martedì 24 marzo 2009

Yehoshua: Israele, voltafaccia a sinistra

da La stampa

24/3/2009

Israele voltafaccia a sinistra





AVRAHAM B. YEHOSHUA

Il risultato delle recenti elezioni ha rappresentato un duro colpo per entrambe le ali della sinistra israeliana: quella più moderata del partito laburista, compartecipe negli ultimi anni delle coalizioni di governo di Sharon e di Olmert e i cui leader sono stati ministri della Difesa durante la seconda guerra del Libano e l’ultima operazione a Gaza, e quella del piccolo partito di opposizione Meretz.

I laburisti, da decenni al centro della vita politica israeliana e il cui mitico leader, David Ben Gurion, è stato fondatore e primo ministro di Israele, hanno perso negli ultimi tempi la fiducia dei propri elettori. Tale defezione non è dovuta a una radicalizzazione del loro programma politico o alla corruzione dei loro dirigenti, ma a una tendenza diffusa a voltare le spalle ai partiti della sinistra che ha portato i laburisti a perdere quasi un terzo dei voti e a ottenere a malapena il dieci per cento dei seggi alla Knesset.

Il piccolo partito di opposizione Meretz, a dispetto del mio voto, ha fatto registrare un risultato ancora più deludente. All’epoca del governo Rabin, più di quindici anni fa, il Meretz poteva contare sul dieci per cento dei seggi in Parlamento mentre nelle ultime elezioni ne ha ottenuto solo il due per cento, nonostante da anni non faccia parte di nessuna coalizione e non abbia responsabilità di sorta in insuccessi politici. Per anni, e con grande impegno, il Meretz ha tenuto alto il vessillo della pace e del compromesso e i suoi rappresentanti non sono mai stati coinvolti in scandali pubblici. Eppure, sebbene questo piccolo partito condensi il buono e il bello di Israele, alle ultime elezioni ha ottenuto solo tre seggi alla Knesset.

Quali sono i motivi di questa débâcle? Da un lato la sinistra israeliana va fiera del fatto che gli ideali per i quali ha lottato per anni, ovvero il riconoscimento del diritto dei palestinesi a uno Stato che coesista in pace e in sicurezza a fianco di quello israeliano, sono ora accettati da gran parte dell’opinione pubblica. Dall’altro, proprio la sinistra propugnatrice di questi ideali perde l’appoggio dell’elettorato e viene abbandonata persino da vecchi sostenitori.

Una delle spiegazioni di questa sconfitta viene indicata nella scelta degli elettori tradizionali della sinistra di votare Kadima, un partito composto per lo più da ex esponenti della destra, Tzipi Livni in testa, per arginare l’avanzata della destra radicale di Benyamin Netanyahu. Ma tale spiegazione, a mio parere, è puramente tecnica. Un voto mirato ad «arginare» la destra radicale non rispecchia il profilo socio-intellettuale degli elettori di Meretz, in gran parte persone istruite, sorrette da una precisa ideologia, appartenenti ai ceti medio alti e con un’ampia e profonda visione politica. Era infatti apodittico che l’incarico di formare una coalizione di governo non sarebbe stato affidato al leader del partito che avesse ottenuto il maggiore numero di voti ma a quello della coalizione con le migliori chance di costituire un esecutivo. E un voto a sinistra avrebbe comunque rafforzato il blocco guidato da Tzipi Livni.

Ritengo che il drammatico voltafaccia degli elettori della sinistra sia probabilmente di origine emotiva. Senza rinunciare alle speranze di pace, molti di loro hanno espresso in questo modo la disapprovazione verso il tono cinico, lamentoso e ferocemente critico nei confronti dello Stato e delle sue istituzioni recentemente adottato da portavoce e giornalisti della sinistra (soprattutto da quelli di Haaretz, il più importante quotidiano liberale di Israele). Durante l’ultima operazione a Gaza molti di loro non hanno esitato a bollare i loro connazionali come «criminali di guerra» e ad accogliere le posizioni dei palestinesi senza muovere alcuna critica verso le loro aggressioni. Nell’opinione pubblica si è diffusa la sensazione che tali personaggi avessero perso il naturale senso di solidarietà col loro popolo e soprattutto con gli abitanti del Sud di Israele, bersagliati dal fuoco di Hamas dalla striscia di Gaza.

Talvolta sembrava che i loro attacchi velenosi non fossero rivolti a questa o quella decisione del governo ma si unissero alle critiche della sinistra mondiale verso la legittimità stessa di Israele. La negazione dell’ideale di uno Stato ebraico è infatti comune a circoli religiosi ultraortodossi e alla sinistra antisionista. Le fasce più deboli della società israeliana hanno spesso criticato la sinistra nei seguenti termini: voi vi preoccupate più degli arabi che di noi. Tali critiche sono state puntualmente respinte. Per la prima volta però ho la sensazione che alcuni miei vecchi amici, accantonato l’impegno della lotta ideologica a favore di «due stati per due popoli», principio ormai generalmente accolto, mantengano una carica di energia polemica non ben finalizzata e abbiano cominciato a lanciare fuoco e fiamme contro le fondamenta stesse dello Stato.

Io personalmente non ho fatto dietrofront, non ho cambiato opinione e alle ultime elezioni ho votato, come tradizione, per il piccolo Meretz. Ritengo però che se la sinistra israeliana non vuole scomparire alle prossime elezioni deve farsi un approfondito esame di coscienza, non solo a livello politico e organizzativo ma anche a livello emotivo e spirituale.

Nessun commento: