mercoledì 4 marzo 2009

alessandro aleotti: la crisi economica

dal sito www.milania.it

ARGOMENTO DEL GIORNO (non tutti i giorni)
mercoledì 04 marzo 2009
LA CRISI ECONOMICA: COME SE NE ESCE
E’ a tutti evidente come la crisi economica che stiamo vivendo non appartenga al novero delle crisi congiunturali. Si è rotto qualcosa, ma ancora non si è capito che cosa. A prima vista, la crisi appare tutt’altro che catastrofica: una bolla finanziaria di natura speculativa che volteggiava sui mercati da almeno dieci anni, è finalmente scoppiata in mano alle banche. Certo, la comunità finanziaria ha preso una bella botta (anche lì ci sono dei lavoratori) e molti patrimoni in gestione si sono ridotti nel loro teorico valore. In ogni caso, anche se questo non appare nel tanto superficiale quanto retorico racconto politico-mediatico, non si sono “fatti male” i poveri, ma i ricchi e gli straricchi. Anzi, le conseguenze deflattive su molti mercati di consumo, unite al crollo dei prezzi delle materie prime (a cominciare dal petrolio) e al drastico ridursi dei tassi d’interesse, sono tutti elementi che oggi migliorano i bilanci delle fasce sociali medie e basse.

Se, per un miracolo, da oggi riprendesse a tirare l’economia reale, questa crisi passerebbe alla storia come una benefica “boccata d’ossigeno” per i redditi più bassi. Purtroppo, in economia i miracoli non esistono e noi ben sappiamo che...

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il ciclo economico non riprenderà né oggi, né domani, poichè sembra essersi ingrippato definitivamente il meccanismo economico tradizionale fondato sulla crescita di produzione e consumo degli stessi beni da più di un secolo. Se non si troverà una via d’uscita non tradizionale, non ci resta che preparare i fazzoletti da riempire di lacrime quando milioni di lavoratori cominceranno ad abbandonare i propri posti di lavoro occidentali, divenuti ormai inutili e fuori mercato.

Di fronte a questo scenario, è evidente che a nulla servono gli “stimoli al consumo”, a cominciare dalle rottamazioni automobilistiche, non già perché questi siano insufficienti, quanto perché non esiste più una reale motivazione all’acquisto dei beni tradizionali. Che ce ne facciamo di un’auto nuova, quando a Milano ci sono più di 5.000 auto per chilometro quadrato, oppure di abbigliamento italiano, quando quello cinese costa il 90% di meno? Insomma, la nostra economia reale, finchè produrrà sempre le stesse cose, non potrà mai ripartire.

La storia ci insegna che dalle crisi profonde si esce con un cambio di paradigma. Purtroppo, questo cambio rispetto ai meccanismi dell’economia classica si è sempre incarnato nel maleficio keinesiano che, pur partendo dalle buone intenzioni della spesa pubblica, è sempre sfociato nella perversa statalizzazione dell’economia che, in ultima analisi, ha quasi sempre condotto alla guerra. Detto così sembra paradossale e provocatorio, ma questa è una dinamica da cui, negli ultimi due secoli, non ci si è mai riusciti a sottrarre.

Tuttavia, a differenza delle grandi crisi fondate su una scarsità di beni o un azzeramento della liquidità, noi oggi ci troviamo di fronte a una crisi in cui ciò che manca non sono i beni tradizionali (prodotti a costi risibili dai cinesi) o la liquidità (asciugata solo dentro i mercati finanziari), ma le cose che vale la pena comprare. Insomma, ci troviamo di fronte a una crisi derivante da una scarsità di innovazione reale. Perciò, invece di ripercorrere le tragiche strade del keinisismo bellico, dovremmo pensare ad un “salto in avanti” nella mercatizzazione dell’innovazione.

Mi spiego: oggi le tecnoscienze sono in grado di offrire all’uomo soluzioni a problemi che, solo venti anni fa, apparivano senza via d’uscita. Dalle terapie geniche alle nanotecnologie e, in più ampia scala, dalle nuove fonti energetiche al recupero ambientale delle aree desertiche, la nostra vita potrebbe essere travolta dalla trasformazione operata dalle tecnoscienze. Se cominciassimo a pretendere dall’economia di mercato, non solo borsette e automobili, ma soluzioni efficaci per migliorarci la vita, allora state pur certi che un meccanismo di sviluppo economico “vero” si rimetterebbe in moto.

Per far questo, però, occorre smettere di tremare ogni qual volta si intravede una “rottura dell’ordine costituito”, strillando all’eugenetica quando compare una provetta e alla deturpazione ambientale quando una gru vuole costruire nuovi pezzi di città. Finchè, quando compaiono idee volte a creare un futuro diverso, rimpiangeremo sempre il bel tempo antico, resteremo inevitabilmente prigionieri dentro un recinto di tabù. E’ vero che siamo tutti d’accordo nel sostenere la ricerca, ma è altrettanto vero che ci spaventiamo quando questa ricerca produce concretamente tecnologie per l’uomo che non siano decise dai sacerdoti delle vecchie caste politico-religiose.

Prima o poi, diverrà chiaro che il dilemma sarà tra “guarire con le biotecnologie o morire sotto le bombe” e, a quel punto, le vecchie caste dovranno capitolare di fronte all’umana esigenza di sopravvivere. Ma, la classe dirigente o, se volete, la comunità intellettuale, serve a qualcosa se riesce ad evidenziare in anticipo i problemi, affinchè le soluzioni non nascano sempre in ritardo. Altrimenti, risulta del tutto inutile parlare, scrivere e leggere.
Alessandro Aleotti
Milania, 4 Marzo 2009

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