domenica 11 dicembre 2011

Andrea Ermano: Un progresso incredibile, un obbligo per tutti noi

Dall'Avvenire dei lavoratori

Un progresso incredibile.

Un obbligo per tutti noi


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“La Germania in Europa, con l’Europa e per l’Europa” - su questo tema Helmut Schmidt, ex cancelliere tedesco, ha tenuto un importante discorso al 66° Congresso della SPD di Berlino. Un discorso che entra a buon diritto nella galleria ideale delle grandi orazioni europeiste e che può aiutarci a focalizzare meglio l'attuale situazione politica.


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di Andrea Ermano


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“Vent’anni dopo Maastricht faremo un nuovo trattato che cancellerà le debolezze dell’euro garantendo la stabilità europea”, ha assicurato a conclusione del tour de force brussellese un'Angela Merkel ostentatamente soddisfatta per “l’accordo sui tetti di debito e le sanzioni automatiche previste dal nuovo trattato”.

La Gran Bretagna si è chiamata fuori e il vice premier europeista Nick Clegg ha espresso “rammarico” per la mancata soluzione comune, rilevando che le richieste inglesi erano ragionevoli: “Quel che cercavamo di ottenere” – ha aggiunto il leader liberaldemocratico britannico – “era un terreno di gioco comune per i servizi finanziari e il mercato unico. Che ci avrebbe consentito i margini necessari a introdurre misure più severe per regolamentare il nostro sistema bancario”.

In realtà, il Regno Unito non sarebbe stato in grado di accedere a un qualunque accordo, ragionevole o non ragionevole, senza ricorrere al referendum solennemente promesso nel caso da Cameron durante la scorsa campagna elettorale, e questo avrebbe bloccato il convoglio europeo. Di qui l'indisponibilità continentale ad annacquare le strategie per compiacere i britannici.

"I capi di Stato e di governo di Bulgaria, Repubblica Ceca, Danimarca, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Svezia" hanno indicato in un comunicato congiunto il loro consenso unanime (per ora) alla linea indicata dai paesi dell'Eurozona, cioè "la possibilità di prendere parte a questo processo dopo aver consultato i loro parlamenti laddove opportuno”.

Per il presidente della Ue, Herman Van Rompuy, dal vertice di Bruxelles escono “importanti decisioni atte a salvaguardare la stabilità della zona euro”.

Giudizio positivo anche dal direttore dell’Fmi, Christine Lagarde, secondo la quale l’impegno europeo “rafforza anche la capacità del Fondo monetario”.

La Borsa italiana ha risposto bene e piazza Affari è rimbalzata al +2,83% nel primo pomeriggio di ieri l'altro, dopo che giovedì aveva accusato il calo più pesante nel continente (-4,29%).

Joschka Fischer, venerdì a Roma per prendere parte al congresso del Partito Radicale transnazionale, ha giudicato positivamente il percorso iniziato, ponendo però l’accento sulla natura iniziale delle decisioni assunte di fronte a una crisi che, ha confessato l’ex ministro degli esteri tedesco, "non avrei mai immaginato di vedere nel corso della mia vita”.

“Il nocciolo specifico della crisi europea è la crisi dei governi e non la crisi finanziaria”, ha aggiunto Fischer osservando che l'emergenza finanziaria è risultata dal crollo di liquidità prodottosi nel sistema bancario globale: “Ma questo ha colpito tutti i paesi, mentre solo da noi si è trasformata in una minaccia all’esistenza stessa” dell'Europa e del progetto europeo, “perché solo in Europa non abbiamo un governo centrale, un ministero comune del tesoro né una qualche forma di controllo parlamentare”.

Nel medio periodo ("due o tre anni") dovremo dunque approdare a una federazione leggera degli Stati Uniti d’Europa: “Non dobbiamo prenderci in giro”, ha ribadito l’ex vice-cancelliere e leader ecologista tedesco, “non ha alcun senso una moneta comune senza una politica comune”. Perciò, ha concluso Fischer: “sarebbe ovviamente auspicabile procedere tutti insieme, ma se questo non è possibile, anche l’Eurozona (più chi ci sta) può essere per intanto una soluzione”.


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Fresco di stampa - Editoriale di Eugenio Colorni (Centro Interno del PSI) su L'ADL dell'11 febbraio del 1944


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Sempre nella seconda sessione del congresso radicale, presieduta da Emma Bonino, hanno posto accenti analoghi Antonio Taiani (PPE), Commissario UE per l'Industria e l'Imprenditoria, e l’ex ministro socialista francese Bernard Koucher, entrambi condividendo l’utilità dell’accordo di Bruxelles ed entrambi ribadendo però la necessità di incamminarsi verso gli Stati Uniti d’Europa.

È lecito chiedersi come, in questa prospettiva, si posizionerà la Germania. E qui occorre allora riandare a domenica scorsa quando Helmut Schmidt ha preso la parola al 66° Congresso della SPD sul tema: La Germania in Europa, con l’Europa e per l’Europa.

La lectio magistralis del Cancelliere emerito, novantatreenne, non può essere qui riassunta in brevi parole. Diciamo che essa ha manifestato acuta consapevolezza delle sfide globali in atto, di fonte alle quali né l’Europa né i singoli paesi in essa, e nemmeno la Germania, saranno in grado di salvaguardare un ruolo di qualche rilievo, ove si presentassero disuniti.

“Cinquant’anni fa l’Europa rappresentava un terzo dell’economia e della popolazione globale”, ha fatto presente Schmidt: “Tra cinquant’anni i paesi europei, Germania inclusa, non verranno più misurati in percentuale, perché nessuno di essi raggiungerà la centesima parte del mondo, nemmeno la Germania. La nostra misura, se l’Europa fallisse, sarebbe il millesimo”.

Se questo malaugurato scenario di disunione si verificasse, verrebbero messi a rischio non solo il contributo dell'Europa al progresso umano in termini di sviluppo e diritti civili, non solo il benessere morale e materiale dei nostri popoli, ma la stessa pace.


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Helmut Schmidt, classe 1918


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L’effetto politico della posizione assunta della SPD, che ha fatto quadrato intorno al cancelliere decano, è presto detto: ora Angela Merkel sa di non poter sopravvivere politicamente a un eventuale acuirsi della crisi europea. E Schmidt, con grande autorevolezza, ha chiarito che nessun apprezzabile risultato potrà conseguirsi lungo la strada, diciamo, dell’autoaffermazione dell’export teutonico, nemmeno laddove esso s’intenda rivolto alla virtù, per altro ambigua, della disciplina di bilancio.

“Se oggi la più parte del continente gode dei diritti umani e della pace, noi questo progresso non ce lo eravamo neanche immaginato: né nel 1918 né nel ‘33 né nel 1945. Ma questo progresso incredibile è, insieme, anche un obbligo, per tutti noi. E dunque noi dobbiamo lavorare, e noi dobbiamo combattere", ha concluso Schmidt, "affinché l’Unione Europea, unicum della storia, sappia uscire dalla sua attuale debolezza, forte e consapevole di sé”.

Standing ovation di dieci minuti. E il grande vecchio della socialdemocrazia europea alla fine era talmente emozionato da doversi accendere una sigaretta (vietatissima), sulla sua sedia a rotelle, in mezzo a una platea visibilmente commossa.

Occorrerà ritornare, appena possibile, su questa lectio del cancelliere emerito, che entra nella galleria ideale dei grandi discorsi europeisti inaugurata il 19 settembre 1946 dall'ex premier britannico Winston Churchill nell’aula magna dell’Università di Zurigo: “Therefore I say to you: Let Europe arise!”.

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