Prima La Politica
Oggi 24 marzo 2009, 2 ore fa
Torna a fiorir la Rosa (di Luca Cefisi per Mondoperaio numero 1/2009)
Oggi 24 marzo 2009, 2 ore fa | admin
26 marzo 2009
Giovedì 26 marzo a Roma, presso la sala del Mappamondo della Camera dei Deputati, sarà presentato il primo numero della nuova serie della rivista Mondoperaio. Anticipiamo un articolo di Luca Cefisi.
“Prima le persone” è il tentativo più ambizioso compiuto dal Partito del Socialismo Europeo (Pse) di proporre una vera e propria piattaforma politica europea. Grosso modo, quello che era sempre stato rimproverato ai socialisti europei di non aver fatto. In realtà, il programma 2009 del Pse non poteva giungere prima, perchè soltanto nell’ultimo quinquennio l’evoluzione istituzionale e politica dell’Unione Europea ha consentito la costituzione di partiti politici europei strutturati e riconosciuti (e pubblicamente finanziati !). Un partito politico esiste in funzione di un parlamento e di un governo. Questa è del resto la difficoltà che vive l’Internazionale Socialista, che ha per suo naturale riferimento l’Organizzazione delle Nazioni Unite (soggetto prezioso ma notoriamente limitato e spesso bloccato nella sua azione). La crescita del Pse è quindi in funzione della crescita di importanza e di ruolo delle istituzioni dell’Unione Europea. E’ perchè l’Europa unita è più importante di un tempo nelle nostre vite, e per questioni che non sono la lunghezza standard delle banane ma le regole nel mercato unico, la libera circolazione, il ruolo europeo nella globalizzazione, che si è arrivati al manifesto “Prima le persone”. E’ un programma elettorale che si articola in 71 proposte per sei temi cardine: rilancio economico e prevenzione delle crisi finanziarie; un patto sociale più equo; affrontare il cambiamento climatico; difendere le pari opportunità; sviluppare un’efficace politica migratoria; promuovere pace, sicurezza e sviluppo a livello globale. Va da sè che si tratta di un programma vincolato agli ambiti e alle competenze comunitarie: non vi si troveranno proposti, quindi, i matrimoni tra le persone dello stesso sesso, ma piuttosto la proposta di parità di trattamento tra i cittadini dell’UE, nella direzione “del riconoscimento in tutti i Paesi dell’UE dei matrimoni, delle unioni civili e dei diritti parentali legalmente riconosciuti in un altro stato membro”.
“C’è chi sostiene che non siamo più in grado di permetterci elevati livelli di sicurezza sociale, ma l’Europa è il più grande mercato economico e lavorativo al mondo e abbiamo la capacità di garantire che sia un mercato al servizio delle persone, dei lavoratori e delle imprese” questo passaggio del Manifesto riassume la visione della modernità dei socialisti europei: che rifiuta la prospettiva di una sempre più feroce competizione globale che impone un progressivo smantellamento delle garanzie sociali e salariali, ed un aumento delle ore lavorate. “I conservatori dichiarano che la globalizzazione rende necessario lavorare di più e più a lungo. (…) Non si tratta di lavorare di più, ma in modo più intelligente.”
Sicuramente, tagli e sacrifici in questi anni non sono mai stati applicati a quella casta di amministratori e manager che hanno visto crescere in maniera esponenziale i loro redditi, costituendo uno smaccato e crescente divario tra classi medie da un lato e ricchi e ricchissimi dall’altro. Imporre un cap alle retribuzioni dei dirigenti, o perlomeno un criterio di proporzionalità non solo rispetto ai profitti ma anche rispetto alle perdite, fa parte delle proposte del primo tema del Manifesto, quello delle regole da imporre alla speculazione finanziaria. In linea con l’agenda di Lisbona, il futuro economico dei paesi europei, e alla fine il loro successo nei mercati mondiali, è visto nella maggiore coesione sociale, nella maggior partecipazione di donne, giovani e anziani alla formazione, al lavoro e al reddito, nel valore aggiunto della ricerca e sulla sostenibilità sociale ed ecologica. La crisi climatica ispira la parte più innovativa delle proposte di politica industriale e di sviluppo del Pse, che mettono al centro il risparmio e la produzione dell’energia, a partire dal solare e dall’eolico, promuovendo le imprese ad alta intensità tecnologica. Sappiamo che il governo Berlusconi, con il sostegno di Confindustria, si è trincerato in una posizione assolutamente opposta (contestnado il protocollo di Kyoto e persino abbandonando gli sgravi fiscali all’efficienza energetica e al solare nell’edilizia).. Una posizione che ha messo obiettivamente l’Italia alla retroguardia, non certo bilanciata dallo strombazzato rilancio del nucleare. Sul questo, il Manifesto si limita a prendere atto che si tratta di una scelta nazionale, proponendo però un sistema europeo di controllo sulla sicurezza. Infatti, il ricorso al nucleare, che peraltro il protocollo di Kyoto non incoraggia affatto, escludendolo esplicitamente dalle iniziative “CDM” di sviluppo energetico, non appare oggi una soluzione strategica a livello europeo. Se esistono senza dubbio modelli nazionali che ne hanno fatto una pietra miliare, prima di tutto quello francese, la tendenza prevalente dei socialisti europei è ad un prudente abbandono di questa fonte, a partire dalla Spagna, dall’Austria, dalla Germania.
A proposito di “vie nazionali”: il Manifesto non potrà fare da protesi all’autonomo ruolo dei diversi partiti socialisti. Ma forse oggi il clima generale è più favorevole di qualche anno fa al rilancio di una cultura socialdemocratica trasversale e condivisa. Infatti, fino a qualche anno la Neue Mitte di Schroeder e il New Labour blairiano (la cui influenza sull’evoluzione del Partito democratico di Veltroni e D’Alema è innegabile) sembravano proporre una definitiva mutazione genetica della socialdemocrazia (la “Terza Via”). Ma se c’è stato un elemento ideologico, quindi illusorio, nella “Terza Via” è stato proprio nel credere che l’efficienza economica e la promozione delle opportunità potessero evitare di affrontare il problema, erroneamente avvertito come “obsoleto”, della redistribuzione e delle garanzie: qui c’è stata effettivamente troppa ideologia liberale, con il retropensiero implicito che il problema dell’eguaglianza sia in fondo irrisolvibile. La crisi finanziaria internazionale, e il crescente malessere sociale provocato dalla precarizzazione del lavoro e dalla crescita delle diseguaglianze hanno ridato argomenti ala buona vecchia socialdemocrazia. Al vertice del G20, Brown ha dato l’impulso per “una nuova Bretton Woods” (bentornato vecchio Keynes…), insomma ad una responsabilità comune dei governi nella gestione della finanza internazionale. E’ la fine di Friedman, e anche di Soros. Soprattutto, per la prima volta dagli anni 70, i laburisti britannici hanno messo mano al fisco in senso redistributivo: taglio dell’Iva, riduzione delle tasse per la classe media, aliquota al 45% per i redditi alti. Questo ritorno di politiche keynesiane, per quanto efficaci e quindi pragmaticamente gradite alla business community, non significa necessariamente che si allargherà il sostegno ai partiti socialisti: i Sarkozy ed i Tremonti sono perfettamente attrezzati per un neo-statalismo che assista il capitalismo nella sua crisi, senza per questo complciarsi la vita con scrupoli di giustizia sociale. Il ritorno della socialdemocrazia non è quindi soltanto nel ritorno dell’intervento statale: è un’idea di società equa e solidale, di politiche di cooperazione e di pace, di limiti all’avidità e all’individualismo. E su questo il conflitto politico è più aperto che mai.
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