martedì 24 marzo 2009

andrea romano: i progressisti tristi

andrearomano
Oggi 24 marzo 2009, 10 ore fa

I progressisti tristi al tempo della crisi
Oggi 24 marzo 2009, 10 ore fa
I tempi di crisi economica non sono i più adatti al morale dei progressisti. Soprattutto di quei progressisti che hanno vissuto lunghe stagioni di successo e consenso sospinti dalla fiducia nelle capacità espansive della globalizzazione. Ed è un clima malinconico quello nel quale a giorni si riunirà in Cile il mondo politico-intellettuale progressista nella conferenza annuale promossa da Policy Network, il think tank britannico di Peter Mandelson che da tempo anima e coordina il circuito della Progressive Governance. Sarà tra l’altro l’occasione per il debutto internazionale di Dario Franceschini, scortato da Francesco Rutelli e Piero Fassino nella prima missione di presentazione all’estero del PD post-veltroniano. Ma sarà soprattutto il momento nel quale, a pochi giorni dal G20 di Londra, la sinistra riformista internazionale proverà a fare il punto sulla propria agenda dinanzi alla crisi globale. Ammesso che un’agenda comune esista davvero, il che appare tutt’altro che scontato guardando al programma e ai materiali preparatori del seminario in calendario tra giovedì e sabato a Vina del Mar sulla costa cilena del Pacifico.

I colori che dominano sono quelli cupi dell’incertezza. Sulle risposte politiche da dare alla crisi ma anche sui capisaldi ideali che hanno sorretto il progressismo nell’ultimo quindicennio, oggi scossi quanto e più delle borse dalla turbolenza economica globale. Nell’introduzione generale al seminario non si nasconde la dimensione del pericolo. È vero, scrive il direttore di Policy Network Olaf Cramme, che “la forza della politica socialdemocratica è sempre stata la capacità di prendere atto della nuova realtà”. Ma ancor più vero è che “il movimento progressista avrà bisogno di una revisione radicale delle proprie politiche, capace di riconoscere non solo la gravità della crisi ma anche la relazione nuova e complessa che oggi lega la richiesta di maggior giustizia sociale al bisogno di dinamismo economico e sviluppo sostenibile. Se i partiti di centro-sinistra non riusciranno ad offrire un’alternativa credibile e capace di incrociare gli interessi della maggioranza della popolazione, il rischio che incombe su di noi è quello dell’irrilevanza politica”.

La minaccia viene direttamente dalla risorgenza del nazionalismo, sulle ceneri della fiducia nella globalizzazione che aveva animato gli anni migliori del progressismo. Ricorre in più di un contributo l’espressione “de-globalizzazione”, ad indicare la miscela di populismo e protezionismo che sta ispirando alcune delle risposte nazionali alla crisi economica. Così come è ampiamente condivisa la percezione che dinanzi a questo mix non sia più adeguata la risposta tradizionale del “progressismo redistributivo”, come lo definisce l’ex consigliere per le politiche europee di Blair Roger Liddle: “Occorre andare oltre quanto abbiamo sempre detto: ‘i mercati facciano pure il proprio mestiere e noi ci occuperemo di renderlo politicamente accettabile, con politiche di redistributizione e protezione sociale”.

Se questa è la diagnosi, le risposte che il seminario si prepara a formulare appaiono molto diversificate. Nel tono, nella sostanza e anche nel criterio geografico che sembra ispirarne l’articolazione. Gli europei più sfiduciati e presi dagli interrogativi piuttosto che dalle risposte, con Will Hutton che vagheggia “una risposta regolativa internazionale di grande impatto da associare ad un nuovo sistema finanziario internazionale” o il direttore della London School of Economics Howard Davies che si domanda (senza rispondere) “come ricostruire il contratto sociale tra lo stato e i mercati finanziari?”. Con gli esponenti della sinistra di governo sudamericana, come il consigliere di Lula Marco Aurélio Garcia, che si entusiasmano per la nuova fortuna dello Stato come attore economico: “Perché lo Stato è tornato, come unica risposta affidabile all’irrazionalità economica del sistema di libero mercato”. E gli statunitensi nel mezzo, unici a mostrare segni di ottimismo e indizi di reale innovazione politica forse per l’effetto ancora vitale della vittoria dei Democratici. Come nel contributo di John Podesta, fondatore del Center for American Progress e tra i principali consiglieri di Obama, che indica un futuro politico per il progressismo nelle politiche ambientali come duplice chiave di ripresa economica e giustizia sociale: “perché negli Stati Uniti e in altre economie avanzate, la trasformazione della nostra antiquata infrastruttura energetica potrà essere motore di innovazione, crescita economica e creazione di occupazione per molti decenni a venire”. O come nella riflessione di Robert Reich, già ministro del lavoro nella prima amministrazione Clinton, che disegna uno scenario di “strutturalismo progressista” nel quale al di là della contingenza delle misure anticicliche sarà fondamentale “aumentare gli investimenti pubblici in beni collettivi come le fonti di energia rinnovabile, politiche formative per l’intero ciclo di vita e il miglioramento radicale dei sistemi sanitari”.

Tra molti interrogativi e qualche sparso segno di vitalità, il seminario di Policy Network si sovrapporrà al vertice internazionale dei capi di stato e di governo progressisti in programma sabato a Vina del Mar. Un summit al quale è prevista la partecipazione, tra gli altri, dell’australiano Kevin Rudd, del vicepresidente statunitense Joe Biden, di José Zapatero e Gordon Brown. In gran parte gli stessi protagonisti che si ritroveranno la settimana successiva a Londra con Barack Obama, per la riunione del G20 che avrà il compito di passare dalla teoria alla pratica della cura.

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