giovedì 29 novembre 2012

Macaluso su PCI e PSI

(Antonio Carioti, Corriere del 28 novembre) A volte ci si domanda se in Italia sarebbe stato possibile, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del blocco sovietico, avviare il superamento della divisione tra socialisti e comunisti, evitando la deriva che portò all'implosione del Psi. Probabilmente la risposta è negativa: non c'erano le condizioni storiche necessarie, Ma bisogna riconoscere a Emanuele Macaluso di essere stato tra coloro che con più coerenza e serietà si adoperarono per raggiungere quell'approdo, rimasto però un miraggio. Dall'alto della sua lunga esperienza, l'ex dirigente del Pci ricorda la battaglia condotta assieme agli altri “miglioristi” (ma lui preferisce il termine “riformisti”) da Gerardo Chiaromonte a Luciano Lama. Questo in un un lucido e vivace libro intervista con l'ex direttore dell’Unità, Peppino Caldarola, Politicamente scorretto. Dopo la morte di Enrico Berlinguer, dalle cui posizioni di ostilità verso il Psi si erano distinti, gli esponenti di quella componente comunista si trovarono presi, ricorda Macaluso, in una sorta di tenaglia: da un lato erano visti come un pericoloso fattore d'inquinamento filocraxiano dalla maggioranza del Pci, che li emarginò a tutti i livelli; dall'altro lo stesso Bettino Craxi li considerava potenziali transfughi da attirare gradualmente nelle file del Psi in una logica di annessione. Nemmeno la trasformazione del Pci in Pds cambiò la situazione: Macaluso non ha torto quando sostiene che senza l'azione del gruppo “migliorista”, guidato da Giorgio Napolitano, la svolta di Achille Occhetto “si sarebbe arenata”. Ma gli ostacoli a un ricongiungimento tra i due partiti della sinistra italiana nel quadro del socialismo europeo rimanevano enormi. Come osserva lo studioso Andrea Spiri in un saggio che uscirà prossimamente sulla rivista Ventunesimo Secolo, tra il 1989 e il 1992 Psi e Pci si collocarono agli antipodi su temi cruciali: l'informazione televisiva (legge Mammì), la politica estera (prima guerra del Golfo), le riforme istituzionali (ipotesi presidenzialista e referendum sulla preferenza unica). Non c'è da stupirsi che l'unità socialista predicata all'epoca dal Psi sia rimasta “un'astrazione”, benché Craxi, negli appunti successivi su cui Spiri ha condotto la sua ricerca, rivendicasse la serietà deùe sue intenzioni. Il colloquio di Macaluso con Caidarola non è tuttavia soltanto una riflessione sul passato. Interessanti e condivisibili sono anche i passi critici verso l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia della Procura di Palermo e più in generale verso l'impostazione distorta per cui alle aule dei tribunali viene affidato il compito di “ridare un senso alla politica”. Quando alle sorti del Partito democratico, Macaluso si mostra assai scettico e insiste sulla necessità di guardare al socialismo europeo. Ma il gruppo dirigente del Pd – afferma Macaluso - ha preferito mettere in piedi una formazione che s'ispira semmai, prima di tutto nel nome, al modello americano. Una scelta che, avendo l'Italia un sistema politico e istituzionale lontano anni luce da quello degli Stati Uniti, genera gli scompensi continui sui quali Macaluso esercita la sua vena polemica.

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