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Il Senato vota contro la dignità e contro la Costituzione
di Carlo Flamigni
Dom, 29/03/2009 - 22:16
Il Senato ha approvato il progetto di legge sul testamento biologico che ora passerà alla Camera per una seconda discussione. La lettura degli articoli di questa probabile nuova legge dello Stato è interessante e chiarificatrice.
Nell’articolo 1 si afferma intanto che la legge tiene conto dei principi di cui agli articoli 2,13 e 32 della Costituzione, quegli stessi ai quali si ispirano tutti coloro che sono contrari a questa stesura e la ritengono anticostituzionale proprio perché viola il principio di libertà di rifiuto delle cure. Il preambolo ci ricorda anche che è stato votato un emendamento dell’UDC che ha cancellato l’obbligo per il medico di tener conto del contenuto di questo testamento, diventato quindi del tutto inutile: è bene ricordare che questo emendamento contraddice quanto è contenuto nei documenti degli Ordini dei medici che dettano le regole del corretto comportamento professionale.
Il comma a dell’articolo 1 stabilisce poi che la vita umana è un diritto inviolabile e indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza persino per chi non è in grado di intendere e di volere e fino alla morte accertata nei modi di legge. Questo è un punto critico di tutto l’impianto e deve essere discusso con molta attenzione. In realtà il principio secondo il quale la vita è un bene indisponibile e che ogni esercizio della libertà che porti alla negazione della propria identità è illegittimo, è una fissazione di alcuni bioeticisti cattolici. In genere si considerano indisponibili i diritti che riguardano elementi per i quali lo Stato può dimostrare interesse prevalente , ed è molto difficile dimostrare che lo stato ha interesse prevalente per la vita terminale, soprattutto se si tratta di una persona in stato vegetativo o in coma: fuori da ogni ipocrisia, dunque, questa specifica indisponibilità è di interesse esclusivamente religioso e, non me ne vogliano i miei amici cattolici, a me di questo interesse non me ne può fregare di meno. Nessuno Stato in genere stila elenchi dei diritti indisponibili, perché i mutamenti delle abitudini sociali modificano continuamente i criteri che vengono seguiti per indicarli e gran parte di questi criteri hanno a che fare con la fede, non hanno niente di razionale e non hanno niente a che fare con la nostra esistenza di cittadini, sono solo tristi fandonie. Quanto alle opinioni di quanti ritengono che la rinuncia alla vita, esprimendo una negazione della propria identità, dimostri povertà umana ed esistenziale, mi sembrano sofismi, oltretutto irrispettosi e crudeli: la scelta del modo di morire e del momento di farlo ha a che fare con la propria dignità, un valore assoluto e una ricchezza umana ed esistenziale irrinunciabile, qualcosa di talmente personale che non ammette valutazioni critiche – immaginate poi insegnamenti e consigli – da parte degli altri. Oltretutto il concetto di dignità applicato alla propria morte dipende grandemente da come abbiamo interpretato e realizzato la dignità della nostra esistenza, è una sorta di cenestesi dello spirito che indica una nobiltà morale che ha diritto al massimo rispetto da parte di tutti, legislatori compresi.
Buffo dunque che alla dignità faccia riferimento il comma b, dove si dichiara che “ (la legge) riconosce e garantisce la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza “. Ne derivano due fatti importanti: il primo riguarda il carattere di indisponibilità della vita, che non ha più a che fare con l’interesse prevalente dello Stato; il secondo, che esiste una dignità di tipo collettivo, o statale, che non ha più niente a che fare con il cittadino. Bisogna dunque dar ragione a Dorina Bianchi, che ha dichiarato che la vita personale appartiene alla collettività: pensavo che fosse la maggior stupidaggine uscita negli ultimi decenni da labbra umane, mi sbagliavo, la signora Bianchi ha trovato epigoni e sostenitori, prima la statalizzazione della vita, poi quella della dignità, sotto a chi tocca.
Dopo questo esordio, il documento continua come sapete, sempre atteggiandosi a documento laico, in realtà ubbidendo pedissequamente alle regole imposte dal Vaticano. Del resto, mi sembra molto chiarificatore uno dei sottotitoli di Repubblica: “I Vescovi esultano”. Su questo argomento bisognerà pur tornare, mi sembra evidente che i Vescovi sono in piena crisi esistenziale e non si accorgono di essere sul punto di provocare una nuova guerra di religione.
Vado subito all’articolo 3, nel quale é inserito il comma su cui è stato incentrato gran parte del dibattito tra maggioranza cattolica e minoranza laica. Il comma suddetto è un capolavoro di ipocrisia, sentite cosa è andato a pescare dall’armadio delle leggi e dei regolamenti: “Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti della persone con disabilità fatta a New York il 13 dicembre 2006 l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento”.
Solo qualche commento:
-Della dichiarazione dell’ONU che viene citata, riporto anch’io i due articoli che im qualche modo sono attinenti alla legge italiana:
Articolo 15, comma 1: Nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
Articolo 25, comma f: (gli Stati si debbono adoperare per ) prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prescrizione di cure e servizi sanitari o di cibo o liquidi in ragione della disabilità.
Dunque, il documento delle Nazioni Unite dice ben altro: è stato scritto per vietare ogni tipo di discriminazione ( non ti alimento perché sei un disabile) e non per obbligare un cittadino ad accettare trattamenti che gli ripugnano.
- Questa idea di equiparare una persona in stato vegetativo a un disabile è per lo meno peregrina e non può valere certamente quando il consenso medico relativo a un particolare paziente stabilisce che si tratta di condizione irreversibile e permanente.
- - Il Senato avrebbe potuto ispirasi alle uniche culture tecniche che si sono espresse nel nostro Paese. Ad esempio, la Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale scrive ( gennaio 2007): La Nutrizione artificiale è un trattamento medico. La NA è da considerarsi a tutti gli effetti un trattamento medico fornito a scopo terapeutico o preventivo. La NA non è una misura ordinaria di assistenza”.
- Potrei portare documenti delle maggiori Società scientifiche internazionali, ma so che è completamente inutile. Il Senato si è ispirato a uno dei più infallibili scienziati esistenti, , esperto di microbiologia (il preservativo è tossico), docente di tanatologia (l’uomo non muore mai, basta nutrirlo), specialista in endocrinologia ( la pillola del giorno dopo è occisiva). Alludo naturalmente al sommo Pontefice, che oltretutto ha il privilegio di parlare ex cathedra, chi lo può contraddire? Personalmente – se posso timidamente esporre la mia opinione – preferirei che tentasse di spiegare ai suoi preti quale è la interpretazione vera della frase (Matteo, XIX,14) “Sinite parvulos venire ad me”, sembra che abbiano capito male. Mi fermo, temo che sia una battaglia persa in partenza: me lo conferma un dato statistico reso noto del tutto recentemente e che convalida un mio antico sospetto: la percentuale di conversioni dei nostri parlamentari è superiore a quella di qualsiasi altra categoria professionale, geometri e maniscalchi inclusi.
Ho una ultima cosa da dire, una domanda che rivolgo ad Anna Finocchiaro, una donna che stimo e rispetto. Che senso ha lamentare tradimenti e pugnalate alle spalle,parlare di anni di lavoro perduti : non era già tutto scritto fin dal momento in cui il “nostro” povero vecchio partito è stato trasformato in una Democrazia Cristiana di Centro-Sinistra? Faccio mie le parole di un tassista romano che mi ha appena accompagnato alla stazione : “Chi è causa del suo mal, sò cazzi sua...”.
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