Il “berlusconismo” non è finito, anzi, dilaga nella società italiana, e non per opera dello “spirito santo”, ma come puntuale conseguenza dell’attuazione del programma di cui è la più efficace espressione, un programma praticato per trent’anni in molti modi, non solo con gli strumenti propri della politica costituzionale, ma anche, se non addirittura soprattutto, con gli strumenti “impropri” della politica in-costituzionale. Codificati questi ultimi, in modo esemplare nel cosiddetto “piano di rinascita”, concepito da quella associazione a delinquere che è stata la loggia massonica denominata a suo tempo Propaganda 2, e che continua tutt’oggi a vivere sotto cartigli ignoti. È disarmante che anziché registrare i limiti dell’antiberlusconismo, così come è stato praticato negli ultimi quindici anni, si dichiari che “l’antiberlusconismo è finito”. Una vita fa, nel 1981, ho sentito dalla voce di Riccardo Lombardi, pronunciare questa battuta: “a differenza di quanto pensano i compagni toscani, le parole fanno figli”. Sono molto d’accordo con il senso di questa battuta, e sono di conseguenza tristemente colpito, a fronte del dilagante berlusconismo, dalle parole che danno per finito l’antiberlusconismo. Cito Marco d’Eramo che ha citato Pierre Bourdieu, “la lotta politica comincia con la lotta per conquistarsi un nome per sé e affibbiare un nome all’avversario”, per concludere qui amaramente che una sinistra che rinuncia al suo nome, non può nemmeno continuare a combattere da morta credendo di essere viva.
Vittorio Melandri
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