Democrazia e della Costituzione, rispetto alla giurisprudenza che sottraeva le leggi elettorali al controllo giurisdizionale, in quanto unici arbitri della costituzionalità di una legge elettorale sono le camere elette con la legge di sospetta costituzionalità.

A tutti questi, visto che Arfè era napoletano, mi sento di dire con Totò: " Ma mi faccia il piacere!", manca la credibilità per difendere la Costituzione







franco ha detto...

Prima anccora l'adozione del sistema elettorale misto maggioritario / proporzionale (75-25) perchè è vero che il sistema elettorale non è costituzionalizzato, ma fu quello il varco attraverso il quale passò l'idea maggioritario - presidenzialista, fondata sulla personalizzazione della politica e l'esaustività della governabilità nell'agire politico che hanno finito con lo scardinare l'impianto della democrazia parlamentare (ricordo anche che la bicamerale D'Alema indicò il semipresidenzialismo. Conosco bene la differenza tra presidenziasmo e semipresidenzialismo, ma nella situazione italiana contava e conta il messaggio, ben più delò contenuto). Grazie per l'attenzione Franco Astengo

luciano ha detto...

L'articolo di ARagno su Liberazione, come potrai immaginare, mi ha disturbato per la grossolana faziosità e l'insensatezza sul piano storico. Un"equiparazione tra Craxi e Berlusconi può essere fatta - ovviamente con aggettivazioni contrapposte - solo da fogli di propaganda becera come Liberazione, il Giornale o Libero.
Che il giudizio storico-politico su un leader non si esaurisca nei verdetti dei giudici penali é un concetto di mero buon senso. Kohl verrà ricordato dalla storia per avere riunificato la Germania, non per i fondi neri alla cdu.
Craxi venne condannato per essere stato partecipe di un sistema di finanziamento illecito che era iniziato molto prima di lui è che coinvolgeva sia i partiti di governo sia il pci . Vi sono ragioni meramente tecniche che spiegano come mai altri ugualmente colpevoli non vennero condannati. Esattamente come vi sono ragioni meramente tecniche per le quali Berlusconi é stato assolto o prosciolto in passato da accuse verosimilmente fondate (corruzione, falso in bilancio, ecc.). Ma qui il parallelismo si ferma.
Craxi era animato, come anche i più feroci critici dovrebbero riconoscere, da una passione politica pervasiva, alla quale leninisticamente subordinò ogni remora.
Berlusconi é entrato in politica animato solo dall'affarismo, usando cinicamente le proprie capacità di imbonitore solo per mettere il potere al servizio della propria avidità.
Che il giornale dei nostalgici del comunismo non colga questa abissale differenza tra uno che si contrappose duramente al Pci quando questo era gemellato con il regime della Stasi ed un altro che ha resuscitato i "comunisti" solo per fare miliardi ed ergersi a sultano, la dice lunga sul livello intellettuale di questi poveretti.
Un caro saluto e buone vacanze.
Luciano Belli Paci

giovanni ha detto...

Caro Luciano, lo scritto di Aragno ha, per vari motivi, disturbato anche me. Detto questo, credo però che sia importante, in questi tempi di dissennata invocazione di un non meglio definito "realismo" politico, ribadire una cosa: un socialista liberale e libertario è per l'autonomia della politica, non per il suo primato. Quest'ultima è tipica, appunto, di tutti i regimi totalitari (che giustificano, in questo modo, i loro peggiori crimini) e degli iperrealisti (da Togliatti a Craxi), per convinzione, ma anche per copertura di "marachelle" ed errori politici, anche gravi. Come scriveva Nicola Chairomonte in un bellissimo articolo intitolato "Il realista e l'utopista" (Tempo presente, novembre 1963): "La concezione realista della politica non è meno lontana dalla realtà di quella "idealistica": essa pretende infatti sovrapporre alla realtà della convivenza umana, con tutta la diversità, vivacità e mutabilità dei suoi contenuti, l'ideale di un seguito di azioni motivate unicamente dal freddo calcolo delle forze e dalla considerazione del massimo utile che se ne può trarre. Ora, questa è una concezione che corrisponde alla realtà dei fatti assai meno della ricerca platonica dello Stato meno lontano dalla Giustizia e dal Bene. E' insomma vero anche per la politica quello che André Malraux dice del realismo in arte: non esiste una politica realista, ma solo una fase realista di ogni politica. E non è mai la migliore, si può aggiungere"

luciano ha detto...

Sono d'accordo con te.
>Era peraltro un giudizio sottinteso già nella mia
>definizione della passione politica di Craxi come
>"leninisticamente" slegata da remore. E tu sai quanto sia
>severo un simile giudizio da parte di un menscevico come
>me. Il punto é che se su Liberazione non sanno più
>distinguere tra Lenin e Scilipoti , sono messi davvero
>male ...

edmondo ha detto...

Certo, a Liberazione sono messi male: ma non da oggi!
Meglio il Chiaromonte di 50 anni fa: "non esiste una politica realista, ma solo una fase realista di ogni politica"...

Poi mi dite, Renzi a parte, chi c'è oggi in una fase realista?

Fraterni saluti

Edmondo

roberto ha detto...


Direi di star attenti a certe espressioni: Cosa vuol dire "autonomia della politica" ? Che si accetta il "laissez faire" di tradizione liberale? Che si accetta che la vita sociale sia sottomessa ai rapporti di forza economico-finanziari? Che l' intervento pubblico e la programmazione democratica sono arnesi del passato?
Eh no, il socialismo storicamente riconosce come la conquista ( naturalmente sempre reversibile) del potere politico attraverso i meccanismi istituzionali democratici debba consentire, per mezzo di una strutturale strategia riformatrice. il mutamento dei rapporti sociali nel senso della maggiore tutela possibile dei cittadini, a partire dalle posizioni più deboli.
Mi rendo conto che declinare questi semplici concetti nell' epoca del liberismo è arduo, ma altrimenti di quale socialismo parliamo?
D' altronde va detto che già basterebbe attuare i principi di economia mista previsti dalla nostra costituzione, che probabilmente è la più socialista tra quelle delle democrazie occidentali e che non a caso la destra vorrebbe snaturare.
Attuare tali principi non significherebbe riconoscere un giusto primato (in senso valoriale) della Politica?
So già che qualcuno mi darà, se va bene, del sognatore...

giovanni ha detto...

Caro Roberto,
direi esattamente il contrario.
Per dirla con Adorno, in Minima moralia

quella che un tempo i filosofi chiamavano vita, si è ridotta alla sfera del privato, e poi del puro e semplice consumo, che non è più se non un'appendice del processo materiale della produzione, senza autonomia e senza sostanza propria (...) Solo nel contrasto con la produzione, solo in quanto non sono del tutto controllati e assorbiti dall'ordine, gli uomini sono in grado di creare un ordine più umano

Direi che vale per la vita di ognuno e, a maggior ragione, per la politica. Come ha scritto Tony Judt "quel che preoccupa è fino a che punto abbiamo perduto la capacità di concepire una politica pubblica che trascenda un economicismo limitato. Abbiamo dimenticato come si pensa politicamente".

Ecco, la politica "realista", in tutti questi anni ha fatto solo, e continua a fare, dell'"economicismo limitato", perché da esso, culturalmente, dipendeva, senza più distinzioni. Una politica "autonoma", invece, dovrebbe pensare a "creare un ordine più umano"



Giovanni

luigi ha detto...

Caro compagno D'Ambra,
ma che sognatore e seognatore ... partigiano della Costituzione che
vuole il primato della politica sul potere economico che ci ha
propinato il modello economico neoliberista.
Bella la vignetta di oggi su l'Unità. "Basta nostalgie per la
Costituzione ... un po' di schiavitù e diventiamo competitivi."
Non mi sembra che mettere sullo stesso piano la dittatura poltica
dell'URSS e la funzione sociale dell'economia prevista dalla
Costituzione italiana.
Oggi Letta strombazzava l'uso della Cassa depositi prestiti,
pressoché a finalità privata con soldi pubblici ... il massimo del
neoliberismo in atto, e per i prestiti agli enti locali ... o si paga
l'interesse come un privato o nisba ... il paradosso.
Spero che il compagno Scirocco sia d'accordo sul primato della
politica nel senso previsto dalla Costituzione.
Un dialogante fraterno saluto.
Luigi Fasce

alberto ha detto...

Ma ci ricordiamo che il socialismo moderno ( mai arrivato in Italia in modo pieno) è nato nel 59 a Bad Godesberg, quando nel manifesto fondativo ( che dalla Germania si diffuse a tutto il centro nord Europa) proprio separando la funzione del partito e della politica dalla funzione dello Stato finendola con quel cortocircuito che identificava il socialismo con la presa del potere. Ribadendo che il socialismo è “idea, cultura conoscenza della società “ basata sui valori della eguaglianza della liberta e della solidarietà. Valori che il partito socialista deve porre al centro del proprio agire se vuole conquistare prima gli an imi, le culture, le psicologie, prima dei soli voti.
Dal Manifesto di Bad Godesberg: I socialisti lottano per una società che permetta a ognuno il libero dispiegamento della propria personalità collaborando responsabilmente, nella sua qualità di membro posto al servizio della comunità, alla vita politica, economica e culturale dell’umanità.



Libertà e giustizia si condizionano a vicenda. Infatti la dignità umana sta tanto nell’esigenza di autoresponsabilità quanto nel riconoscimento dei diritti degli altri uomini a sviluppare la propria personalità e a collaborare con uguali diritti alla formazione della società. La libertà, la giustizia e la solidarietà, gli obblighi reciproci che nascono dal vincolo comune, questi sono i valori fondamentali della volontà socialista.



Il socialismo democratico, che in Europa ha le proprie radici nell’etica cristiana, nell’umanesimo e nella filosofia classica, non vuole annunciare nessuna verità ultima non per mancanza di comprensione, o per indifferenza nei confronti delle concezioni del mondo o delle verità religiose, ma per rispetto delle scelte di fede da parte dei singoli uomini, sul cui contenuto non hanno da intervenire né un partito politico, né lo Stato.



Il Partito socialdemocratico tedesco è il partito della libertà di spirito. Esso è una comunità di uomini che provengono da diverse correnti di pensiero e di fede. Il loro accordo si fonda sulla comunanza dei loro princìpi etici ed obiettivi politici. Il Partito socialdemocratico aspira a un ordinamento della vita nello spirito di questi valori fondamentali.



Il socialismo è un compito ininterrotto: conquistare la libertà e la giustizia, conservare e dimostrarsi degni di esse.



Dalla scelta in favore del socialismo democratico nascono una serie di richieste fondamentali che devono essere adempiute in una società degna dell’uomo:

- Tutti i popoli devono sottostare a un ordinamento giuridico internazionale che disponga di un efficiente organo esecutivo. La guerra non deve essere uno strumento politico.

- Tutti i popoli devono avere la stessa possibilità di partecipare al benessere del mondo. I paesi in via di sviluppo hanno diritto alla solidarietà degli altri popoli. “








roberto ha detto...

Ma è proprio per creare un ordine più umano che occorre una strategia politica capace di trasformazioni profonde ( quello che Riccardo Lonbardi chiamava riformismo rivoluzionario) riguardanti ovviamente anzitutto l' economia ( non certo come economicismo limitato). Ma evidentemente c' è parecchio da chiarire...
Io penso ancora che l' economia continui ad essere sia il filo rosso della storia.

giovanni ha detto...

Cari compagni,
ribadisco quello che ho scritto, scusandomi per gli eccessi di semplificazione.
Io credo che sia, ancora oggi, compito fondamentale per un socialista raggiungere la libertà dal bisogno (contrariamente a quanto ci hanno raccontato in questi anni i cantori del liberismo e della globalizzazione). Ma, detto questo, è almeno dal '21 (cfr. il discorso di Turati al congresso di Livorno) e poi di nuovo nel' 56 (cfr. lo scritto di Riccardo Lombardi sul Mondo dell'8 agosto di quell'anno) che i socialisti italiani sanno che non c'è bisogno di una visione ideologica e totalitaria per raggiungere ciò.
Sanno, cioè, che politica e economia sono due momenti diversi dalla vita, che la politica ha la propria dignità e la propria autonomia, così come dovrebbe averla una concezione dell'economia rettamente intesa. Questo, certamente, l'hanno appreso dal liberalismo (non dal liberismo che, come abbiamo visto, è anch'esso, in buona parte, una ideologia), in una visione non riduzionista dell'uomo, della società e della storia. Ciò che, per certi versi, avevano intuito gli autro-marxisti. Anche perché, se vogliamo costruire una "società diversamente ricca", ricordiamoci di quello che scriveva Rosselli in Socialismo liberale:

i marxisti non hanno mai capito che il rafforzamento del movente economico, cui conduce fatalmente la loro dottrina, se dapprima ha risposto pienamente al suo ufficio, oggi impedisce la costruzione di una civiltà nuova e porta il movimento alla corruzione. In troppi casi la èlite operaia socialista, sotto l'influsso del materialismo marxista, anziché esser l'annunciatrice di una civiltà nuova, di nuovi valori culturali, corre il rischio di trasformarsi in una nuova borghesia in potenza, assai in ritardo, quanto a gusti intellettuali, al grosso dell'esercito borghese (...) Prima dell'ideologia, sta la bestia uomo, proletaria e borghese che sia, col suo bagaglio triste di debolezze e di miserie....



Domandatevi quanti operai o sottoproletari in questi anni hanno votato Lega o Berlusconi. Certo, spesso per colpa della sinistra, ma non solo per quello. Ragionare in termini "realistici" o di "primati" non ci porta da nessuna parte, se non a prendere ulteriori capocciate, perché davvero la nostra è una società complessa...

Un caro saluto a tutti

Giovanni

roberto ha detto...

Mi fa piacere che si sviluppino riflessioni sul tema perchè ci aiutano a comprenderci meglio e magari a produrre qualcosa di utile.
Per essere più preciso rispetto alle mie precedenti osservazioni, premesso che con tutto il rispetto per Bad Godesberg non si puo' trascurare il fondamentale apporto del socialismo francese, aggiumgerei che dovrebbe essere ovvio che per il socialismo la funzione del partito è cosa ben diversa da quella dello stato ( addirittura nel primo PSI il gruppo parlamentare rivendicava la sua autonomia dal partito - del quale in genere era più a sinistra). Non è questo il punto..

Primato della politica deve star invece a significare solo che la società sia regolata da leggi adottate in modo democratico, a seguito di libere elezioni (conformemente al dettato costituzionale), senza condizionamenti autoritari, neppure di tipo tecnocratico ( vedasi oggi " i mercati...").

claudio ha detto...

Luigi, ma guarda che la Cassa depositi e prestiti non è babbo Natale, come
crede la sinistra sindacal -parolaia. Deve incassare del gli interessi per
pagarli alle vecchiette che hanno i libretti postali, e che, a differenza
dei nipoti ye-ye che viaggiavano da fondi di investimento a derivati, i
soldini li hanno ancora...

Giuseppe Aragno ha detto...

Sommessamente. L'articolo - che per la verità è uscito anche sul Manifesto - non riporta solo il pensiero di quello sciminuto di Aragno, universalmente noto "per la grossolana faziosità e l'insensatezza sul piano storico". Riferisce - molto spesso testualmente - il giudizio di Gaetano Arfè su Craxi, Berlusconi e il berlusconismo. Non riporta le accorate e sprezzanti parole che Aragno ha ascoltato personalmente su Napolitano, perché i morti non si chiamano a testimoni. Proverò a girare le vostre censure al mio amico Gaetano, ma ho fondato motivi per dubitare che il grande storico del socialismo possa in alcun modo farvi giungere una sua mortificata e postuma autocritica.
Cordiali saluti.
Giuseppe Aragno